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L’albero e la foresta, Draghi e l’Unione europea

Alla fine ci siamo arrivati! Draghi presidente del consiglio che dopo aver imbarcato i ministri di tutti i partiti con il manuale cencelli del XXI° secolo è pronto ad essere santificato con l’elezione a presidente della repubblica nel prossimo anno.

Effettivamente “Super Mario” sembra aver fatto un miracolo convertendo il lupo Salvini in europeista convinto ed aver confermato il M5S nel suo ruolo di forza responsabile. Grillo, infatti, è passato dal voler aprire il parlamento come una scatoletta di tonno a essere direttamente tonno.

Draghi salvatore della patria! Ma di quale patria? Forse su questo c’è un equivoco in quanto la patria da salvare per l’ex presidente della BCE è l’Unione Europea e non certo una Italia che mostra una indecente classe politica di cui Renzi ne è solo il “campione” per eccellenza e indecenza.

Questo è solo il proscenio della farsa politica attuale che ci viene ossessivamente quotidianamente centellinato dai giornaloni e dai mezzi di comunicazione per i quali il problema centrale è individuare l’uomo della salvezza.

D’altra parte che stessimo dentro una sceneggiata democristiana ce lo ha fatto intuire anche il presidente della repubblica Mattarella quando ha dato il mandato esplorativo a Fico sapendo perfettamente che il cecchino Renzi avrebbe preso la mira e sparato conto terzi. Ben sapendo già quale alternativa proporre immediatamente dopo.

Questo è “l’albero” che ci viene raccontato ma tutti fanno finta di niente sulla “foresta” cioè nessuno ci dice che le prospettive del nostro paese, ma questo almeno dal 2011 con la famosa lettera Draghi-Trichet, non vengono certo decise a palazzo Chigi ma nelle stanze degli apparati burocratici dell’Unione Europea e dai potentati finanziari ed economici continentali che ne determinano le politiche reali.

Un’Italia sbandata in quanto socio fondatore dell’UE, date anche le sue dimensioni non indifferenti, mette in crisi anche l’azione comunitaria che invece ha come problema principale la competizione globale sia verso altri paesi imperialisti sia verso una potenza economica emergente quale la Cina.

E’ questo il fulcro del problema in quanto tenere testa alla competizione in una condizione generale di arretramento economico prodotto dalla vicenda Covid e comunque di limitata crescita mondiale significa riorganizzare all’interno le diverse aree competitive “l’un contro l’altra armata”.

Questo riguarda il piano produttivo e finanziario, il piano lavorativo e sociale e quello politico istituzionale laddove è necessario. E questo è proprio il caso del nostro paese che va commissariato ne più ne meno come è stato fatto in Grecia all’inizio degli anni ’10 sulla questione del debito.

Senza entrare troppo nel merito di una analisi, pure tutta da approfondire, sui caratteri della nuova fase va rilevato che questi si vanno delineando in modo sempre più evidente sul piano istituzionale con una serie di “riforme”, fisco, giustizia, digitalizzazione, pubblica amministrazione, etc., ma soprattutto con una relazione sempre più stretta e funzionale della produzione e della finanza nostrana con i centri forti della UE.

Dunque riorganizzazione e razionalizzazione delle filiere produttive che tendono a centralizzarsi e ricomporsi dentro lo spazio europeo e nelle aree geografiche limitrofe. Riorganizzazione finanziaria con la nascita del debito comune che non solo deve sostenere il rilancio economico ma diviene competitivo con i bond USA sul mercato finanziario internazionale.

Riorganizzazione sociale che non riguarda più solo i settori di lavoro dipendente ma anche tutte quelle attività di servizio e terziarie entrate in crisi con la pandemia ma che sta favorendo il ruolo delle multinazionali nella circolazione e nei servizi.

Ciò sta gettando sul lastrico una parte consistente del paese su cui si è appoggiata l’economia nazionale fin dai tempi della Democrazia Cristiana con la moltiplicazione dei “bottegai” in funzione anticomunista.

Siamo in modo evidente ad un salto di qualità della UE che ancora una volta è reso possibile da una crisi, nel 2008 da quella finanziaria ed oggi da quella Covid. Si creano così le condizioni per rompere le resistenze nazionali (anche della Germania) e di ridisegnare le classi sociali nello spazio europeo sia per quanto riguarda la borghesia, dove al suo interno la divaricazione di prospettive è evidente, sia per quanto riguarda il proletariato e le classi subalterne.

Soprattutto di quelle dei paesi mediterranei che vengono maggiormente penalizzate e svolgono sempre più il ruolo di prima periferia di quella che possiamo definire un’Europa carolingia.

Questo procedere per balzi e crisi, da tenere a mente perché si manifesterà in tale forma anche nel futuro, è stato teorizzato da tempo da un ideologo della UE che si chiama Romano Prodi il quale ha detto chiaramente in più interviste ed articoli che le crisi sono lo strumento su cui costruire l’Unione.

Né più né meno, e questo lo diciamo noi, come le guerre sono state lo strumento per costruire gli stati nazionali in altri momenti storici; ma anche questa volta l’esito pacifico di un tale processo “globale” non è certo scontato.

Passo passo si sta costruendo quello che da tempo come RdC definiamo il Polo Imperialista Europeo in modi, tempi e forme inedite storicamente ma che sono strettamente legate alle dinamiche del Modo di Produzione Capitalista proiettato inevitabilmente verso la sua moderna evoluzione imperialista.

Questa dinamica è pervasiva, non riguarda solo i dati strutturali ma investe anche le altre dimensioni da quella ideologica a quella politica fino alla ridefinizione delle istituzioni nazionali in funzione di quelle comunitarie.

