Una volta era l’ozio il segno della ricchezza e del privilegio. Oggi è la mancanza di tempo libero, l’essere indaffarati, oberati di lavoro.
Negli ultimi anni, dice Silvia Bellezza (Prof di psicologia del marketing alla Columbia Business School), gli spot pubblicitari sono cambiati. Un tempo (negli spot) i ricchi si rilassavano in piscina o su un mega yacht, giocavano a tennis e polo, sciavano e andavano a caccia.
Adesso, sempre negli spot, i ricchi sono impegnati, lavorano molte ore e hanno poco tempo libero. Insomma, dice Bellezza, la frenesia e il superlavoro (lo straordinario), sono diventati uno Status Symbol, sostituendo il modello precedente basato sul Tempo Libero.
Se sei ricco e ti chiedono come stai, devi rispondere Busy (impegnato, Mi sun ciappà). Se rispondi Busy (pronuncia: bizē), sei ricco.
Essere Busy è cool.
Un carico di straordinari denota una persona competente, ambiziosa, che sa mettere a frutto il suo capitale umano, la sua pellaccia maledetta. Un individuo oberato di lavoro, dice Bellezza, è percepito come superiore, in ascesa sociale.
Mentre un perditempo – un disoccupato – è percepito come uno sfigato, uno che non sa sfruttare il capitale umano e che non salirà mai sull’ascensore sociale.
I parametri di overwork da rispettare per raggiungere uno status elevato sono: 1) Quantità (la quantità di ore di lavoro); 2) Velocità (ritmo con cui si svolge il lavoro) e 3) Senso (Significato e Godimento legato al lavoro).
Non sto inventando. È tutto scritto, nero su bianco, e pubblicato dalla Prof Silvia Bellezza sulla rivista scientifica Journal of Consumer Research n. 4, della Oxford University Press, e questo è l’indirizzo dove leggerlo: doi.org/10.1093/jcr/ucw076.
Analizzando tweet e post Facebook, Bellezza ha scoperto che la gente ama vantarsi delle lunghe ore di lavoro e della mancanza di tempo libero. Se, invece, hai tempo libero, e questo tempo lo spendi a giocare a tennis o cricket, a prendere lezioni di danza Hip Hop o Judo e Karate, o a provare le ricette di GialloZafferano con tua suocera, ebbene, dice Bellezza, sei uno sfigato.
Solo uno sfigato si fa riempire il Tempo Libero con le stronzate di un consumismo che ha creato il Tempo Libero per riempirlo di merci e servizi. E quei ricconi del Platinum Triangle, che si vedono spesso nei telefilm di Colombo, testimoniano di un tempo che non c’è più, di un tempo appannaggio di una classe media, con stipendi decenti, che vedeva in questi finti ricconi dei modelli (di consumo) da imitare.
Siccome non c’è più quella classe media, non ci possono essere più quei modelli di consumo.
Il modello di consumo performato da Bellezza, e venduto da Repubblica come operazione culturale, deve essere aggiornato.
Siccome la classe media è stata distrutta, e il capitalismo odierno, feroce e straccione, sa fare impresa solo spremendo il capitale umano, ci propone il mito di una ricchezza fatta di superlavoro e straordinari.
Se ti spacchi la schiena e rinunci (volontariamente) a ogni attimo di ozio, per te si apriranno le porte dell’ascesa sociale. Nell’attesa godrai dello status di persona impegnata, presa, risucchiata dal flusso ascensionale della storia.
Le persone che non hanno tempo, dice Bellezza a Repubblica, trovano il tempo di leggere il Wall Street Journal. Come se il Wall Street Journal fosse un prodotto elitario, e non un prodotto di massa, un bene di consumo facilmente accessibile, un prodotto dozzinale, – in crisi – che cerca di riposizionarsi con campagne (e studi scientifici) mirati.
Rileggendo l’articolo che il 7 ottobre Repubblica ha dedicato a questa scoperta scientifica mi è venuto il dubbio che il giornale creda veramente che fare Straordinari, senza riposarsi un attimo, sia uno Status Symbol; che se lavori duramente, diventerai il capo della tua azienda.
Mi è venuto il dubbio che davvero a Repubblica nessuno sappia che si tratta di istruzioni per creare schemi di comportamento, schemi di giustificazione e auto-giustificazione di una vita di merda, e che non lo sappiano perché questi schemi di coazione a ripetere sono ad uso e consumo di chi li scrive.
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Marco B
La parte ‘culturale’ di Repubblica è dagli inizi del giornale che prescrive comportamenti ‘moderni’ di questo tipo. Negli anni Novanta un tema prediletto era la bellezza del lavoro precario, ricco di opportunità di conoscenza ecc., rispetto al noioso posto fisso.