La Procura di Roma ha chiuso le indagini sul sequestro, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni ed ha notificato ai quattro uomini della sicurezza egiziani l’avviso di garanzia. La notifica è avvenuta tramite i difensori d’ufficio degli indagati.
Questi ultimi sono il generale dei servizi di sicurezza Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif e sono accusati di sequestro di persona pluriaggravato.
Nei confronti di quest’ultimo, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, ha ipotizzato anche i delitti di concorso in lesioni personali aggravate (essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio 2017), nonché il delitto di concorso in omicidio aggravato.
Il ruolo degli agenti nel sequestro nell’omicidio è stato ricostruito dalle indagini condotte dai carabinieri del Ros e dagli agenti dello Sco. La chiusura delle indagini arriva a due anni dall’iscrizione sul registro degli indagati.
Come previsto dal codice di procedura penale gli indagati ed i loro difensori d’ufficio hanno ora venti giorni di tempo per presentare memorie, documenti ed eventualmente chiedere di essere ascoltati. “Nei confronti del quinto indagato, Mahmoud Najem – si legge nella nota della Procura – non essendo gli elementi raccolti sufficienti, allo stato, a sostenere l’accusa in giudizio, è stata depositata richiesta di archiviazione al Gip”.
Ma secondo il legale della famiglia Regeni, l’avvocato Colaiocco, Ci sono altri “13 soggetti nel circuito degli indagati, che la mancata risposta delle autorità egiziane non ci ha permesso di identificare”.
La notifica ai quattro ufficiali egiziani è avvenuta tramite “rito degli irreperibili” direttamente ai difensori di ufficio italiani non essendo mai pervenuta l’elezione di domicilio degli indagati dal Cairo. Proprio quest’ultimo punto era tra quelli oggetto della rogatoria avanzata nell’aprile del 2019 in cui i magistrati romani chiedevano risposte concrete agli omologhi egiziani. Richieste ribadite nei diversi incontri che negli anni si sono svolti tra investigatori e inquirenti italiani e egiziani ma che il Cairo ha lasciato inevase.
Su cosa sia accaduto e cosa ha dovuto subire Giulio Regeni, l’agenzia Askanews ha pubblicato una testimonianza. “Quando viene preso uno straniero sospettato di aver tramato contro la sicurezza nazionale viene portato nella stanza 13, al primo piano della sede della National Security”. E’ quanto ha dichiarato il quinto testimone sentito dalla Procura di Roma. Le parole dell’uomo, indicato con una lettera greca, sono state riassunte dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco.
L’uomo in questione “ha lavorato per 15 anni nella sede della National Security dove Giulio è stato ucciso – ha raccontato il magistrato – E’ una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c’è la stanza 13 dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale. Il 28 o 29 gennaio e ha visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti. C’erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Dietro la schiena aveva dei segni, anche se sono passati quattro ricordo quella scena. L’ho riconosciuto alcuni giorni dopo da foto sui giornali e ho capito che era lui”.
Si attendono adesso le reazioni del regime egiziano di Al Sisi, che per ben quattro anni ha opposto false piste e poi un muro di gomma alle indagini della magistratura italiana sulla brutale uccisione del ricercatore italiano.
Ma l’Egitto del generale-presidente golpista Al Sisi sta nel “lato giusto” del sistema di alleanze regionali di cui l’Italia fa parte. Il regime instaurato a Il Cairo con il golpe militare del 2013 si è appiattito sulle posizioni israeliane. Ha poi attaccato lo Yemen al fianco dell’Arabia Saudita, contribuendo a destabilizzare il paese, ha assunto il controllo di metà della Libia con il suo uomo forte, Khalifa Haftar, è parte integrante dell’alleanza saudita contro l’islam politico dei Fratelli Musulmani.
A giugno l’Italia ha dato il via libera alla vendita di due fregate della classe Fremm di Fincantieri (Spartaco Schergat e Emilio Bianchi, dal costo di 1,2 miliardi di euro) al regime egiziano. Nel 2019 è stato registrato un boom di autorizzazioni alla vendita di armamenti italiani all’Egitto per 871 milioni di euro. Ma l’attuale pacchetto di vendita di armamenti italiani (tra cui caccia e velivoli da addestramento) che coinvolge anche Leonardo, ne 2020 è andato assai oltre e si parla di cifre che oscillano tra i 9 e gli 11 miliardi di euro.
Intanto sul piano politico si segnala una sottile polemica tra Renzi – che era presidente del Consiglio quando venne brutalmente ucciso Giulio Regeni – e la Farnesina. Renzi parla di un grande rimpianto l’aver saputo della morte di Giulio Regeni “solo il 31 gennaio” 2016.
Ma un paio d’ore dopo è arrivata una precisazione della Farnesina secondo cui Renzi era stato avvisato ben sei giorni prima. “In merito alle dichiarazioni rese oggi dall’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi alla commissione d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni, la Farnesina – si legge in una nota del Ministero degli Esteri – precisa che le istituzioni governative italiane e i nostri servizi di sicurezza furono informati sin dalle prime ore successive alla scomparsa di Giulio il 25 gennaio 2016″.
“Chiediamo alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento, sulla tortura e sull’uccisione di Giulio Regeni di fare chiarezza sulle responsabilità italiane, e quando parliamo di responsabilità italiane ci riferiamo a quelle che mio marito ha chiamato zone grigie” ha sottolineato Paola Deffendi, la mamma di Giulio Regeni, che è intervenuta in video collegamento durante una conferenza stampa nella sala stampa di Montecitorio.
Nello stesso contesto, il legale e i familiari di Regenihanno richiesta il ritiro dell’ambasciatore italiano al Cairo.
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