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La sindrome di Mario

In appena 12 mesi SuperMario è passato dall’essere acclamato come unico possibile “salvatore della Patria” (nonostante tutto, nella sua carriera, testimoni il suo essere uomo “multinazionale”) a normale politicante a caccia di una maggioranza che lo porti al Quirinale.

Titola infatti stamattina uno dei suoi principali sponsor – il fogliaccio Repubblica, proprietà della famiglia Agnelli – “Il premier avvia le consultazioni”.

E ognuno può facilmente immaginare l’andrivieni di mezzi leader e oscuri messaggeri, latori di promesse, giuramenti, messaggi trasversali, garanzie di fedeltà, liste aggiornate di voti a favore…

Insomma quelle scene da basso impero che sono da sempre il vero tratto caratteristico della bassa cucina politica italiana, nonché una delle prove della sua inconcludenza, o del suo servilismo verso poteri più forti (Usa, Nato, Unione Europea, chiunque passi…).

L’approdo di SuperMario comincia a somigliare a quello del suo lontano omonimo e predecessore – Monti – a sua volta acclamata come redentore dopo i disastri berlusconiani (e la lettera dello stesso Draghi, insieme a Trichet, in cui si indicavano le “riforme” da fare pena il default del paese,privato della “copertura” della Bce contro l’offensiva dei “mercati”), ma dopo appena un anno ridotto a leaderino di una formazione secondaria, ben presto abbandonata da tutti gli imbarcati.

La ragione di questo declassamento sono piuttosto evidenti. La campagna contro la pandemia è stata assai meno trionfale del previsto. Da quasi un mese ci confrontiamo con contagi quotidiani che vanno da 100.000 a oltre 200.000, mentre i morti sono stabilmente sopra i 300 al giorno, se non di più

I vaccini sono stati meno risolutivi dello sperato (diminuiscono le morti, i ricoveri e la carica virale, ma non “immunizzano”), la volontà di mantenere aperte sempre e comunque tutte le attività economiche ha fatto alla lunga esplodere il numero dei contagi e quindi ogni sogno di “ritorno alla normalità” (se non altro perché tanti ammalati sintomatici debbono restare a casa diversi giorni).

Quel cavolo di virus muta in modo imprevedibile, “buca” vaccini progettati per la sua versione base. E torna proprio da quella parte del mondo che non si può vaccinare a sufficienza anche e soprattutto a causa dei brevetti che Draghi e altri capoccia del neoliberismo occidentale hanno voluto difendere a tutti i costi, per garantire a due-tre multinazionali profitti extra (dopo che la ricerca è stata finanziata con fondi pubblici, non certo privati).

Sul piano delle “riforme” invece è andato abbastanza spedito, ma sono così impopolari da sconsigliarne la pubblicizzazione, oppure così “tecniche” da non entusiasmare un pubblico largo. Ma che vota, a volte…

Così SuperMario ha perso l’aura di imbattibilità che ne faceva il candidato incontrastabile per qualsiasi carica, diventando uno dei candidati alla Presidenza della Repubblica.

Il “pilota automatico” si è inceppato, e la supercar è ferma su una piazzola d’emergenza, in attesa di un booster. O della rinuncia degli altri concorrenti in bicicletta.

Resta il favorito, comunque, ma non certo per suo merito o carisma. Pesa il fatto più importante: solo lui viene considerato un “garante” credibile degli interessi del capitale multinazionale, e dunque in grado di rassicurare le istituzioni sovranazionali europee (e Nato).

Il suo indebolimento oggettivo, però, ha stimolato i sogni (o le illusioni) di rivincita in tutta l’orda di nanerottoli che anima il Transatlantico. La boutade sulla candidatura di Berlusconi – che a livello europeo vedono come un clown inattendibile – è la misura di quanto la maionese sia impazzita.

Il problema “strategico” resta lo stesso: serve “qualcuno” al Quirinale che assicuri la continuità del percorso iniziato con il Pnrr. L’orizzonte temporale arriva al 2026, per il momento. E dunque il settennato al Colle copre abbondantemente questa esigenza.

Al contrario, da Palazzo Chigi chiunque – anche Draghi – verrà sfrattato con le prossime elezioni politiche (inizio 2023, oppure alla fine di quest’anno). Dunque inutile – per Draghi – restar lì e poi sparire.

Il nuovo Parlamento avrà comunque dei nuovi “padroni”, che prima di arrendersi al “pilota automatico rinnovato” proveranno per qualche mese a trovare “quadre” intorno a progetti che li vedano al centro. Ma difficilmente il quasi sicuro fallimento di quei tentativi (con tutte le tempeste – spread e altro – che si porterebbero dietro) produrrebbe una reinvestitura per il “salvatore della Patria” che non ha salvato quasi niente e nessuno.

Se SuperMario non va al Quirinale, insomma, tutti i giochi si riaprono. Anche quelli della speculazione finanziaria, naturalmente…

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1 Commento


  • enzo+guida

    e la sinistra del popolo inerme sta a guardare

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