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Un’altra Roma c’è, e parte da piazza Vittorio

Se dovessimo descrivere l’assemblea pubblica che si è svolta ieri in mattinata a piazza Vittorio, potremmo parafrasare quella battuta scritta sul quadro in un famoso film diretto da Leonardo Pieraccioni: “un’altra Roma c’è, e c’ho le prove”.

Il primo momento di piazza organizzato dall’assemblea del 15 gennaio ha radunato intorno alle 11:00 circa duecento persone in una mattinata di sole “regalata” all’ultimo dal cielo della capitale, inclemente fino a pochi minuti prima.

Un buon auspicio, preludio di un febbraio che si annuncia denso di appuntamenti, e del tutto in controtendenza con i disastrosi risultati sociali ed economici che le ultime amministrazioni cittadine hanno causato, con il Covid-19 nel ruolo di “goccia” che ha fatto traboccare un vaso colmo da tempo, palesando la necessità di un «cambio di pagina» se si vuole invertire la rotta, o piuttosto la deriva, presa dalla città.

Ma di quale deriva stiamo parlando? Per esempio, gli ultimi fatti di piazza Vittorio restituiscono l’atteggiamento disumano con cui Roma viene pensata e governata, quando i senzatetto che sotto i portici avevano trovato riparo dall’inverno sono stati sgomberati dalle forze dell’ordine in nome del “decoro urbano”.

Un atto vergognoso, sollecitato da un famoso regista, Paolo Sorrentino, sottoscrittore di una lettera fatta pervenire alle autorità locali dove si chiede la “messa in ordine” della piazza, sintomo di una «grande monnezza» interna, come è stato affermato in un intervento, che nessun Oscar potrà mai celare.

In fondo, in questo episodio c’è tutto il male che affligge la capitale: una città sempre più polarizzata tra una piccola parte benestante, inceronata e indifferente (quando non insofferente) delle difficoltà altrui, di contro a una profondissima periferia abbandonata a sé stessa, fuori dai radar della politica e dell’informazione, se non in “zona elezioni” o per episodi di cronaca nera.

Un abbandono tuttavia che non significa stallo, perché una Roma che lotta e non si arrende c’è sempre stata, e stavolta prova a mettersi insieme e a rendersi autonoma e indipendente da tutto quell’alveo politico che ha dimostrato o di non essere in grado, o di non avere la volontà, di rappresentare gli interessi di cambiamento delle classi subalterne. Dal Pd-Leu al M5S, senza esclusione alcuna.

Gli interventi, su questo – dal movimento di lotta per la casa agli studenti, dagli abitanti delle periferie alle attiviste di Potere al Popolo, dai lavoratori dello sport al mondo dell’associazionismo –, hanno ben marcato il punto.

Da una parte, l’ottica emergenziale con cui si mettono le mani sulla città deve finire, perché questa ha bisogno di interventi strutturali, dall’edilizia popolare agli affitti sociali, alla reinternalizzazione dei lavoratori dei servizi e delle municipalizzate, e poi manutenzione delle case popolari, patrimonio pubblico, questione del debito, ripristino della sanità pubblica, e tanto altro.

Anche quest’anno, 10 morti di freddo fino a ora, come se l’inverno fosse una sorpresa e Roma non fosse piena di locali vuoti dove poter ospitare chi è più in difficoltà, numero tra l’altro in costante crescita dopo un anno di durissima crisi economica.

Dall’altra, il mutualismo è lodevole, ma non basta più, perché se staccato da un’ipotesi politica alternativa e da una pratica conflittuale, ha il solo effetto di sostituirsi ai doveri delle istituzioni, che sarebbero quelli di trovare le soluzioni ai problemi degli abitanti.

Se questo non avviene, allora il ceto politico in vigore non ha ragione di occupare gli scranni che occupa, e il pur volenteroso lavoro dell’associazionismo di base non può far altro che rimandare il problema, essendo per costituzione propria inadeguato alla sua soluzione.

A questo punto o si lotta o si sparisce. Lo sanno bene gli studenti del liceo linguistico Kant, presenti con una delegazione, protagonisti della prima occupazione scolastica cittadina della stagione, che hanno resistito a una reazione spropositata della polizia finita su tutti i quotidiani nazionali. Il messaggio è chiaro e forte, se il governo e il Ministero dell’istruzione fanno orecchio da mercante sull’indecenza del loro operato, sarà la lotta a dare voce agli inascoltati.

Come è la lotta che ha portato gli abitanti di Casal Bruciato, arrivati a metà mattinata, a bloccare di nuovo la strada dopo le vicende dei termosifoni dello scorso anno (sanzionate con l’infame decreto Salvini per alcuni attivisti), stavolta rimasti senz’acqua da prima di Natale, senza che il Comune di Roma muova un dito per risolvere il problema: comprare un pezzo di ricambio da 1.500€ euro!

Ma questi sono solo due dei tanti esempi di lotta concreta che attraversano la città. Si potrebbero citare infatti quella sui piani di zona, sul no al corridoio Roma-Latina, sulla sanità pubblica, sui trasporti, il ciclo dei rifiuti, l’acqua, gli spazi di aggregazione ecc.

Tutte battaglie che soffrono di un “senso di isolamento”, della mancanza di una cornice politica che sappia portare a sintesi lo sforzo già presente dai vari militanti in giro e in lotta per le strade della capitale.

La sfida allora è proprio quella di fare rete tra tutte quelle componenti, a vari livelli, che non accettano più nessun compromesso con quei “politici politicanti” che sugli sforzi degli altri legittimano i propri privilegi, i propri interessi, il proprio orticello.

Una coalizione del conflitto dunque in grado di affrontare il Campidoglio come la Regione, senza sconti a nessuno, in vista di un passaggio elettorale, sì, cittadino, ma di valore nazionale (si vota in 5 città metropolitane, 13 milioni di elettori), che tra Covid-19, crisi di governo e Recovery fund sarà occasione di scontro come di megafono anche per gli interessi degli abitanti della periferia.

Quegli interessi per troppo tempo dimenticati tra palazzi e palazzinari, ma in cerca di riscatto. A partire da subito.

Le foto sono di Lorenzo Boffa

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