Le testimonianze oculari sui possibili responsabili della strage di Bologna avvenuta alle ore 10:25 del 2 agosto 1980 si riferiscono a persone sospette viste all’interno della locale stazione ferroviaria o nei suoi pressi prima dell’esplosione, poco dopo o addirittura la sera del giorno prima.
Il 2 agosto, alle ore 23.50, il signor Gian Piero Sabbatani si presenta negli Uffici del Comando del posto di Polizia Ferroviaria di Bologna presso la stazione centrale e dichiara di aver visto la sera precedente, verso le ore 19,00, un uomo fermo all’angolo davanti all’ex Bar Vapore sito in via Pietramellara che, “rivolto verso la stazione Centrale, scattava con una macchina fotografica delle foto.” (Processo verbale di esami testimoniali, dichiarazioni rese dal signor Gian Piero Sabbatani il 2 agosto 1980, a Bologna, negli Uffici del Comando del posto di Polizia Ferroviaria presso la stazione centrale delle F.S., alle ore 23,50).
Quell’uomo, alto circa m. 1,80, dai capelli mossi di colore rossiccio, col viso ovale e dall’apparente età fra i 28 e i 30 anni, “si spostava coprendosi dietro una delle colonne ivi esistenti” come se non volesse farsi vedere e non si è mai saputo chi fosse e perché avesse quello strano comportamento.
Di un altro fatto curioso si racconta il giorno successivo.
Il 3 agosto 1980 il signor Cesarino Carboni parla di un uomo di circa 30-35 anni, alto m. 1,75-1,80, di corporatura normale tendente al magro, capelli di color scuro di lunghezza normale, di carnagione scura, con viso lungo magro, che alle 10,35 del giorno prima, indossando blue jeans e maglietta azzurra e mentre la gente correva in tutte le direzioni o attraversava il passaggio pedonale con il segnale “alt”, si trovava all’esterno della stazione ferroviaria bolognese, era molto calmo e “comunicava con una radio portatile qualcosa che non sono riuscito a capire”.
(Processo verbale di sommarie informazioni testimoniali rese dal signor Cesarino Carboni il 3 agosto 1980, a Bologna, negli uffici del Nucleo Operativo Carabinieri, alle ore 14,20).
Pure in questa circostanza, non si sa chi fosse quell’uomo. Forse si trattava di un poliziotto in borghese, ma non corrispondeva a nessuno dei condannati in via definitiva e nemmeno alle altre persone, come il tedesco di estrema sinistra Thomas Kram dalla carnagione chiara, messe sotto inchiesta nella poi archiviata “pista palestinese” per la strage di Bologna.
Un’altra testimonianza “è stata raccolta al centro traumatologico di Bologna dove con il viso orribilmente ustionato e gravi ferite in tutto il corpo è ricoverato Rolando Mannocci 54 anni, ferroviere, abitante a Livorno. Era a Bologna nella sala di attesa della seconda classe con la moglie Lina Ferretti che è morta.
«Poco prima dell’esplosione – ha detto Rolando Mannocci alla figlia e al fratello accorsi al suo capezzale – ho notato due giovani aggirarsi nella sala. Li ho seguiti per un po’ con lo sguardo. Ho visto che hanno posato un qualche cosa, forse una valigia, proprio nell’angolo dove dieci minuti dopo è avvenuta l’esplosione. Non mi sono insospettito, non c’era alcun motivo perché lo dovessi essere. Erano due come tanti altri. Invece forse… »…”
(tratto da “Cossiga: «Faremo di tutto per impedire che la violenza mieta nuove vittime»”, La Stampa, 04.08.1980).
Più precisamente, Rolando Mannocci “avrebbe visto due giovani, un uomo e una donna. Quest’ultima gli sarebbe rimasta maggiormente impressa, per via della capigliatura bionda, con la permanente” (articolo di Silvano Romano, Il Tempo, 05.08.1980).
