L’agenzia Reuters, fonte autorevole per i mercati finanziari e le cordate politiche che ne assecondano gli interessi, ha pubblicato un lungo articolo decisamente “ruvido” nei confronti di Mario Draghi.
Il ragionamento è semplice: Draghi dovrà mettere mano a problemi che lui stesso ha contribuito a creare, a cominciare dal salvataggio della banca Mps per arrivare alla privatizzazione delle Autostrade. Ma tra le righe traspare una contraddizione ancora più rilevante. Draghi, per quanto abbia una formazione keynesiana (è stato allievo di Federico Caffè), ha agito praticamente come liberista in tutti i posti di comando “pubblici” in cui si è venuto a trovare (dal ministero del Tesoro alla Banca d’Italia fino alla Bce della Troika).
Ma la fase storica determinata prima dalla crisi del 2007/2008 e poi dall’emergenza pandemica, ha costretto a rivedere la dottrina dello “stato minimo” ed a riporre nelle risorse dello Stato una leva decisiva per l’accumulazione capitalistica nelle fasi di crisi. Nell’Unione Europea questa tendenza è ormai evidente e potente, anche per rafforzare quei campioni industriali che devono misurarsi con la competizione globale.
Il governo Draghi sta tutto dentro questo processo. Il suo esecutivo avrà a disposizione risorse prima inimmaginabili e dovrà assicurare che vadano esattamente dove devono andare, cercando, lì dove sarà possibile o necessario, di ammortizzare le contraddizioni sociali e di governare così il massacro sociale dove sarà inevitabile farlo.
Ma la ruvidezza della Reuters ci dice che questa partita, anche sul versante del capitalismo, non sarà in discesa ma dovrà misurarsi con tutti i contraccolpi della competizione globale in corso. Il nostro problema è di natura radicalmente diversa: rendere il percorso di Draghi in salita ma sul versante degli interessi popolari e questo sulla Reuters non lo leggerete mai.
S.C.
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Qui di seguito il pezzo della Reuters dell’11 febbraio di Giuseppe Fonte e Gavin Jones:
Il karma di Draghi. Come primo ministro affronta i problemi che lui stesso ha contribuito a creare
Se il primo ministro in pectore dell’Italia Mario Draghi riuscirà a fare decollare il suo governo, dovrà affrontare vari problemi spinosi che lui stesso contribuì a creare tempo fa quando ricopriva ruoli diversi.
Draghi, un ex capo della Banca Centrale Europea, viene esaltato in Italia come un salvatore della patria e partiti che si sono combattuti per anni adesso vogliono partecipare uniti alla sua coalizione, ma la sua storia presenta ombre oltre che luci.
Resuscitare l’economia italiana, la più cronicamente indolente dell’eurozona, sarà la sua priorità numero uno, ma avrà anche grossi mal di testa con alcune grandi aziende, dai guai della banca più antica del mondo a quelli del maggiore operatore autostradale.
Su tutti questi fronti Draghi – come primo ministro – dovrà sciogliere nodi legati negli anni passati da Draghi il direttore generale del tesoro e Draghi il presidente della BCE. Come farà ?
Con miliardi di euro da spendere dal Recovery Fund, all’inizio Draghi non farà mostra dell’austerita’ che un tempo promuoveva, ma come condurrà i negoziati per riscrivere le regole di bilancio della UE? E come gestirà i piani per nazionalizzare le autostrade che lui stesso privatizzò come direttore generale del Tesoro negli anni ’90?
Un meme molto popolare nei social italiani riassume il dilemma di Draghi.
Lo rappresenta con una mano alzata con la scritta “questa mano può essere Friedman, o può essere Keynes ”, in riferimento agli economisti Milton Friedman, famoso campione del libero mercato, e John Maynard Keynes, sostenitore dell’intervento dello Stato.
“Draghi e’ prima di tutto un pragmatico” ha detto Mauro Gallegati, professore di economia all’università’ delle Marche “ Una volta era tutto austerità, mercato e privatizzazioni. Adesso e’ in transizione da Friedman a Keynes.”
L’idea di Draghi di creare un ministero della transizione ecologica suggerisce un ruolo forte dello Stato nell’affrontare i cambiamenti climatici, una cosa che Friedman e probabilmente anche il Draghi degli anni ’90 avrebbero voluto lasciare alle forze del mercato.
La lettera della BCE
Draghi non ha fatto dichiarazioni su quello che intende fare e non e’ stato disponibile per commentare questo articolo.