E’ da questo livello che va letta la presente crisi politica; Renzi è odioso, Conte è una persona per bene, Draghi è il salvatore della patria ma nessun evento è correttamente interpretabile se continuiamo ad astrarci dalla “foresta” dell’UE.

Allora la crisi politica va vista come crisi di una classe politica indecente ma che non è di per se il male assoluto in quanto è “solo” il prodotto di una grande borghesia storicamente subalterna, senza capacità progettuale e spesso servile come lo è stata durante la guerra fredda verso gli USA.

Insomma una classe dominante e non certo dirigente oggi entrata nel ridisegno della UE che lascia indietro non solo il lavoro dipendente, le classi subalterne e distrugge lo Stato Sociale, come la pandemia ha ampiamente dimostrato, ma si appresta a gettare a mare quella piccola e media borghesia “imprenditoriale” e i ceti parassitari che sono stati la base sociale di una Italia sostanzialmente reazionaria e anticomunista ma che ora non serve più per sostenere la competizione a cui è chiamata l’UE.

Questa “macina” produrrà i suoi effetti strutturali nel tempo ma quelli sul quadro politico nazionale sono immediati. Dalla precedente crisi, concretizzatasi con il governo Monti nel 2011, le contraddizioni di classe e quelle spurie del nostro sistema sociale si sono manifestate con due fenomeni nuovi quali quello, principale, della nascita del M5S come soggetto fortemente conflittuale verso l’assetto politico-istituzionale, a cominciare da Berlusconi, e quello della Lega salviniana proiettata sul piano nazionale nel tentativo di superare l’origine settentrionale della Lega Nord bossiana.

Il salto attuale prodotto dalla Pandemia e dal riequilibrio delle forze internazionali ha superato la condizione precedente ridisegnando, sotto l’egida della UE, le forze politiche, le alleanze e l’impianto istituzionale del paese come è avvenuto per il taglio del numero dei parlamentari perorato proprio dalle nuove forze politiche.

L’accucciamento del M5S al potere finanziario, da loro sempre denunciato, e il ritorno alla Lega Nord, quale rappresentanza della piccola e media impresa legata a doppio filo alla “locomotiva” germanica, sono la riduzione a cui sono arrivate le forze populiste e sovraniste che tanto hanno terrorizzato i bravi democratici del nostro paese, ovviamente di sinistra.

Il miracolo di Draghi è stato esattamente quello di aver colto il frutto maturo, o marcio a seconda dei punti di vista, di un sistema politico imballato in cui le non più nuove forze chiamate al governo del paese hanno mostrato tutta la loro inconsistenza non riuscendo ad emancipare i settori sociali da loro rappresentati dalla subalternità alla grande borghesia italiana in via di integrazione con quella europea.

Questa mancata, ma dal punto di vista dei comunisti impossibile, emancipazione non avviene dentro un recupero prodotto dalla crescita economica ma dentro la crisi più difficile e profonda che l’occidente abbia mai conosciuto nel secondo dopoguerra. Dunque non è difficile sostenere che la crisi delle precedenti rappresentanze “eterodosse” accentua le molteplici contraddizioni in atto e ciò riapre in tempi non lunghissimi il nodo della rappresentanza politica dei settori sociali subalterni.

In questa analisi non possiamo evitare un rapido inciso sul ruolo del PD, e della sinistra alla LeU e affini, che avendo accettato l’egemonia dell’avversario si sono limitati a galleggiare nel quadro politico facendo da spettatori e giocando di rimessa sulle contraddizioni degli altri. Anche se, va detto, con una segreteria di Zingaretti più accorta e forti solo di essere dei nani sulle spalle del “gigante” UE. Spalle sulle quali si vanno ad aggregare i pentastellati oltre che la ormai esausta sinistra nostrana in un potenziale polo politico “democratico”.

Lotta contro/rottura della UE e rappresentanza politica delle classi subalterne sono le questioni non superate e che ora si ripropongono con la testardaggine dei fatti nelle condizioni che stanno emergendo dalla profonda crisi di sistema e di egemonia che gli apparati ideologici borghesi cercano di nascondere ma che diviene palese nonostante i tentativi di mistificazione.

Crisi di egemonia che ripropone l’attualità del socialismo dentro le contraddizioni del presente modello sociale come hanno improvvisamente e inaspettatamente svelato gli aiuti cubani e cinesi portati al nostro sistema sanitario proprio nelle regioni “dell’eccellenza” sanitaria nel Nord.

Da tempo la RdC va sostenendo, teoricamente, politicamente e analiticamente che questi sono i punti su cui la sinistra di classe può fare un salto qualitativo rompendo la stagnazione e rilanciando il conflitto politico e sociale nel paese. Non è certo un caso che è proprio su questi due elementi che si sta incentrando la crisi istituzionale e quella dei partiti. Ne certamente la macchietta di Fd’I può candidarsi a raccogliere l’eredità di “rottura” reazionaria che prima Berlusconi e poi Salvini hanno tentato di rappresentare.

Nella chiarezza dei riferimenti politici alti, dalla denuncia del ruolo della UE alla attualità del socialismo, è necessario lavorare per la costruzione di un fronte di forze rappresentative della crisi sociale e politica. Inclusa la contraddizione che sta attraversando il M5S che sembra poter produrre fratture forse ai vertici del movimento ma sicuramente nella sua base che per il 40% ha votato contro Draghi.

La RdC intende promuovere la propria iniziativa politica in questo senso in tutte le sedi possibili e poiché siamo convinti che la realtà che abbiamo di fronte vada anche interpretata nelle sue intime dinamiche vogliamo aprire nelle prossime settimane con un Forum di confronto ampio una fase di approfondimento sui caratteri del passaggio attuale che, come abbiamo più volte affermato, ha lo spessore della storia.

12 Febbraio 2021

* Rete dei Comunisti

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