Questa testimonianza però, dal punto di vista giuridico, non ha nessun valore perché non è mai stata ufficializzata e sviluppata dettagliatamente.
Infatti, dopo il breve verbale del 5 agosto 1980 firmato da un maresciallo con cui si prende atto dell’impossibilità di avere una testimonianza ufficiale da parte del livornese a causa delle sue cattive condizioni fisiche, Rolando Mannocci è stato per un paio di anni in giro da un ospedale all’altro e poi è rimasto invalido al 100% fino al giorno della morte, avvenuta nel 2010, e di fatto non è mai stato interrogato sui due giovani sospetti visti nella sala di attesa della seconda classe della stazione bolognese.
(vedasi: https://www.radioradicale.it/scheda/556590/processo-per-la-strage-di-bologna-imputato-gilberto-cavallini, testimonianza di Paola Mannocci, figlia di Rolando Mannocci, e intervento dell’avvocato Alessandro Pellegrini; udienza del “Processo per la strage di Bologna – imputato Gilberto Cavallini” che si è tenuta a Bologna mercoledì 14 novembre 2018).
Un significativo valore hanno invece le testimonianze di Emilio Vettori e di Ford (Ermanno Rizzo) rilasciate rispettivamente il 3 agosto e il 19 agosto del 1980.
Nella prima si parla di due giovani sospetti, visti all’interno della stazione ferroviaria poco prima della strage, ma sono ricordate a sufficienza soltanto le caratteristiche fisiche di uno di loro.
Nella seconda si fa riferimento a tre persone (due uomini e una donna) di cui sono rammentate abbastanza bene le caratteristiche fisiche.
Soprattutto sulla base delle informazioni ricavate da questi due testimoni la polizia elabora i fotofit di tre uomini e una donna e li distribuisce sabato 23 agosto 1980 nel corso di una conferenza stampa a Bologna:
«Se queste persone si riconoscono nell’identikit – ha affermato il Questore – le invitiamo a presentarsi. Si tratta di un mero controllo di piste collaterali; non è assolutamente la proclamazione di una ricerca. Se vorranno dare informazioni utili, noi prenderemo atto»”. (“Bologna: c’è ora anche la pista dei fascisti mercenari all’estero”, di Angelo Scagliarmi, in L’Unità, 24.08.1980).
In modo a dir poco discutibile, qualcuno parla ufficialmente dei quattro fotofit come se si riferissero a “piste collaterali” ma, in realtà, puntano a ricercare i possibili autori materiali della strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Gettiamo perciò un velo pietoso su tale argomento e, senza dimenticare nulla, andiamo avanti.
Il primo fotofit si riferisce ad un uomo dai 20 ai 25 anni circa, alto 1 metro e 70 centimetri o un po’ meno, con una corporatura leggermente robusta, colorito olivastro, aspetto ordinario, capelli scuri e ricci che, secondo Emilio Vettori, sarebbero stati “molto stretti, forse anche fatti con permanente”.
Riguarda un probabile autore della strage e da esso è stato poi ricavato un ulteriore passaggio dell’identikit.
Il secondo è relativo ad un uomo di 40-45 anni, alto m 1,78 circa, corporatura longilinea, viso allungato, colorito chiaro, occhi chiari, capelli castano chiari, lisci e non folti, tipo anglosassone. Indossa un completo color grigio chiaro a righe bianche verticali, camicia bianca con cravatta. Parla italiano con accento settentrionale.
Tale uomo è definito come uno dei tre presunti autori con la valigia.
Il terzo fotofit riguarda un uomo di circa 40 anni, alto grosso modo 1 metro e 78 centimetri (ricontrollare), corporatura atletica, viso tondeggiante, colorito olivastro, capelli neri, folti e leggermente ondulati. Indossa una maglietta bianca a girocollo con alcune scritte e disegni sul davanti. Parla in italiano.
Tale uomo, in modo identico a quello del precedente fotofit, è definito come uno dei tre presunti autori con la valigia.
