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“Area polo petrolchimico di Siracusa, chiediamo l’intervento dell’USB”

L’architetto Erasmo Vecchio, presidente del movimento “Identità Siciliana” ha inviato una dettagliata lettera-documento all’USB Sicilia per chiedere “per  vie ufficiali sia il “Dossier tecnico” che la copia del protocollo di intesa stipulato tra Regione ed Aziende del territorio” interessato dal petrolchimico siracusano.
L’USB Sicila ha preso a carico le richieste dell’architetto Vecchio: se ne occuperà Orazio Vasta, responsabile provinciale di ASIA USB Catania.

La lettera-docunento dell’architetto Vecchio

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A Nord di Siracusa raffinerie, ciminiere e cisterne di greggio si estendono a macchia d’olio. Il polo petrolchimico  è una spina nel fianco dell’Italia. E del Mediterraneo. Trenta chilometri di costa, un territorio e una baia imbottiti di sostanze contaminanti e nocive. Dall’insediamento negli anni cinquanta della prima raffineria, la zona è oggi stravolta dall’inquinamento.

Oggi il polo industriale della Provincia di Siracusa, nato per la concezione malefica di imporre alla Sicilia un modello di sviluppo industriale distorto e nocivo oggi è un’area che comprende oltre 200.000 anime e centinaia di aziende in profonda crisi.

Per valutare le emissioni in acqua e in aria e dare speranza alla popolazione, che da decenni convive con tre impianti di raffinazione, due stabilimenti chimici, tre centrali elettriche, un cementificio e due aziende di gas. Quattro centri urbani sono i più esposti all’inquinamento: Augusta, Melilli, Priolo e Siracusa.  

A volte nell’aria i miasmi tossici sono da capogiro. Su questi è intervenuto un anno fa il procuratore aggiunto Fabio Scavone, inchiodando le fabbriche petrolchimiche a seguito di due anni di inchiesta.

Troppi anni di disillusioni e tradimenti insegnano però a non coltivare grandi speranze. In questo periodo convulso affiorano alla mente spettacolari capovolgimenti, a cominciare dall’archiviazione negli anni 2000 dell’inchiesta “Mare Rosso” sullo sversamento di mercurio da EniChem nella baia di Augusta.

Il presidente di Confindustria Siracusa si dice anche stupito dalla “cecità di chi guarda esclusivamente alle grandi fabbriche e non vede l’inquinamento generato dalla molteplici attività che si svolgono nel territorio“.

Da diversi anni il settore è in stagnazione e molte aziende hanno già ridimensionato gli impianti di produzione. Ciò rischia di determinare un crisi complessa di vasta dimensione.

Il valore aggiunto prodotto del comprensorio nel 2020 è stato pari a circa 700 milioni di euro sito in cui operano circa 7.500 addetti.

Oggi il problema non è dare ossigeno alle aziende affinché riprendano le produzioni che hanno devastato il territorio e l’ambiente.

Non serve, infatti,  rilanciare la produzione ma, bensì,  promuovere un sistema integrato per lo sviluppo ottimizzando i consumi enegetici affinché i costi per la transizione energetica non diventino incompatibili con il territorio e con l’ambiente circostante.

Ciò che serve è una nuova “visione”.

Le industrie sono strettamente legate al territorio in cui si trovano e ciò rende queste aree ancor più importanti e assolutamente meritevoli di poter vivere una seconda vita, ancor meglio se al servizio di quello stesso territorio.

Quando una grande fabbrica, come una raffineria, viene dismessa si presenta un’occasione per trasformare quel luogo e dargli una nuova identità, così che possa offrire esperienze, servizi, spazi per il tempo libero o, perché no, nuove residenze. Il recupero delle aree dismesse può essere posto al centro di un dibattito variegato, che coinvolge tecnici, progettisti, amministrazioni, ma anche i cittadini stessi.

Rigenerare un’ex area industriale significa rilanciare un’intera area, arricchire la città in cui si trova e dare nuovo valore al territorio.

Le aree industriali dismesse, infatti, possono trasformarsi in ciò di cui ha bisogno il territorio in quel momento, grazie a bandi, piani e appositi strumenti urbanistici. Le soluzioni possono essere diverse, ad esempio una strategia che permette un elevato di flessibilità è sicuramente quella del temporary use, cioè di uso temporaneo degli spazi, che molto spesso dà vita a laboratori e incubatori di idee.

ll Polo industriale di Siracusa non può diventare una nuova ILVA.

