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Veneto Connection

Affrontare l’affaire scaligero da un punto di vista meramente cronachistico e giudiziario, isolandolo dal contesto e dal modello di sviluppo veneto, è pura astrazione e rischia di corroborare ulteriormente la tossica narrazione razzista, leghista e autonomista per la quale la criminalità organizzata in Veneto sarebbe solo un corpo estraneo.

È ormai manifesta, in questa regione, l’integrazione tra interessi di frange dell’amministrazione, di molte Pmi, di figure professionali e della criminalità organizzata. La crescita esponenziale negli ultimi anni di reati quali riciclaggio, autoriciclaggio, estorsione e illeciti vari contro la pubblica amministrazione, con incrementi a due o tre cifre, attesta che la succitata integrazione è stata pienamente assimilata da una parte del tessuto economico del Nordest.

La vicenda scaligera non va quindi ascritta a fattori criminogeni occasionali, ma si inserisce in un contesto regionale fatto di zone grigie che nascono da interessi convergenti: un terreno di coltura ottimale per la criminalità organizzata.

Già nel 1994, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari manifestava crescente attenzione per la penetrazione diffusa della criminalità organizzata in territorio veneto.

Evidentemente, la permeazione di tale fenomeno non ha incontrato molti ostacoli negli anni, se è vero che, in merito all’andamento della criminalità, nel 2019 “su base distrettuale […] gli aumenti più consistenti in termini percentuali si sono registrati nelle notizie di reato in tema di criminalità organizzata (+32,00%), nei reati tributari (+31,69%), nei reati economici (comprensivi di falso in bilancio e bancarotte: +26,92%)”1.

L’operazione “Isola Scaligera” non è, quindi, un cataclisma episodico e improvviso, ma uno dei tanti tasselli di un sistema diffuso. A tal proposito, l’inchiesta che ha recentemente coinvolto il comune veneziano di Eraclea, fino a ipotizzarne lo scioglimento per mafia (ipotesi poi rigettata), è paradigmatica in quanto ha permesso di scoperchiare una trama complessa di relazioni e connivenze nella quale spiccava l’opera di mediazione di imprenditori e professionisti tra amministratori e cosche (a Eraclea operavano i Casalesi).

I fatti di Eraclea rappresentano la punta dell’iceberg di un tessuto economico altamente sviluppato e a intensa infiltrazione mafiosa, come dimostra la stagione di inchieste culminate nei maxi – processi veneti in corso.

Tornando a “Isola Scaligera”, la Direzione distrettuale antimafia di Venezia ha coordinato un’operazione che si è conclusa con provvedimenti di varia natura a carico di ventisei persone, sedici delle quali sono accusate di associazione mafiosa.

In realtà l’inchiesta coinvolge anche una serie di soggetti, indagati per reati differenti che vanno dal peculato per l’ex sindaco di Verona, Flavio Tosi (all’epoca leon che magna el teron, ma che sembra aver perso i denti), alla turbativa d’asta per i dirigenti dell’Amia di Verona, municipalizzata che si occupa dello smaltimento dei rifiuti.

A tal riguardo, all’ex presidente Amia, Andrea Miglioranzi2 (a suo tempo fedelissimo di Tosi e, più recentemente, militante di Fratelli d’Italia), e al direttore tecnico della stessa, Ennio Cozzolotto, viene contestato il reato di concorso esterno nell’associazione che fa capo ad Antonio Giardino.

Quest’ultimo, detto Totareddu, ha un “curriculum” di spessore, essendo legato al potente clan degli Arena-Nicoscia di Isola di Capo Rizzuto. Giardino rappresenta un’altra attestazione probante del radicamento in Veneto della ‘ndrangheta che ha trovato, evidentemente, compiacenza e terreno fertile nel tessuto economico-amministrativo di questa regione.

A conferma di quanto l’intreccio fosse ramificato, vale la pena sottolineare come l’operazione abbia comportato il sequestro di 15 milioni di beni immobili e quote societarie, mentre i vari capi d’imputazione spaziano dalla truffa all’estorsione, dal riciclaggio al traffico di droga, dalla corruzione alla turbata libertà degli incanti, per arrivare al traffico di rifiuti, al trasferimento fraudolento di beni e alle fatture false.

In un quadro di questo tipo, il Veneto non può certo fregiarsi dell’appellativo di regione virtuosa, come pretende da decenni la retorica leghista, risfoderata in questi giorni dal “governatorissimo” Zaia. Questi, sulla scorta dei successi nella lotta al Covid-19 (la cui paternità è però rivendicata dal virologo dell’Università di Padova, Andrea Crisanti), spinge sempre più forte verso l’autonomia differenziata.

È evidente come la rappresentazione leghista del Veneto confligga con quanto emerge, sempre più spesso, dalla cronaca giudiziaria e non. Il Veneto, come mostrano i fatti, condivide col resto del paese la piaga di un sistema economico spesso criminogeno. Fingere di non comprendere che la collusione con gli interessi della criminalità organizzata non è il risultato di una darwiniana affermazione delle consorterie meridionali e dei loro boss, è mistificazione. Nel “virtuoso” Veneto, nascondere l’effetto calamitante reciproco del concorso di interessi tra una certa parte del tessuto socio-economico e la criminalità organizzata, è semplice falsificazione.

Il Veneto non è un’altra cosa.

2 Neofascista veronese, è stato membro del Veneto Fronte Skinheads e dirigente di Fiamma Tricolore; ha fatto parte del gruppo nazi-rock “Gesta bellica” che suonava pezzi inneggianti a Erik Priebke e Rudolph Hess; è stato condannato a 3 mesi di carcere per istigazione all’odio razziale.

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