Il quarto fotofit rappresenta infine il volto di una donna dai 21 ai 25 anni, alta m 1,72 circa, corporatura snella, colorito chiaro, lunghi capelli biondi sulle spalle, spalle medie, viso leggermente truccato, di bella presenza, occhi azzurri, labbra tinte di color rosa, tipo latino. Ha delle fossette ai lati della bocca. Indossa un mini abito color viola pallido con cintura bianca e fibbia dorata. Parla in italiano.
Tale persona è definita come la “donna che si accompagnava a due uomini presunti autori della strage”.
La sentenza di condanna definitiva della Cassazione contro Francesca Mambro e Valerio Fioravanti lascia intendere, senza prove rappresentative e sufficienti, che i due avrebbero collocato i materiali esplosivi nella sala d’aspetto della stazione di Bologna e che nei primi giorni di agosto del 1980 la Mambro avrebbe avuto i capelli biondi:
“… lo stesso Valerio Fioravanti aveva riconosciuto, nel corso degli interrogatori ai quali era stato sottoposto dopo il suo arresto, che poiché nei giorni successivi alla strage era apparsa sulla stampa la notizia secondo la quale la polizia ricercava una donna dai capelli biondi, egli si era preoccupato per la Mambro, benché escludeva di averle suggerito di tingersi i capelli per non insospettire coloro che la conoscevano e la frequentavano: ne consegue che non è illogica la conclusione che da tali dichiarazioni ha tratto la sentenza impugnata e cioè che dopo il 2 agosto 1980 effettivamente i capelli biondi della Mambro avevano rappresentato un problema per gli imputati.”
(tratto da: sentenza della Cassazione del 23-11-1995 relativa al processo sulla strage di Bologna).
In realtà questo ricordo di Valerio Fioravanti è infondato ma i giudici della Cassazione lo ritengono attendibile! La notizia della donna bionda ricercata per la strage di Bologna non appare infatti “nei giorni successivi alla strage” ma sabato 23 agosto 1980, tre settimane dopo la strage stessa.
Qualcun altro, quaranta anni dopo, ad esempio Paolo Cucchiarelli (vedasi le pagine 600 e 601 del suo libro “Ustica & Bologna”, La nave di Teseo editore, Milano, 2020), cade in un errore ancora più grave: pensa che i quattro fotofit si riferiscano ad altrettante persone che militavano nell’organizzazione neofascista denominata Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari): il primo a Giusva Fioravanti, il secondo a Gilberto Cavallini, il terzo a Giorgio Vale e il quarto a Francesca Mambro.
In realtà, Giusva Fioravanti, oltre a simili caratteristiche di età e corporatura, ha una vaga somiglianza rispetto alla figura del primo fotofit; d’altra parte, poiché nel 1980 i suoi capelli naturali sono castani e lisci, lui può aver messo una parrucca o fatto una permanente e tinto i capelli per averli scuri e ricci ma ciò non significa che esistano elementi sufficienti per collegarlo con certezza a tale figura.
Gilberto Cavallini, pur avendo un volto a tratti somigliante rispetto alla figura del secondo fotofit e pur parlando con un accento settentrionale come succede a chi, come lui, è nato a Milano, nell’agosto 1980 ha quasi 28 anni e non certo 40-45; potrebbe aver “invecchiato” se stesso in qualche modo ma senza dubbio non è stempiato come la figura del secondo fotofit.
Giorgio Vale, che al tempo della strage di Bologna è un giovane di poco meno di 18 anni ed è leggermente stempiato, ha ben poco a che vedere con la figura del terzo fotofit raffigurante un uomo di circa 40 anni.
Francesca Mambro, pur avendo 21 anni nel 1980, è una donna più bassa rispetto alla figura femminile raffigurata nel quarto fotofit (alta circa m. 1,72) e, a differenza di quest’ultima, ha gli occhi castani e non certo azzurri; è vero, potrebbe averne cambiato il colore usando delle lenti a contatto azzurre; inoltre, potrebbe aver messo una parrucca bionda perché, secondo le testimonianze di Massimo Sparti e Mirella Cuoghi, nei primi giorni di quel mese lei avrebbe avuto i capelli castani con riflessi rossi.
