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Berlusconi e magistrati. Due torti non fanno una ragione

La notizia di oggi sembra essere l’assenza della notizia dalle prime pagine dei giornali. Il riferimento è la vicenda esplosa – “a orologeria”, è proprio il caso di dire – sulla condanna di Berlusconi in Cassazione per frode fiscale. Quella sentenza interdì e marginalizzò il fondatore di Mediaset e Forza Italia dalla vita politica per alcuni anni.

Mentre per tutta la giornata di ieri i parlamentari e i giornalisti di Forza Italia hanno fatto il diavolo a quattro per imporla in cima all’agenda politica, oggi pare proprio che l’operazione stia riuscendo molto parzialmente. E già questo è un primo segnale da cogliere.

Balza agli occhi come la tardiva rivelazione di un colloquio tra Berlusconi e il giudice che ha materialmente scritto le motivazioni della sua condanna in Cassazione, presenti anomalie e forzature piuttosto rilevanti.

In primo luogo, Forza Italia starnazza intorno alla politicizzazione della magistratura. Ma come definire un giudice che – anche se per rivelare un suo disagio e le sue scuse postume – si scambia telefonate nel merito dei processi in cui è (o è stato) attivo con un protagonista della politica come Berlusconi? Se è vero che la magistratura risponde ai diversi input della politica, lo stesso Berlusconi e Forza Italia non possono chiamarsi fuori da tale schema. Insomma: la magistratura è politicizzata, ma ogni politico ha i suoi magistrati di riferimento.

In secondo luogo, il giudice “pentito” di aver scritto quella sentenza è deceduto nel maggio 2019, mentre il colloquio con Berlusconi è ancora precedente. Come mai si è atteso oltre un anno per portare alla luce quella registrazione? La sua rivelazione non avrebbe potuto più nuocere alla rispettabilità del magistrato, ormai defunto. E’ vero che le vie delle strategie difensive degli avvocati di Berlusconi sono imperscrutabili, ma la dissonanza balza agli occhi.

In terzo luogo è evidente che, una volta archiviata la stagione della Seconda Repubblica nata dalle inchieste giudiziarie, sia iniziato il redde rationem tra poteri forti (economici, politici, europei ed internazionali) e quello che possiamo definire il “partito trasversale dei pubblici ministeri”.

Una magistratura realmente indipendente sarebbe in grado di fronteggiare questa resa dei conti: una magistratura screditata da tanti episodi di collusione, da Palamara in giù, viene invece messa efficacemente sulla graticola e indebolita agli occhi dell’opinione pubblica.

Si ha la netta impressione – ma qui dobbiamo affidarci al fiuto più che alle prove provate – che stiano agendo forze che puntano a un nuovo scasso sistemico del quadro politico italiano, analogo per dimensione a quello di Mani pulite.

Abbiamo scritto, anche recentemente, che l’Italia è tornata ad essere terra di contesa tra interessi strategici divergenti statunitensi, europei, russi e forse anche cinesi. Essere di nuovo collocati in questa scomodissima posizione espone la classe dirigente e le scelte strategiche di questo paese a ingerenze, entrate a gamba tesa, alla “rottura di qualche braccio”, come dicono in gergo i servizi di intelligence.

La condanna di Berlusconi in Cassazione per frode fiscale ha segnato la fine di un epoca, quella che già era stata indicata nella lettera della Bce (firmata da Draghi e Trichet) nel 2011 e che sostanzialmente preparava l’uscita di scena della variabile Berlusca di fronte alla brusca normalizzazione imposta dalle istituzioni europee all’Italia.

La sostituzione del Cavaliere con Monti, patrocinata dai poteri forti europei e da Napolitano, sotto diversi punti di vista, come scrisse fin troppo schiettamente Alan Freeman nel suo libro, fu un golpe interno alla classe dirigente. Non la vittoria della democrazia sul Caimano.

Per molti aspetti l’offensiva tesa a indebolire il potere giudiziario in Italia coincide con l’entrata in campo di un’altra e imprevista dissonanza, per quanto quasi inconsapevole: il M5S.

Al loro posto, visto il pressing per costringerlo ad accettare il Mes, cominceremmo a preoccuparci.

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