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Giovani ed elezioni. Il cielo su Torino sembra muoversi al loro fianco

In occasione delle elezioni comunali nella città di Torino abbiamo intervistato Claudio Decastelli, un attivista impegnato da tempo in città, e Simone Rancati, candidato nella lista di Potere al Popolo per Angelo D’Orsi sindaco.

La questione al centro dell’intervista riguarda il tema della “città pubblica” e delle dinamiche di privatizzazione dei servizi sempre più pressanti ora che si comincia a pensare alla distribuzione dei fondi del Pnrr.

Claudio, il dibattito politico recentemente si sta sempre più incentrando sul tema dello Stato, spesso con grandi mistificazioni attraverso le quali si costruisce una narrazione nella quale con il Recovery fund si stia tornando ad una gestione statalista delle risorse. È davvero così? Come sono state gestite le politiche di welfare nella città di Torino? I soggetti coinvolti sono pubblici o privati?

Le politiche di welfare richiedono quantità di risorse finanziarie sempre maggiori perché sempre maggiori sono i bisogni delle persone e sempre più alto è il numero di coloro che ne hanno bisogno. La loro applicazione tramite un sistema assistenziale,  risultato dell’azione diretta dello stato nelle sue varie articolazioni, da quelle centrali a quelle decentrate, necessita di essere finanziata con grandi quantità di risorse pubbliche, che ormai da tempo però non ci sono più, con il risultato che sempre maggiori fasce di popolazione vivono in condizioni di disagio economico e sociale, anche forte.

I vuoti lasciati dalla mancanza di interventi a sostegno da parte pubblica sono nel tempo in parte stati tamponati con gli interventi del volontariato, della filantropia (chiamiamola pure beneficienza) e del sistema della sussidiarietà, costituito da quei soggetti che si sostituiscono o si aggiungono alle articolazioni dello stato per svolgerne alcune funzioni, con o senza oneri (apparentemente) a carico dello stato medesimo.

A Torino l’integrazione degli interventi comunali con quelli finanziati o eseguiti da soggetti privati è attiva da parecchi anni nei settori dei servizi sociali, educativi e culturali  ed è grazie a questa che fasce di cittadini hanno potuto e possono tuttora usufruire di servizi e sostegni che altrimenti non sarebbero garantiti dal solo ente pubblico per via delle  gravi condizioni di bilancio.

Questi soggetti sono soprattutto fondazioni bancarie locali, cioè quello che resta della proprietà pubblica di istituti bancari ora in mano al mercato; fondazioni le quali per statuto devono destinare parte dei ricavi dalla gestione del loro patrimonio ad attività nei territori di appartenenza, ma che fanno tutto ciò – non più come fossero il bancomat degli enti pubblici locali – ma secondo i propri obiettivi di intervento, con i quali quindi gli enti stessi devono confrontarsi e anche conformarsi.

Così facendo, con il passare del tempo, è finita per compromettersi dal punto di vista politico, strutturale ed economico la capacità di intervento autonomo da parte dell’ente.

La situazione non è destinata a cambiare con l’arrivo dei fondi del PNRR, dato che questi, al di là di tutti i giudizi negativi sul piano stesso, potranno essere usati come investimenti per attivare le nuove funzioni previste dalle varie missioni in materia di sostegno alle persone; che si tratti di rafforzare i servizi sociali, costruire strutture di prossimità, fornire servizi integrati di assistenza domiciliare e quanto altro,

Ma una volta allestite le nuove infrastrutture, che esse siano gestite poi direttamente dal comune oppure – come è più probabile e traspare dalle linee guida fornite dalla UE – affidate a privati, resterà comunque il problema di avere a disposizione le risorse finanziarie di spesa corrente per garantirne negli anni il funzionamento.

Risorse che, permanendo le condizioni di bilancio attuali, saranno sempre cercate ancora nelle relazioni con soggetti finanziatori privati, rimettendo quindi ancora alle loro scelte la funzionalità anche delle nuove strutture e dei nuovi servizi.

Il caso della CampusX, che si appresta ad aprire alcune residenze in città per studenti facoltosi, è paradigmatico per una serie di aspetti: dall’utilizzo dei fondi del PNRR fino al fatto che rappresenta plasticamente una stretta continuità tra l’idea di città di Castellani-Fassino-Chiamparino e Appendino, tanto che la candadata sindaca per il M5S si è fatta “sponsor” delle residenze. Cosa puoi dirci riguardo a queste residenze e al fondo d’investimento che le finanza?