Queste due testimonianze meritano però di essere analizzate più in generale per meglio capirne il significato.
L’indizio fornito da Massimo Sparti
Secondo Massimo Sparti, soggetto legato ad ambienti dell’estrema destra e della criminalità organizzata, il 4 agosto 1980 Giusva Fioravanti e Francesca Mambro sarebbero andati nella sua casa romana e gli avrebbero chiesto di reperire al più presto possibile dei documenti falsi, una patente e una carta d’identità, in quanto necessari alla donna militante dei Nar.
(verbale di Massimo Sparti del giorno 11 aprile 1981, reso ai P.M. Capaldo e Guardata di Roma, e riportato anche nel verbale dell’udienza del 15.07.1997 presso il Tribunale dei minori di Bologna contro Luigi Ciavardini).
A proposito di tale incontro, la sentenza del Tribunale dei minori di Bologna emessa il 30.01.2000 nei confronti di Luigi Ciavardini, imputato per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, prende in esame, tra l’altro, le dichiarazioni fatte dallo Sparti nel corso dell’udienza dibattimentale del 15.07.1997 o in precedenza ma riprese in quell’ambito (cfr. il relativo verbale, faldone n. 19) di cui si riportano qui alcuni stralci:
“Pubblico Ministero: Sparti, lei cerchi di riferirci le parole di … le parole e i comportamenti, le valutazioni sue se le tenga per sé. Allora, Valerio (Fioravanti, n.dr.) il primo riferimento che fa alla città di Bologna è ‘Hai sentito che botto’, poi dice qualche cosa in ordine alla città di Bologna?
Teste: Dice proprio che lui stava alla stazione, non mi ha detto in che ora, ma che stava alla stazione di Bologna e che, ma, secondo lui era vestito un po’ da tirolese come mi ha detto a me, cioè non so se c’aveva i calzoncini o cose del genere insomma alla tedesca.
Pubblico Ministero: Era da solo lui?
Teste: No, con la Mambro.
Pubblico Ministero: E della Mambro cosa diceva?
Teste: Aveva paura che qualcuno li avesse visti che potevano riconoscerla potevano, non so se gli aveva fatto tingere i capelli, poi si vedeva che erano tinti, va be. ” (primo stralcio).
Su quest’ultimo argomento, il 5 maggio 1982 Sparti aveva fatto questa precisazione: “il particolare che la Mambro si fosse tinta i capelli mi fu dichiarato da Valerio e io potei constatarlo personalmente in quanto i capelli della Mambro avevano degli strani riflessi rossicci come se al colore naturale fosse stato sovrapposto un colore artificiale” (secondo stralcio).
Quello stesso giorno, inoltre, Sparti aveva detto: “devo peraltro rettificare quanto precisato nelle precedenti deposizioni circa il giorno della visita del Valerio e della Mambro. Infatti quando ho deposto ho precisato la data del 4 agosto. Ma poi, andando ai miei movimenti del mese di agosto e parlandone in famiglia, mi sono dovuto ricredere: non sono cioè affatto sicuro che la visita abbia avuto luogo il 4 agosto. In definitiva non so dire in quale epoca Valerio Fioravanti e la Mambro siano venuti a casa mia (…); non essendo in grado di precisare la data, l’incontro con Fioravanti e la Mambro potrebbe essere avvenuto anche ai primi di settembre, ma non era passato molto dalla strage.” (terzo stralcio).
