Sono oltre 2.000, in città. Duemila senzatetto. Duemila clochard. Duemila barboni.
Vagano per Napoli senza fissa dimora. Baciano sulla bocca rancida di alcol, l’impietosa signora dell’inverno. Tremano, nel mare sudato dell’estate che soffoca le notti.
Spettri ambulanti di fronte alla ribalta della vita. Quella presunta vita che è teatro grottesco scintillante di colori, nella metropoli borbonica e conformista orfana di Viviani e del canto proletario dei suoi vicoli.
Zombie assassinati due volte, vacillanti sulle orme di una Storia cui non hanno diritto di appartenere.
Una Storia scritta con le cifre d’oro dalla classe che domina. Domina latrine e rifiuti. Da Santa Lucia a San Giacomo.
I senzatetto abitano un angolo di strada defecato e dimenticato dalla società civile. O un pezzo di marciapiede, imbrattato dalle eleganti suole a 200 euro dei figli di buona famiglia. Oppure Gallerie e Porticati, profumati di solitudine e vomito.
Per tetto, un edificio di cartone dove tra le ciglia gialle di fumo, socchiuse nel rantolo della piccola morte, due amanti godono i corpi neri di povertà. E bianchi come l’alabastro dell’avorio d’Africa.
Una bottiglia di pessimo vino è la compagna o il compagno serale nei deliri solitari e psicotici. A volte, una siringa in un braccio è balsamo di zucchero sulle piaghe amare inflitte da un’esistenza parossistica di dolore e abbandono.
Impietosa, l’indifferenza della civiltà costruita dall’umana commedia, passando gli getta uno sguardo distratto.
Impassibile ne scavalca i volti, scheggiati da sorrisi appassiti tra finestre di denti, dai quali fa capolino un sussulto di gioia.
La loro pelle abbigliata di stracci, profumata di brandy e di stelle, si distende su un letto di frantumi e di vetri, caldo di bottiglie nel gelo del buio e dell’amore negato.
Sono barboni con in braccio poesie d’illusione. Liriche di sangue e candore, recitate tra le pieghe di un liso sipario alzato sulla scena dell’eterno nonsense.
O/scena esistenza di gesti e parole.
Esistenza di attori-replicanti con in dosso il costume del ruolo prescritto: squallidi interpreti borghesi impiccati alle funi di cori che belano farse di storia e realtà.
Nell’ombra, vili si agitano manganelli ed anfibi eccitati dall’odore del sangue dannato. Candeggina impudica per lavare il decoro sul viso imbellettato della città puttana.
Un ultimo giro di valzer tra le note stonate della postmodernità Capitale. La fabbrica-mondo esige i suoi scarti!
Un inchino beffardo agli austeri soloni dell’iniqua morale. E nei loro occhi clochard la prolungata agonia di un’esistenza giocata sul filo di un tragico lazzo.
Clownerie di morti annunciate. Come quelle di Mario, Rosaria, Gaetano ‘o Barone.
Morti di miseria e indifferenza nel cuore di Napoli. Morti di cui non frega un cazzo a nessuno.
Due righe in cronaca. Un po’ d’ipocrita indignazione. E poi si torna tutti a fottersene del prossimo. A fottere il prossimo. Soprattutto se ubicato alla periferia morale dei nostri luccicanti ombelichi.
Come scriveva Eduardo Galeano negli splendidi versi di una sua poesia: «I nessuno costano meno della pallottola che li uccide». E’ l’angoscia di una verità senz’appello!
Ma non si può fare a meno di descriverli, i nessuno, con le parole della crudeltà letteraria.
Parole che sappiano restituire bellezza alla tragedia umana del vivere. Parole che vorremmo tolte all’universo di quel grande forzato che fu Jean Genet.
Parafrasando il quale: che io abbia da raffigurare un barbone o un criminale, sempre lo coprirò di tanti e tanti fiori che esso, scomparendovi sotto, ne diverrà un altro gigantesco, nuovo.
La letteratura però, quella vera, trae ispirazione dalla cronaca e nella cronaca sfocia, con tutta la sua brutalità. Brutalità che in questi giorni di festa, a Napoli, si fa anche più feroce.
Il Mercato Ittico, Piazza Garibaldi, la Stazione, i Giardinetti di Piazza Cavour, Corso Meridionale, Corso Arnaldo Lucci, gli Spalti del Maschio Angioino, i Portici di San Francesco di Paola, la Galleria Umberto, la Galleria Principe, sono i luoghi della città in cui trovano rifugio clochard, senza fissa dimora, extra comunitari, tossici e soggetti con problemi psichiatrici.