L’attrattività esercitata dalle facoltà universitarie torinesi ha richiamato in città anche operatori, nazionali e internazionali, dell’ospitalità rivolta a studenti e studentesse. Attualmente sono varie le società che gestiscono i cosiddetti “studentati”, in immobili ricavati da ristrutturazioni, oppure di nuova costruzione e non sempre di proprietà delle società di gestione medesime.

E’ il caso quest’ultimo proprio delle due residenze aperte dalla CampusX srl, società romana che gestisce strutture simili sotto il marchio CX in varie città italiane e che qui a Torino ha come partner immobiliari  il Gruppo Editoriale San Paolo e la Ream SpA, proprietari rispettivamente degli immobili di CX Turin Regina e CX Turin Belfiore, recentemente inaugurati.

Sono entrambe strutture di standard elevato, con anche servizi non essenziali per chi deve solamente studiare e quindi con prezzi non alla portata delle fasce meno abbienti, ma comunque un buon affare in prospettiva per chi ha investito il denaro nella loro realizzazione.

Una delle due società – Ream SGR Spa – ha però una caratteristica: i suoi azionisti sono esclusivamente fondazioni bancarie, tutte piemontesi, e opera, da statuto, gestendo fondi immobiliari finalizzati a investimenti che coniughino l’incremento del patrimonio e la sua redditività con la creazione di valore per i territori.

Lo studentato Belfiore è stato costruito con le risorse raccolte dal fondo  Geras2 di Ream, dedicato a investimenti  per la costruzione di RSA, studentati e hotel che poi vengono affidati in gestione a società specializzate.

Ream di fondi ne ha oltre 10,  orientati su settori diversi: dalla costruzione di case per usi sociali alla compravendita degli immobili di pregio, dal recupero di edifici da destinare a enti no profit e ad attività socio-culturali degli enti locali a quello di terreni agricoli e forestali abbandonati, al supporto della produzione di energie rinnovabili.

Tramite questa modalità di azione l’intervento delle fondazioni bancarie in ambiti di tipo sociale  avviene non con l’erogazione di contributi o il trasferimento di fondi agli enti, ma mediante investimenti immobiliari che generano  direttamente le ricadute sui territori: le quali ovviamente sono oggetto di contrattazione preventiva con gli stessi enti pubblici di riferimento.

Il tutto però con un occhio alla redditività degli investimenti, che devono remunerare il  capitale raccolto e gli operatori finanziari che lo conferiscono.

In cosa consiste la ricaduta sociale della residenza Belfiore, 250 stanze (600 in totale aggiungendo quelle in corso Regina Margherita) le cui tariffe non sono alla portata di studenti e studentesse che avrebbero invece bisogno di sostegno per potersi permettere il percorso di studi universitario?

Lo spiega il presidente di CampusX, in occasione dell’inaugurazione: le strutture della società, tra cui quelle torinesi, ospiteranno gratuitamente 10 studentesse afghane, alle quali stanno cercando di procurare anche borse di studio e iscrizioni gratuite alle facoltà. Giudicate voi. 

Simone, intanto raccontaci perché ti sei candidato in Potere al Popolo alle elezioni comunali di Torino.

Come molti giovani della mia generazione, ho vissuto la scelta obbligata dell’emigrazione: spinto dalla retorica colpevolizzante per cui l’assenza di prospettive è sempre e solo responsabilità del singolo, della sua “mancanza di skills”, della sua scarsa “adattabilità” ad un mondo del lavoro che è sempre più sfruttamento, anch’io ho pensato di cercare un’opportunità di vita all’estero, trovando soltanto le stesse dinamiche di sfruttamento e precarietà.

Per questo, quando nel 2018 è nato Potere al Popolo, ho visto in esso una possibilità di riscatto, la possibilità di far sentire la voce di quanti non si rassegnano allo stato di cose presenti. Perciò ho deciso di rientrare in Italia, militando in Noi Restiamo, un nome che per me è stato il segno che qualcosa poteva davvero cambiare, perché i tanti giovani come me non fossero più costretti ad emigrare.