In seguito, nel verbale di interrogatorio del 31 gennaio 1987 al magistrato della Procura della Repubblica di Bologna lo Sparti cambia versione e ricomincia a parlare del 4 agosto 1980 come giorno del sopra citato suo incontro con Valerio Fioravanti e Francesca Mambro:
“Al magistrato della Procura della Repubblica di Bologna che si era recato a interrogarlo (31.01.1987) dopo avere preso visione del documento sequestrato, lo Sparti forniva, tra molti altri, i seguenti chiarimenti: ‘per quanto riguarda le pressioni a modificare la mia versione sulla strage di Bologna, dopo l’intervento iniziale dell’avvocato De Cataldo di cui ho detto (‘mi redarguì con asprezza dicendomi che mi ero cacciato in un ginepraio), fu successivamente mia moglie a invitarmi più volte a togliermi dai pasticci dicendomi anche che era sufficiente che io dichiarassi che il documento per la Mambro era stato richiesto mesi prima, che io mi confondevo con le date e che nel mese di agosto, anzi il 4 di agosto eravamo a Prato allo Stelvio ….
A questo punto possono comprendersi appieno le dichiarazioni rese dallo Sparti al dibattimento di primo grado, dichiarazioni che si sono riportate più sopra e che hanno avuto questa appendice conclusiva: ‘il fatto del 4 agosto che non era sicuro è perché in quel mese io e la mia famiglia siamo andati a Prato allo Stelvio per una vacanza e anche in seno alla famiglia c’era insistenza nel dirmi che non era sicuro. Non è sicuro il 4, noi stavamo a Prato allo Stelvio, dicevano che mi ero dimenticato e sbagliato. Invece io sono sicurissimo che non mi sbaglio, perché noi il 4 stavamo a Roma e dopo qualche giorno siamo partiti e penso che questo sia accertabile anche dai registri degli alberghi.” (quarto stralcio).
In sintesi, secondo Massimo Sparti, il 4 agosto 1980 Valerio Fioravanti avrebbe affermato che due giorni prima si trovava alla stazione di Bologna, “vestito un po’ da tirolese” e in compagnia di Francesca Mambro.
I giudici hanno ritenuto che questo indizio, al quale ne hanno aggiunti altri di minore importanza, fosse fondamentale per condannare i due militanti dei Nar come autori della strage e poi, sulla scia della sentenza definitiva del loro processo ma in due diversi procedimenti e sia pur con meno indizi, per condannare anche Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini come responsabili di quell’eccidio.
Prova indiziaria e prova rappresentativa
La testimonianza di Massimo Sparti costituisce un semplice indizio contro Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.
In linea di principio, ogni prova indiziaria è di per sé discutibile in quanto fa oscillare gli elementi accusatori fra l’insufficienza e la sufficienza in base al libero convincimento dei giudici.
Quando invece ad una prova indiziaria si aggiunge una prova rappresentativa che la conferma, la situazione cambia e gli elementi accusatori tendono ad essere meno fragili.
D’altra parte, pur non essendo di per sé indiscutibile se non documenta in maniera oggettiva e inequivocabile la responsabilità di qualcuno verso questo o quel reato, una prova rappresentativa non deve e non può essere sottovalutata e di certo risulta essere più importante di un semplice indizio se ad esempio attesta la presenza di una persona sospetta nel luogo del delitto o nei suoi pressi poco prima del delitto stesso.
In questo senso va presa in considerazione la testimonianza di Mirella Cuoghi avutasi il 14 novembre 2018 nel corso del processo a Gilberto Cavallini per la strage di Bologna.
(Vedasi: https://www.radioradicale.it/scheda/556590/processo-per-la-strage-di-bologna-imputato-gilberto-cavallini ).
La prova rappresentativa fornita da Mirella Cuoghi
Qui si sta parlando, mediante una prova rappresentativa, non tanto della responsabilità di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro nell’aver collocato dei materiali esplosivi nella sala d’attesa di seconda classe della stazione di Bologna nella mattinata del 2 agosto 1980 ma della presenza di Francesca Mambro in abiti tirolesi, assieme ad altre due persone di sesso maschile, anch’esse vestite in quel modo, nelle vicinanze della stazione di Bologna poco prima delle ore 10,25 di quel giorno.