Anche prima che il COVID-19 la facesse cadere nella sua peggiore recessione del dopoguerra, l’Italia non aveva praticamente avuto nessuna crescita per vent’anni.
I suoi numerosi problemi vanno da una forza lavoro che sta invecchiando e rimpicciolendosi ala mancanza di investimenti pubblici e a una eccessiva burocrazia.
Ma un numero crescente di economisti concorda nel ritenere che le misure di austerità che Draghi sostenne come capo della BCE, insieme ad altre istituzioni, abbiano esacerbato queste difficoltà, indebolendo la capacità produttiva dell’Italia e minando il suo potenziale di crescita.
Poco prima degli otto anni in cui ha ricoperto il ruolo di presidente della BCE Draghi e’ stato cofirmatario di una lettera che raccomandava al governo italiano di tagliare la spesa e accelerare la riduzione del deficit.
Quell’anno il potenziale di crescita dell’Italia – il tasso teorico di crescita l quale una economia può crescere senza inflazione – era stato stimato dal FMI a 0.7%, prevedendo che sarebbe rimasto stabile per cinque anni.
Due anni più tardi, dopo, dopo tagli draconiani al bilancio e una profonda recessione, il FMI abbassò la stima del tasso potenziale allo 0,3%, ritenendo che sarebbe rimasto invariato per quattro anni.
Nel 2012 Draghi, d’accordo con la Commissione Europea, fu tra promotori del Fiscal Compact, che inasprì le condizionalità del Patto di Stabilità, imponendo una più rapida consolidamento fiscale per paesi ad alto debito come l’Italia.
Però, malgrado l’austerità’, il rapporto debito/PIL continuò a salire perché l’economia rimaneva in recessione o in stagnazione. Tra il 2011 e il 2014 salì da 116% a 132%.
“Credo che si siano resi conto che quello che hanno fatto all’Europa meridionale era stato uno sbaglio, nessuno parlava più di austerità’ anche prima che arrivasse il virus “ dice Roberto Perotti, professore di economia alla Bocconi.
Salvare il Monte dei Paschi
Come governatore della banca d’Italia nel 2008 Draghi approvò l’acquisto della antica banca Monte dei Paschi di Siena (MPS), la terza più grande d’Italia, da parte della rivale Antonveneta, a un prezzo esagerato che secondo gli analisti contribuì al suo crollo finanziario.
Fu anche responsabile della vigilanza quando il MPS emise derivate che fecero saltare i suoi bilanci.
L’Italia possiede il 67% della banca dopo un salvataggio nel 2017 che e costò ai contribuenti 5,4 miliardi di euro. Ha promesso alla Commissione Europea che uscirà dalla proprietà entro il 2022.
Draghi era capo della BCE nel 2017 quando dichiaro’ che MPS era solvente, permettendo cosi’ che la Commissione Europea autorizzasse il salvataggio.
Il tesoro adesso sta cercando di trovare un compratore per la banca , un compito che toccherà di nuovo a Draghi come primo ministro.
Mercoledì MPS ha riportato i risultati per il 2020, che mostrano che la perdita annuale e’ salita a 1,7 miliardi di euro.
Da privatizzatore a nazionalizzatore?
Draghi dovrà anche decidere se completare la nazionalizzazione di Autostrade per l’Italia (ASPI),, il più grande operatore italiano del settore, la cui privatizzazione aveva organizzato come direttore generale del Tesoro negli anni ’90.
I termini della privatizzazione sono adesso ampiamente criticati per avere creato un monopolio privato, con grandi profitti per il compratore – la famiglia Benetton.
La vendita di ASPI e’ tornata al cetro dell’attenzione pubblica dopo il crollo di un ponte a Genova nel 2018, che provocò la morte di 43 persone. Gli inquirenti dicono che il disastro fu causato soprattutto dalla mancanza di investimenti in manutenzione, malgrado gli ingenti profitti della società.
ASPI e la sua holding Atlantia negano ogni responsabilità.
La privatizzazione di ASPI fu un affarone solo per il compratore, mentre danneggiò gli utenti ei contribuenti “ dice Massimo D’Antoni, professore di economia all’Università’ di Siena.
L’operazione ASPI non fu che una di una serie di privatizzazioni organizzate da Draghi, alcune delle quali non portarono alla creazione di imprese solide.
“Dobbiamo riconoscere che Draghi fu il protagonista di una ondata di privatizzazioni che non funzionò molto bene “ dice Gallegati dell’Università’ delle Marche, aggiungendo di ritenere che Draghi rinazionalizzera’ le autostrade.
*Reuters
(traduzione di Alberto Gabriele)
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