Serve partire dal riconoscimento dello stato di crisi industriale per ottenere le risorse finanziarie necessarie per avviare il processo di riconversione e stimolare nuovi investimenti non per ripartire nella logica dello sfruttamento del suolo e dell’ambiente

La Sicilia ha le carte in regola per diventare la regione più verde d’Italia ma per fare ciò serve fare rete, anche con i Comuni del comprensorio.

In una recente riunione è  stato stilato un protocollo di intesa, anche sottoscritto dalle aziende interessate (Isab srl – Gruppo Lukoil, Sonatrach Raffineria Italiana srl, Sasol Italy spa, Versalis spa, Eeg srl, Air Liquide Italia spa), ma anche da Confindustria Sicilia, dall’Autorità di sistema portuale del mare Sicilia orientale, dalla Camera di commercio del Sud Est Sicilia, dai rappresentati dei comuni di Augusta, Avola, Canicattini Bagni, Cassaro, Ferla, Floridia, Melilli, Priolo Gargallo, Siracusa, Solarino e Sortino e dalle rappresentanze sindacali regionali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl.

Anche di questo protocollo non abbiamo traccia.

Chediamo alla Vs. organizzazione di chiedere  per le vie ufficiali, sia il “Dossier tecnico” che la copia del protocollo di intesa stipulato  tra Regione ed Aziende del territorio.

Sin da ora confermiamo la nostra disponibilità ad aprire con Voi un TAVOLO ALTERNATIVO PERMANENTE aperto a movimenti civici, associazione di difesa ambientali, sicilianisti, associazioni culturali e solidali dove discutere e verificare la possibilità di rispondere a tutti coloro a cui interessa solo perpetuare lo “status quo” sperperando fondi pubblici a fini elettorali e clientelari.

Chiediamo alla USB di sostenere questa battaglia di verità e giustizia che la comunità siciliana  disperata chiede a gran voce.

Quello che si  chiamava “miracolo” negli anni cinquanta e che intendeva avviare  il riscatto industriale della Sicilia è diventato un inquinamento di mare e terreni che dopo qualche tempo registrava la nascita di  neonati con malformazioni congenite.

La “mappa” del disastro è impressionante: i terreni sono contaminati da metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili (pcb), amianto (c’era anche una fabbrica Eternit).

Ceneri di pirite sono state interrate sulla costa e perfino sotto i campi sportivi costruiti negli anni settanta a Priolo e Augusta (che infatti ora sono tra i siti da bonificare). Le falde idriche sono contaminate. Acqua marina e sedimenti nella rada di Augusta, penisola di Magnisi e nel Porto Grande e Porto Piccolo di Siracusa sono inquinati da petrolio, metalli pesanti (tra cui mercurio e piombo), idrocarburi pesanti ed esaclorobenzene.

A tutto questo serve mettere il punto chiamando uomini  e  donne di buona volontà  per costringere  i governanti in un sussuto di dignità, a cambiare rotta.

Da quasi un anno, il giorno 28 di ogni mese, durante la messa ad Augusta  il sacerdote Don Palmiro Prisutto,  parroco della Chiesa Madre di Augusta, un sacerdote cattolico impegnato da diversi decenni a creare una nuova coscienza riguardo alla problematica ecologico-ambientale del territorio in cui è nato e in cui vive, si oppone con grande coraggio al potere delle grandi aziende petrolchimiche che inquinano da circa settanta anni la provincia di Siracusa, legge un elenco di morti per tumore. Nome, cognome, età, occupazione. Per scuotere la coscienza degli augustani.

Quasi ogni famiglia in questo territorio  ha qualcuno ammalato, o morto per tumore, ma molti hanno perfino paura a dirlo: tanto è forte il ricatto dell’occupazione.

Don Palmiro Prisutto  celebra i nomi proprio come si farebbe per le vittime della mafia o di un bombardamento.In questo territorio, infatti, si sta  consumando una strage, tutti gli uomini di buona volontà hanno il dovere di sostenere questa lotta.

 * Architetto, Presidente di “Identità Siciliana”

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