La testimonianza di Mirella Cuoghi è concentrata sulla figura di una donna che, sulla base di alcune foto segnaletiche presentatele da chi svolgeva le indagini, somigliava a Francesca Mambro.
Ebbene, questa novità non costituisce una prova inconfutabile per accusare Francesca Mambro, né tantomeno Valerio Fioravanti, di aver compiuto la suddetta strage. Risulta però compatibile rispetto all’indizio costituito dalla testimonianza di Sparti ed è molto più importante se messa in rapporto ad esso.
Il paradosso, pertanto, è questo: Mirella Cuoghi, sentita per la prima volta in data 18.11.1983 da quattro magistrati che insieme stavano conducendo le indagini e intervistata in modo anonimo dal giornalista Riccardo Bocca che ne riportò la testimonianza nel libro “Tutta un’altra strage” pubblicato nel 2007 da Biblioteca Universale Rizzoli, stranamente è stata ascoltata, verbalizzata e registrata solo durante il processo a Gilberto Cavallini e quindi molti anni dopo la condanna definitiva, espressa nella sentenza della Corte di Cassazione del 23 novembre 1995, nei confronti di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.
Nella sentenza della Corte d’Assise di Bologna contro Gilberto Cavallini, invece, si afferma che Valerio Fioravanti e Francesca Mambro non entrarono in azione all’interno di quella stazione altrimenti molte persone li avrebbero notati a causa di un abbigliamento a dir poco appariscente, ma avrebbero consegnato ad altre persone i materiali esplosivi che poi provocarono la strage e lo affermano senza fornire la benché minima prova necessaria a dimostrarlo:
“Mambro e Fioravanti (+ 1), vestiti da tirolesi nella sala d’attesa, sarebbero stati quindi a rischio di numerosi identikit, sovrapponibili e idonei a condurre a loro due (o tre). Fioravanti era un latitante con un passato assai poco tranquillizzante, e Mambro era la sua donna.
È quindi assai discutibile pensare che siano stati loro a introdursi nella sala d’attesa e lasciare la bomba, abbigliati a quel modo, mentre è del tutto verosimile che abbiano trasportato l’esplosivo e, restando a debita distanza dalla stazione, lo abbiano consegnato ad altri, che a loro volta lo depositarono nella sale d’attesa, è del tutto verosimile che fossero in Piazza XX Settembre”.
(Sentenza della Corte d’Assise di Bologna del 9 gennaio 2020 contro Gilberto Cavallini).
Grazie alla testimonianza di Mirella Cuoghi, la sentenza della Corte d’Assise di Bologna contro Gilberto Cavallini evidenzia non soltanto la genericità indiziaria della sentenza di condanna definitiva nei confronti del Fioravanti e della Mambro ma pure la contraddittorietà della sentenza di condanna della Corte di Appello nei confronti di Luigi Ciavardini con la quale si accusava quest’ultimo di aver contribuito non solo “alla fase preparatoria della strage compiuta il 2.8.1980 alla stazione di Bologna” ma pure “alla fase esecutiva del crimine” (Sentenza della Corte di Appello di Bologna del 13 dicembre 2004 contro Luigi Ciavardini ).
Tale sentenza, a sua volta, lascia intendere che “alla fase esecutiva del crimine” abbia partecipato anche la coppia costituita da Giusva Fioravanti e Francesca Mambro e ciò dimostra la scarsa logica usata dai giudici.
In realtà sulla presenza di Luigi Ciavardini nella stazione di Bologna o nei suoi pressi nella mattina della strage non esistono indizi o prove rappresentative per dimostrarlo.