In campagna elettorale si parla tanto di giovani e di futuro ma qual è la reale condizione degli studenti e degli studenti-lavoratori in città? Le politiche di welfare implementate a livello centrale e locale lasciano intravedere davvero un futuro per queste generazioni?

Spostandoci su Torino, credo che, nonostante i grandi proclami che si sentono in queste settimane di campagna elettorale, la questione giovanile sia un grande rimosso. Non perché non se ne parli, tutt’altro: perché quando Pd, 5stelle e destra ne parlano fanno sempre e solo riferimento ad una generazione astratta, fatta di giovani sorridenti e cosmopoliti, che studiano e che non vedono l’ora di fare “meravigliose esperienze all’estero”.

Questa prospettiva, buona per qualche titolo di giornale, nasconde totalmente la nostra realtà quotidiana, partendo proprio dall’università: si parla tanto, oggi, di Torino città universitaria, ma chi è che può permettersi davvero le rette sempre più alte di un’istruzione superiore?

E questo è soltanto la punta dell’iceberg: gran parte delle spese sostenute dagli studenti, infatti, vanno nell’alloggio e nelle utenze, che ci rendono vittime di prezzi che crescono ogni anno, in una vera e propria bolla speculativa, che infatti ha rischiato di scoppiare con l’avvento del Covid19.

Una bolla speculativa su cui fanno profitto soprattutto le grandi aziende che costruiscono studentati. Proprio qui a Torino ne abbiamo degli esempi plastici: basti pensare a The Student Hotel, multinazionale che compra terreni a prezzi di favore, con la complicità delle amministrazioni locali, per costruire studentati a prezzi inaccessibili per la gran parte degli studenti, trasferendo poi i suoi profitti altrove per sfuggire alla tassazione.

O a CampusX, che proprio recentemente ha inaugurato due nuove residenze costruite in strutture acquistate da fondi immobiliari. Questi studentati che si ammantano di parole come “green” e “smart”, oggi sono diventati una vera e propria metastasi in quei quartieri, un tempo popolari, dai quali le fasce popolari sono sempre più cacciate via, talvolta con la forza, come abbiamo visto nei picchetti contro gli sfratti a cui abbiamo partecipato.

In tutto ciò, le politiche messe in campo dalle amministrazioni locali e nazionali non fanno che avallare convintamente questo meccanismo, in uno schema micidiale che si ripete ovunque: banche e fondazioni concedono i prestiti e talvolta anche gli spazi, sgomberando chi ci vive; le istituzioni finanziano i progetti di “riqualificazione”, reprimendo chi vi si oppone; alla fine le multinazionali, con una spesa minima, passano all’incasso: la gentrificazione è servita.

Perché i più giovani dovrebbero votare per Potere al Popolo?

Come si diceva, chi oggi studia all’università, o è appena entrato nel mondo del lavoro, sconta tutto il disastro della precarizzazione e delle privatizzazioni: per chi proviene dalle classi popolari questo significa non avere alcuna prospettiva di costruirsi un futuro.

Come se ciò non bastasse, la colpevolizzazione è stata anche interiorizzata da larga parte della mia generazione, con effetti evidenti a chiunque sia disposto a vederli: il riflesso psicologico di questa situazione è la depressione dilagante, che per chi può permetterselo diventa un lungo (e costoso) percorso di terapia, mentre tutti gli altri si arrangiano come possono.

In questo senso credo che esplosioni di violenza incontrollata, autolesionismo, abuso di droghe siano nient’altro che la parte visibile di un disagio che tocca tutti e tutte. Quante volte abbiamo sentito casi di giovani che, sotto pressione per la mancanza di alternative, alla fine decidono di farla finita?

Credo che questo sia il punto da cui ripartire: liberarci della retorica che scarica sui giovani le colpe delle proprie condizioni, quando è evidente che siamo stati usati come cavie nella ristrutturazione del mondo produttivo, per poi essere messi in competizione al ribasso con i colleghi più anziani.

Non solo per difenderci da chi ci vuole schiacciare in posizione di sudditanza, ma anzi per contrattaccare, mettendo le classi dominanti di fronte alle loro responsabilità, reclamando ciò che ci spetta di diritto e che ci è stato tolto prima ancora che noi nascessimo. In due parole: riprenderci tutto!

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