Quelle nuove povertà insomma -quelle nuove metastasi generate dalla cellule cancerogene del capitalismo finanziario e cresciute sotto il tessuto connettivo della società, e ai confini di un sistema che sempre più marca disuguaglianze e crea sacche di disagio- che contrastano con la città/vetrina affollata di consumistiche unità umane avide di merci.
Un’asimmetria profonda, che mostra –come si diceva- tutta la sua scelleratezza soprattutto durante le festività natalizie.
Al punto che persino un giornale come La Repubblica, poco sensibile, di solito, ai problemi della marginalità, ha dato il via ad un’inchiesta su un problema che sta mostrando il suo volto più disperato proprio in questi giorni.
Repubblica però, laddove sembra denunciare la complessa situazione vissuta dai senzatetto a Napoli, vira su un insopportabile declivio filo governativo, che svela immediatamente l’ipocrisia della falsa pìetas dietro cui si cela, invece, un ben più funzionale ed evidente obiettivo politico.
L’apologia della nuova amministrazione firmata Manfredi, di cui si tessono le lodi non solo per l’impegno nel combattere il disagio sociale, ma anche nel tentare di restituire decoro alla nostra città. Il tutto con la collaborazione dell’attivismo cattolico.
L’unico, in realtà, a prendersi davvero cura dei senzatetto.
La politica, al contrario, mostra da anni la sua inettitudine e soprattutto la sua totale indifferenza verso un così critico contesto.
Manfredi non è andato, fin qui, oltre le solite contromisure inefficaci e insufficienti. Come l’apertura della Stazione Museo di notte o l’incremento di trenta unità per i posti letto situati nei centri di accoglienza comunali.
Tuttavia, nessuno ha mai saputo o voluto predisporre una soluzione strutturale al dramma dei senza fissa dimora.
Eppure, l’associazionismo di sinistra, la Rete di Solidarietà Popolare e il Coordinamento Solidale di Napoli, di cui è parte integrante anche il Civico 7 Liberato – proprio sotto i Portici della Galleria Principe, dove trovano riparo decine di clochard – non hanno mancato, in questi anni, di far sentire la propria voce e di proporre misure concrete.
Tra le più immediate, la creazione quanto meno di bagni chimici, l’installazione di cassonetti removibili per i rifiuti, la distribuzione programmata di pasti caldi – non più da affidare solo alla buona volontà dei cittadini – la consegna di coperte pulite, la realizzazione di una lavanderia pubblica cui commissionare il lavaggio degli abiti e la fornitura di vestiti puliti, ove possibile.
Nulla di tutto questo è stato fatto. Mentre si continua ad operare, come sempre, in regime di emergenza.
Una vergogna non più tollerabile, in una società come quella italiana che ha fatto dell’opulenza, dal Nord al Sud del paese, il suo orizzonte di senso.
Il collettivo della Redazione napoletana di Contropiano, per i motivi sopra descritti, in occasione della consumistica festa denominata Capodanno, nel corso della quale l’ipocrisia borghese e familistica invita tutti a “stringersi a coorte” e ad essere più buoni, più uniti e più vicini al prossimo – sempreché bianco, benestante e soprattutto benpensante – dedica un pensiero di vicinanza e di solidarietà attiva ai senza tetto che sostano, mangiano e dormono, ormai da anni, nei più disparati luoghi e spazi della nostra città. Come, d’altronde, di altre grandi metropoli italiane.
La politica, a Napoli come altrove, latita. Minacciando, anzi, a più riprese, sgomberi violenti per mantenere il tanto agognato decoro cittadino.
Quel decoro che tanto piace ai ceti dominanti e che fa tanto chic e buona società.
Ebbene noi, in quanto collettivo comunista – dunque “brutti, sporchi e cattivi” secondo le coordinate morali del pensiero unico liberal-democratico – siamo invece al fianco di questi nostri fratelli straccioni, immigrati, tossici.
Anche loro hanno diritto alla Festa.
Buon Capodanno dunque ai dannati della terra. Ai nessuno che costano meno della pallottola che li uccide.
Indifferenza e disprezzo per le decorose famigliole piccole e borghesi. Odio ostinato per i Padroni!
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