L’eventuale presenza di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro nelle vicinanze della stazione di Bologna poco prima delle ore 10,25 del 2 agosto 1980 potrebbe invece significare una di queste diverse ipotesi:
– i due militanti dei Nar avevano a che fare con la strage in modo cosciente ma indiretto (come afferma la sentenza della Corte d’Assise di Bologna del 9 gennaio 2020 contro Gilberto Cavallini);
– si trovavano nel posto sbagliato e nel momento sbagliato in maniera del tutto casuale dato che la stazione ferroviaria di Bologna è un crocevia nel Nord Italia;
– la coppia Fioravanti-Mambro cadde in una trappola messa in atto da altre persone.
Fra queste tre ipotesi, la prima e la terza potrebbero aver avuto come regista il neofascista Massimiliano Fachini, un personaggio atlantizzato e statalizzato dalla Repubblica italiana.
Costui, una delle poche persone – assieme a Carlo Digilio – in grado di preparare i materiali esplosivi della strage di Bologna (vedasi: https://contropiano.org/news/politica-news/2020/08/02/i-materiali-esplosivi-della-strage-di-bologna-0130511 ), costruisce bene l’alibi per se stesso e poi s’incontra con un certo Signorelli.
Chi non ha invece la possibilità di trovare un alibi è Sergio Picciafuoco, un uomo che si trova all’interno della stazione di Bologna prima, durante e dopo la strage.
Sembra un essere umano fragile, sconosciuto e povero di buona fortuna ma qualcosa lo unisce allo stesso Massimiliano Fachini: la provocazione dei servizi segreti italiani a Camerino del 10 novembre 1972 contro alcuni militanti di estrema sinistra.
(vedasi:http://archivio900.globalist.it/it/documenti/doc.aspx?id=526).
Secondo Stefano Delle Chiaie, ex leader dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale, i materiali esplosivi di quella provocazione erano stati reperiti da Massimiliano Fachini.
I documenti ritrovati in quella circostanza, invece, facevano parte di uno stock di documenti in bianco rubati presso il Comune di Roma il 14 maggio 1972, lo stesso stock da cui è stato preso il documento poi usato da Sergio Picciafuoco nel 1980 e intestato a Enrico Vailati, proprio quello che lui, poco più di un’ora dopo la strage, presentò all’Ospedale Maggiore per farsi medicare una ferita.
Dal 1972, cosa di cui però si comincerà a sapere qualcosa in maniera pubblica solo dopo la strage di Bologna del 2 agosto 1980, i nomi di Massimiliano Fachini e Sergio Picciafuoco sono indissolubilmente uniti alla provocazione di Camerino dei servizi segreti contro la sinistra extraparlamentare, ma nel corso dei processi relativi alla strage di Bologna si è parlato poco e male di quel significativo collegamento che, di fatto, finì nel dimenticatoio.
Grazie anche a ciò, oltre che alle scelte schizofreniche dei giudici e alle loro passioni per le sentenze basate sui “sentito dire” dei “pentiti” dell’ultima ora, questi due uomini furono all’inizio condannati per la strage del 2 agosto 1980 ma dopo furono stranamente assolti.
Indagati per la strage di Bologna, il Fachini con l’accusa di aver fornito i materiali esplosivi utilizzati nell’attentato e il Picciafuoco per esserne uno degli autori materiali, entrambi furono condannati all’ergastolo al processo di primo grado (sentenza emessa il giorno 11.07.1987) ed in seguito vennero assolti dalla Corte d’assise d’appello (sentenza emessa il 12.07.1990), dalla Corte d’assise d’appello in un nuovo processo d’appello (sentenza emessa il 16.05.1994) e in maniera definitiva dalla Corte di cassazione (sentenza emessa il 23.11.1995).
Probabilmente, all’interno della stazione la mattina della strage di Bologna c’era anche Paolo Bellini, un neofascista – ex militante di Avanguardia Nazionale – legato alla criminalità comune e ai servizi segreti italiani.
Durante l’udienza di mercoledì 21 luglio 2021 del processo in Corte d’Assise ai mandanti della strage di Bologna, l’uomo è stato riconosciuto da Maurizia Bonini – sua ex moglie – come quello sospetto inquadrato in alcuni fotogrammi di un video “super 8” che fu registrato poco dopo l’esplosione della bomba da un turista straniero.
