Nuova manifestazione questa sera per ricordare il giovane ucciso la scorsa settimana dalla Polizia ‘autonoma’ Basca e per chiedere che i responsabili vengano puniti. Alle 20.30 i familiari e gli amici di Iñigo Cabacas, insieme agli attivisti delle forze di sinistra e ai tifosi dell’Athletic Bilbao scenderanno di nuovo in piazza – questa volta nel sobborgo bilbaino di Basauri, località di origine di Cabacas – per chiedere le dimissioni del ‘ministro degli Interni’ della Comunità Autonoma Basca e per chiedere il bando dei proiettili di gomma. Il socialista Rodolfo Ares si è infatti contraddistinto in questi giorni prima per il tentativo di negare le innegabili responsabilità dell’Ertzaintza nella morte del giovane tifoso del Bilbao; e poi in quello di addossare la colpa di quanto accaduto la scorsa settimana al “clima di violenza di strada e di insorgenza” creato dalla sinistra indipendentista basca. “Apparentemente la morte di Cabacas non ha nulla a che fare con il conflitto politico tra sinistra basca e istituzioni dello Stato Spagnolo” ci spiega I. A., un giovane dirigente di un partito, Sortu, che solo la miope crociata dei governi spagnoli contro la società basca continua a tenere in una condizione di illegalità nonostante rappresenti almeno un 20% dell’elettorato. “Cabacas non aveva mai avuto a che fare con la militanza politica, era un giovane lavoratore di 28 anni che nel tempo libero seguiva la sua squadra del cuore, i suoi genitori gestiscono un piccolo bar nel quartiere di Indautxu” ci racconta mentre passeggiamo nelle strade della parte vecchia di Bilbao, tappezzate di bandiere bianche e rosse del Club listate a lutto e di cartelli scritti a mano che chiedono verità e giustizia. “Eppure è stato vittima di un meccanismo di repressione feroce e brutale che più volte in questi anni ha ucciso. Tanti sono stati i militanti e i simpatizzanti della sinistra indipendentista ammazzati dalle manganellate e soprattutto dalle pallottole di gomma sparate da poliziotti abituati a considerare chi occupa le strade un nemico da annichilire. Quasi mai gli agenti responsabili di veri e propri omicidi a freddo sono stati individuati e men che meno puniti”. Fino a quando persisteva l’attività armata dell’ETA, chiunque manifestasse a favore degli obiettivi politici riconducibili all’indipendentismo rivoluzionario era da considerarsi un fiancheggiatore, un sostenitore del terrorismo. Ed in quanto tale passibile di una sorta di pena capitale autogestita dalle forze di sicurezza nelle strade e nelle piazze delle città basche.
E come si sa, le abitudini sono dure a morire. E le manifestazioni popolari contro la gestione autoritaria della crisi economica, contro i tagli e i licenziamenti hanno di nuovo creato un clima di tensione in cui ridare legittimazione alla repressione selvaggia. Basti vedere l’impressionante bollettino di guerra – centinaia di arresti, denunciati e feriti – che ha caratterizzato lo sciopero generale del 29 marzo.
Paradossalmente ora che l’attività armata dell’ETA è cessata ed anche la conflittualità urbana è relativamente diminuita di intensità le forse di sicurezza basche – e quelle statali negli altri territori – continuano ad operare come se nulla fosse cambiato. Anzi, negli apparati repressivi e soprattutto all’interno del personale politico socialista che da alcuni anni governa la Comunità Autonoma Basca e che è sicuro di perdere le prossime elezioni sembra regnare un sentimento di frustrazione, legato al venir meno di un conflitto violento che quindi l’Ertzaintza sta di fatto unilateralmente continuando a sostenere. Una sorta di codice militare di guerra applicato in tempi di pace.
Un atteggiamento che persino i compassati e perbenisti quotidiani locali legati a settori centristi o di centrodestra non hanno potuto fare a meno di segnalare, semplicemente riportando le testimonianze e le denunce dei testimoni che hanno assistito al raid della polizia autonoma che ha portato alla morte del giovane Cabacas.
Dopo la partita di coppa tra Athletic e lo Schalke 04 di Gelsenkirchen del 5 aprile, le strade dei quartieri di Bilbao si erano riempiti di tifosi di ritorno dal San Mames. Ad un certo punto fuori da un bar di Calle María Díaz de Haro scoppia un diverbio tra due avventori. Niente che l’intervento degli amici e degli altri avventori non potesse placare senza particolari conseguenze. Ma alla brigata mobile dell’Ertzaintza mobilitata in occasione dell’incontro di calcio prudono le mani. Per i gretti e semplicistici schemi mentali dei comandanti della polizia autonoma il tifo locale è dominato da gruppi legati a Batasuna, e quindi i tifosi del club bianco-rosso sono da considerare pericolosi. In pochi attimi quindi alcune decine di agenti in assetto antisommossa irrompono nella strada, e prima che qualcuno li possa fermare smarcano un banale alterco con una manifestazione da sedare. Cominciano a sparare pallottole di gomma ad altezza d’uomo contro la folla che riempie la via. Una delle grosse palle di caucciù colpisce la testa di Cabacas, che stramazza a terra, in coma. Dopo 4 giorni trascorsi in stato di incoscienza all’ospedale di Basurto il giovane viene infine dichiarato morto dai medici, scatenando la rabbia dei familiari, degli amici e di chiunque da sempre chiede che la Polizia smetta di utilizzare un’arma letale proibita dalle convenzioni internazionali e che le forze repressive al servizio di Madrid usano ampiamente in compagnia di Israele e della Turchia.
Ieri il socialista Ares, così come prima di lui il fascistoide sindaco di Bilbao, il democristiano Inaki Azcuna, ha espresso le sue ‘sentite condoglianze’ alla famiglia del ragazzo morto. Ma poi è tornato a difendere la professionalità dell’intervento dei suoi agenti. D’altronde un altro intervento professionale degli agenti vestiti di rosso e nero era stato possibile vederlo ieri mattina, quando alcuni familiari e amici di Cabacas che tenevano una improvvisata conferenza stampa davanti al tribunale di Bilbao sono stati presi a manganellate e trascinati via di fronte a decine di giornalisti.
“Se questa è la loro pace – ci ha detto un ex prigioniero politico da poco uscito dalle ‘patrie’ galere che abbiamo incontrato in un bar di Donostia – mi chiedo se non sia il caso di tornare alla guerra. Almeno prima oltre a prenderle le davamo anche”.
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