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USB non firma i protocolli anti-Covid e sulla vaccinazione nei luoghi di lavoro

L’USB ha deciso di non firmare la revisione del Protocollo sulle misure anti-Covid nei luoghi di lavoro la cui prima stesura, nel marzo 2020 allo scoppio della pandemia, avevamo già ritenuto assolutamente inadeguata e insufficiente a garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro, tanto da aver proclamato uno sciopero generale il 25 marzo a tutela dei lavoratori e delle lavoratrici esposte al rischio di contagio.

Se la logica sottesa al Protocollo rimane la stessa, cioè la produzione e il profitto delle imprese ad ogni costo, l’aggiornamento riesce persino a peggiorare la versione iniziale, soprattutto alla luce del fatto che le giustificazioni emergenziali della prima ora non possono di certo essere riproposte ad un anno di distanza e in un Paese che ha visto oltre 110mila morti causati dalla pandemia.

Le misure inadeguate sul distanziamento, che non recepiscono neanche le raccomandazioni emanate dal Ministero della Salute e dall’ISS alla luce delle nuove varianti del virus, sulla scelta e sull’utilizzo dei DPI, sul mancato obbligo per i datori di aggiornare il DVR, continuano a evidenziare che più che sulla salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici l’attenzione sia centrata sulla tutela delle imprese.

Una sorta di scudo per mettere al riparo le imprese e una pezza calda sulla coscienza dei sindacati firmatari.

Vengono mantenute nella disponibilità delle aziende l’avvio delle procedure della CIG, l’utilizzo delle ferie, delle ROL, della banca ore e, nel caso non fossero sufficienti, si prevede l’utilizzo delle ferie arretrate e di quelle non ancora fruite.

Dopo oltre un anno di stipendi e tredicesima impoveriti dalla cassa integrazione, non c’è alcun passaggio che preveda la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, l’unica risposta necessaria per rimodulare l’organizzazione del lavoro garantendo salario e salute.

Nessun aggiornamento sugli effetti dello smart working, sull’esercizio dei diritti sindacali, sulle prerogative degli RLS e delle RSU in tema di sicurezza.

Identico rifiuto opponiamo al “Protocollo per la vaccinazione nei luoghi di lavoro” che, fin dalla premessa, rivendica il ruolo del governo, Confindustria e Cgil Cisl e Uil nell’aver consentito “l’obiettivo primario” della prosecuzione delle attività commerciali e produttive in piena pandemia che, ad oggi, ha prodotto 160mila infortuni sul lavoro; un numero che fotografa solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più vasto, considerate le numerose categorie non tutelate dall’Inail.

La vaccinazione nei luoghi di lavoro si pone oggettivamente in concorrenza con la campagna vaccinale nazionale, bypassando completamente i criteri di età e fragilità, alimentando disuguaglianze tra i lavoratori – esclusi i lavoratori e le lavoratrici della Pubblica Amministrazione – e tra chi un lavoro ce l’ha e chi è costretto a pagare un ulteriore scotto alla disoccupazione, alla precarietà, al lavoro sommerso.

Un protocollo che aggiunge al danno la beffa di un servizio pubblico, l’Inail, chiamato a mettere a disposizione la propria rete territoriale e il proprio personale – in assoluta carenza – e ad accollarsi i costi delle vaccinazioni per le piccole imprese (il 60/70% del totale!) senza che neanche lo stesso personale dell’Inail – nonostante l’età media avanzata e la funzione pubblica svolta all’utenza – abbia la possibilità di accedere ai vaccini!

A oltre un anno dall’inizio della pandemia continuiamo ad assistere ad una sanità pubblica che arranca in assenza di strutture e personale, a cui si affianca una campagna vaccinale che, subordinata ai ricatti delle case farmaceutiche e alle politiche fallimentari della UE, è molto lontana dai numeri forniti dalla propaganda. Noi non saremo complici!

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