Questo personaggio, attenzionato dopo la strage in quanto somigliante all’identikit di un uomo riccio e con barba incolta da qualche giorno, ma allora protetto dall’amico di famiglia e Procuratore capo di Bologna Ugo Sisti, nell’agosto del 1980 aveva i capelli ricci ma pure dei folti baffi e per questo semplice motivo non è la persona raffigurata nel primo fotofit.
Ciò che risulta acclarato senza ombra di dubbio è comunque la circostanza per cui nessuna persona delle “piste alternative”, come quella “palestinese o rossa”, ha qualcosa a che vedere con i fotofit forniti dalle forze di polizia il 24 agosto 1980 e nemmeno con le testimonianze oculari o le prove audiovisive di cui abbiamo qui fatto cenno.
Per questi motivi, è inutile dire – come invece fanno i giornalisti Gian Paolo Pelizzaro e Gabriele Paradisi – che il tedesco di estrema sinistra Thomas Kram, persona che girava con i propri documenti e non con documenti falsi, si trovasse nella città bolognese il giorno della strage o che avesse dormito nello stesso albergo in cui era alloggiato Paolo Bellini nel febbraio del 1980. (vedasi: http://www.reggioreport.it/2020/05/strage-il-mistero-finale-paolo-bellini-e-thomas-kram-si-ritrovarono-nello-stesso-albergo-di-bologna/)
Il fatto inconfutabile è che non esistono indizi e nemmeno prove rappresentative per accusare Thomas Kram di essere stato all’interno della stazione di Bologna o nelle sue vicinanze prima delle ore 10.25 del 2 agosto 1980.
Esistono invece indizi e prove rappresentative per sostenere che quel giorno Sergio Picciafuoco e Paolo Bellini si trovavano all’interno della stazione di Bologna prima delle ore 10.25.
Inoltre, sempre in orario precedente alle 10.25, nelle vicinanze della stazione c’erano alcuni giovani vestiti da tirolesi e fra di loro una donna che, secondo Mirella Cuoghi, somigliava a Francesca Mambro. Non si sa cosa stessero facendo quelle persone proprio lì, quel giorno e prima della strage. In quella circostanza, senza dubbio, non furono però loro a portare i materiali esplosivi all’interno della Stazione di Bologna.
D’altra parte, chi davvero portò quei materiali all’interno di quella stazione ferroviaria, con buona probabilità non aveva bisogno di farseli consegnare da altre persone, né tantomeno da giovani conciati in modo molto appariscente come quelli vestiti da tirolesi.
Due persone, come quelle di cui abbiamo fatto cenno, potevano invece bastare per il trasporto dei materiali esplosivi e la partecipazione diretta alla più grave strage avvenuta nel corso della Prima Repubblica italiana. Potevano bastare comunque, assieme a coloro che – come Massimiliano Fachini e Carlo Digilio – erano potenzialmente in grado di reperire i materiali esplosivi della strage di Bologna, per farci sostenere una semplice verità storica: indizi e prove rappresentative si concentrano sempre più, sia pur con grande ritardo e dopo molti errori giudiziari, su personaggi organici ai servizi segreti dello Stato italiano.
La strage di Bologna, avendo avuto bisogno della manovalanza di alcuni neofascisti atlantizzati e statalizzati e dei successivi depistaggi dei servizi segreti italiani, è infatti una vera e propria strage di Stato.
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francesco giordano
Credo sia un ottimo articolo
Credo potrebbe essere utile conoscere chi è stato processato, condannato o assolto.
A me pare “strano” che la coppia Mambro e Fioravanti siano stati liberati nonostante i 10 o 11 ergastoli.
Possibile che nessuno abbia notato questa anomalia, sappiamo che in carcere ci sono compagni e compagne che non hanno commesso i criminio dei fascisti. Non penso sia ininfluenti questi aspetti.