Venerdì scorso, dopo l’ultima intesa tra Draghi e la Commissione Europea, il ministro Franco ha presentato durante la seduta del Consiglio dei Ministri la versione definitiva del PNRR, il piano di investimento per le risorse destinate all’Italia dal Recovery Fund europeo, il più grande long-term budget nella storia dell’Unione.
Non si scenderà qui nel merito delle 300 pagine di obiettivi, progetti e proiezioni presentate dal Ministro, che meriterebbero un’analisi dettagliata da affrontare separatamente, ma si tratterà la distribuzione delle risorse tra gli enti locali prevista dal governo Draghi: in base ai criteri applicati per la distribuzione dei fondi, al Sud verrà destinato circa il 40%, mentre secondo i parametri utilizzati dall’UE avrebbe diritto al 68%.
Facciamo un passo indietro.
Nel Luglio 2020, dopo lunghi bracci di ferro e polemiche più o meno legittime, venne approvato dal Consiglio Europeo il pacchetto di misure dal valore complessivo di 750 Miliardi conosciuto come Next Generation EU (o Recovery Fund, che dir si voglia).
La Commissione Europea calcolò le percentuali dei fondi da destinare ai paesi membri con un algoritmo, la cui formula, contenuta nel 1° allegato del documento già pubblicato il 2 Giugno 2020, si basava su tre parametri fondamentali: Popolazione, PIL pro capite e tasso di disoccupazione.
Dunque, quando in base all’algoritmo l’UE ha assegnato all’Italia circa 209 Miliardi, ovvero quasi il 28% delle risorse complessive, ciò è avvenuto in virtù di una situazione particolarmente problematica descritta dai suddetti parametri.
A rendere così significativa la percentuale dei fondi destinata all’Italia è stata evidentemente la condizione socio-economica svantaggiata delle regioni meridionali e delle isole, che occupano quasi interamente le ultime posizioni nelle classifiche UE relative a disoccupazione e PIL pro capite.
Infatti, come venne subito fuori dai calcoli effettuati da diversi sindaci meridionali e poi confermati da Marco Esposito ed altri giornalisti e studiosi, il Centro-Nord da solo avrebbe ottenuto in base all’algoritmo circa 74 Miliardi, mentre il Sud ha contribuito ai 209 miliardi destinati all’Italia con una “dote” di circa 135 Miliardi.
Dunque risulta chiaro che, applicando gli stessi parametri scelti dall’Unione, il governo italiano dovrebbe destinare alle regioni del Mezzogiorno circa il 68% delle risorse.
Inutile dire che, fin dal primo momento, in Italia il governo è sembrato propendere in un’altra direzione.
Già a Luglio 2020, l’allora Ministro delle Infrastrutture del governo Conte bis, Paola de Micheli, parlava di destinare agli enti locali meridionali il 40% (circa 83 Miliardi), presentandolo come un particolare impegno nei confronti del Sud a cui invece, basandosi sulla clausola del 34% in vigore per gli investimenti ordinari (tra l’altro mai applicata), sarebbero spettati circa 71 Miliardi.
A quasi un anno di distanza, con il governo “dei migliori”, la cui evidente trazione nordista non lasciava assolutamente ben sperare, la situazione non è cambiata.
Nel frattempo la percentuale destinata all’Italia è scesa (i fondi ammontano oggi a 191,5 Miliardi di Euro) e i Ministri Franco e Carfagna hanno ribadito che al Sud verrà destinato circa il 40%.
Sulla base del calcolo che vorrebbe vedere assegnare al Sud circa il 68% dei fondi, in questi mesi è cresciuta progressivamente la mobilitazione da parte di diversi esponenti del panorama politico meridionale. La rete denominata Recovery Sud riunisce ad oggi circa 600 sindaci che hanno sottoscritto il “manifesto per il 68%” inviato al governo italiano, prima a quello guidato da Conte e poi a quello attuale guidato da Draghi, e a Ursula von der Leyen.
Da Roma nessuna risposta, mentre la Commissione Europea ha risposto diversi mesi or sono chiarendo che, nonostante i parametri utilizzati inizialmente dall’UE, gli unici vincoli imposti ai governi sulla distribuzione delle risorse sono quello del 37% da destinare alla Transizione Ecologica e quello del 20% per la digitalizzazione.
I Sindaci di Recovery Sud, dopo non aver ricevuto risposte neanche da parte del Governo Draghi, hanno deciso di alzare il livello della mobilitazione. Nelle ultime settimane decine di Sindaci pugliesi, calabresi e siciliani hanno occupato per diverse notti i Consigli Comunali in segno di protesta e il 25 Aprile circa 80 dei sindaci firmatari sono scesi in piazza a Napoli, insieme ad associazioni e movimenti meridionalisti, per rilanciare la rivendicazione del 68% e consegnare una lettera al Prefetto di Napoli a nome della rete.
