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La censura al tempo di Facebook

In un mondo in cui le relazioni sociali sono sempre più mediate da “strumenti terzi”, che rendono possibile l’accesso a fatti o situazioni della realtà altrimenti difficilmente conoscibili, il controllo di questi strumenti, o media – letteralmente, ciò che sta in mezzo tra il soggetto e l’oggetto, tra una persona e il fatto che questa persona vuole sapere –, diventa un’operazione decisiva per raccontare la realtà in una maniera vantaggiosa per gli interessi che quel media difende o rappresenta.

Oggi, i social network e in particolar modo Facebook sono innegabilmente un luogo di incontro, seppur virtuale, dove far emergere idee, proposte, punti di vista, messaggi, che hanno un’influenza sul modo di comportarsi, di comprare, di pensare, della società.

Sono dunque una sorta di “moderno bar” dove scambiare le antiche “due chiacchiere”, con la differenza che 1) si può scegliere chi incontrare al bancone (amicizie, “like” a pagine, iscrizioni a gruppi sono a scelta dell’utente), e 2) il proprietario del bar sceglie quali chiacchiere privilegiare (se non si cambiano le impostazioni di visualizzazione, ben nascoste nei meandri delle opzioni, la “wall” di Facebook privilegia alcuni post invece di altri, secondo algoritmi mai resi pubblici).

In questa prospettiva, le dichiarazioni rilasciate ieri da Mark Zuckerberg sui nuovi parametri con cui Facebook sceglierà le notizie da far apparire nella sezione “news feed”, quella cioè destinata all’informazione, sono un esempio di come la censura abbia aggiornato i suoi parametri ai tempi dei social network.

«Le notizie originali da fonti autorevoli svolgono un ruolo importante nell’informazione delle persone in tutto il mondo», riporta la nota l’Agi. «Un giornalismo che richiede tempo e competenza e vogliamo assicurarci che abbia la priorità su Facebook. Daremo da adesso priorità agli articoli che identificheremo come originali su un fatto o su una storia in via di sviluppo. Lo faremo guardando quali articoli saranno più spesso identificati come fonte originale».

Il social network più visitato al mondo si arroga così il diritto di stabilire quale sia una fonte attendibile e quale no, di fatto imponendo il sigillo di garanzia sulla verità o meno della narrazione di un evento.

Questo sigillo sarà inoltre il frutto dell’autorevolezza della fonte, che in altre parole significa che non ci sarà più spazio per nessuna voce indipendente dal circuito d’informazione mainstream, quello che più volte su questo e altre testate viene denunciato come falsificatore della realtà per difendere interessi privati. Insomma, è l’autorità del mainstream che si intende affermare; l’autorevolezza è un’altra cosa.

Ma sostituendo l’autorevolezza con l’autorità si passa immediatamente da un regime dove “si compete” per acquisire autorevolezza con un lavoro informativo ben fatto ad un altro in cui le posizioni non si possono più cambiare: l’informazione mainstream viene blindata come la sola “autorevole”.

«Quando più storie sono condivise dai media e sono disponibili sul News Feed di una persona, aumenteremo [la visibilità] di quella più originale. Continueremo a lavorare con editori e accademici per perfezionare questo approccio nel tempo». Tradotto, chi ha soldi per investire sulla visibilità di una notizia (comprare like, gestire account falsi per la condivisione, fare analisi sulle modalità premiate dall’alrgoritmo), avrà un vantaggio competitivo reso possibile dall’architettura del social stesso.

L’Italia, è risaputo (o forse dovrebbe?), non figura nelle posizioni alte delle varie classifiche che indicizzano la libertà di stampa di un paese. Nel 2016, “Reporters sans frontiers” ci piazzava al 77° posto, tra Moldavia e Benin, mentre il “World press freedom index 2019” ci classifica 43esimi (su 180), sottolineando come in tutto il mondo la libertà si stampa sia sotto attacco, anche nelle “democrazie consolidate”.

Ma la manovra di Zuckerberg è un autentico colpo di spugna verso ogni tipo di critica allo stato di cose esistenti, in quanto va oltre la singola libertà di scrivere di un giornalista, impedendo il diritto all’informazione plurale da parte della popolazione.

Solo negli ultimi mesi, fermandosi alle nostre pagine, pensate quanto sarebbe stato più difficile capire cosa fosse davvero il Mes, quali siano le condizionalità legate al suo utilizzo (ribadite tra l’altro oggi dalla Merkel…), o le responsabilità della giunta leghista in Lombardia per la gestione dell’emergenza coronavirus, la natura delle proteste di Honk Kong e quelle negli Stati Uniti, eccetera.

Per chi ancora pensasse delle possibilità emancipatorie della rete considerata “in sé”, ossia indipendentemente dai rapporti di forza che esprime una società, ecco un nuovo indizio per rifletterci su.

Pensiero critico, appunto. Quello che Facebook si prepara a censurare.

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