La Manifestazione, tenutasi in Piazza Plebiscito, ha raccolto anche interventi da parte di esponenti di organizzazioni politiche e sindacali, lavoratori, disoccupati o semplicemente di cittadini che hanno raccontato concretamente le conseguenze che decenni di sperequazione e iniquità nella distribuzione delle risorse hanno prodotto sulle condizioni di vita al Mezzogiorno.
L’attivismo dei sindaci e altri esponenti istituzionali, insieme al lavoro di studiosi, giornalisti, centri di ricerca, associazioni e movimenti meridionalisti ha rafforzato la rivendicazione del 68% e negli ultimi giorni sono arrivate diverse dichiarazioni dal governo sull’argomento, per mezzo del Ministro Carfagna. La settimana scorsa il Ministro ha dichiarato:
“È vero che un anno fa, quando l’Europa varò l’operazione del Next Generation EU, la suddivisione dei fondi tra gli Stati fu decisa in base a un algoritmo che valorizza i dati del Pil, del numero degli abitanti e della disoccupazione. È vero che quel principio, se fosse stato adottato a livello nazionale per dividere i fondi tra Nord e Sud, avrebbe premiato il Sud con una quota superiore al 60%. Ma questo non è successo. L’esecutivo dell’epoca ha scartato l’idea e ha costruito diversamente l’impalcatura del Recovery Plan sulla quale tutti noi, successivamente, abbiamo dovuto lavorare”.
Al di là di un ingiustificato scaricabarile nei confronti del Governo precedente, mentre è ben noto che l’attuale esecutivo avrebbe potuto correggere il tiro, il Ministro ha esplicitamente ammesso che l’UE aveva inizialmente destinato all’Italia 209 miliardi sulla base della condizione economica e sociale del Mezzogiorno, mentre lo Stato italiano, una volta ottenuti i finanziamenti ha cambiato i criteri adottati dall’Unione in modo da sottrarre circa 60 miliardi al Sud: dai 142,12 miliardi si scende al 40% (83,6 miliardi).
Quando la manifestazione di Napoli era ancora in corso, la Carfagna ha attaccato duramente i sindaci di Recovery Sud sul suo profilo Facebook, invitandoli stavolta ad accogliere positivamente la percentuale del 40% e a pensare piuttosto a spenderli bene, tirando fuori la sempreverde storia del Mezzogiorno colpevole della sua stessa condizione di subalternità per incapacità della sua classe politica.
Ieri, ancora, il Ministro ha dichiarato a La Repubblica che in realtà sono in arrivo al Sud oltre 200 Miliardi di investimenti, tirando goffamente dentro la spesa pubblica ordinaria e altre linee di finanziamento UE.
In ogni caso ad oggi, nei giorni in cui il PNRR dovrà essere approvato dalle Camere, le posizioni del Governo restano identiche. I Sindaci di Recovery Sud hanno rilanciato la mobilitazione, ed è stata pubblicata una lettera aperta ai parlamentari meridionali invitandoli a prendere posizione e, addirittura, a provare a bloccare il Piano in Parlamento a meno che non venga rispettata la rivendicazione del 68%.
Il Sud va dunque incontro all’ennesimo scippo, da sommare a quello perpetrato negli ultimi 20 anni con la mancata assegnazione delle spettanze relative al target perequativo e alla clausola del 34% sugli investimenti ordinari, e alle discriminazioni territoriali prodotta dalla mancata definizione dei L.E.P. (Livelli Essenziali di Prestazione).
Le risorse che lo stato centrale sta sottraendo alle regioni meridionali nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza avrebbero potuto rappresentare una concreta occasione per ridurre il divario ormai strutturale nei confronti delle regioni del Nord, mentre si stanno trasformando nell’ennesima occasione persa.
In questo senso, risulta oggi importante per chi vive al Sud, e vi vuole costruire il proprio futuro, sostenere mobilitazioni come quella di Recovery Sud. Serve unire diverse anime della società meridionale in una battaglia per una giusta ed equa distribuzione del Recovery Plan e di tutte le risorse gestite dallo stato centrale, augurandosi che possa essere il primo passo verso l’apertura di una nuova fase storica in cui il divario strutturale Nord-Sud apparterrà al passato.
Nella condizione in cui ci troviamo dopo 160 di unità e oltre 75 di storia repubblicana è necessario che si apra finalmente un processo lungo termine che, a partire dalla presa di coscienza della posizione di cittadini di Serie B a cui veniamo continuamente relegati all’interno dello stato italiano, sia capace di invertire questa tendenza.
Un passaggio fondamentale di questo processo è sicuramente la formazione di una forza politica autonoma, in grado di individuare e rappresentare realmente gli interessi dei territori meridionali e delle loro comunità contro uno stato centrale discriminatorio e i suoi complici e, quando necessario, di sperimentare forme di autonomia e autodeterminazione politica, economica e produttiva.
Nel frattempo c’è bisogno di moltiplicare i momenti di inchiesta, studio e confronto per approfondire la più che mai attuale “questione meridionale”, a partire dal punto di vista e dai bisogni dei lavoratori e delle classi popolari del Mezzogiorno.
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