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“Europa appecoronata agli Stati Uniti”, parla Moni Ovadia

Moni Ovadia è tante cose. Attore, cantante, musicista, scrittore. Soprattutto, è uno spirito libero che sa andare controcorrente, che non ha paura di “provocare”. E il suo j’accuse affidato a Il Riformista ne è una “esplosiva” riprova.

C’è da avere un po’ di paura di fronte a un pensiero unico in divisa e con l’elmetto?
In divisa e con l’elmetto, seduti nel salotto, però. Sì, sempre c’è d’avere paura di queste cose, di un “pensiero” militarista e militarizzato, che finisce pure per “silenziare” un signore vestito di bianco che ha avuto l’ardire di dire in faccia ai politici nostrani arruolati dalla Nato parole che devono essere scolpite nei nostri cuori e rilanciare in ogni dove: “Pazzi, Pazzi” a voler aumentare, 40 miliardi, le spese di guerra. Sì, di guerra. Perché tali vanno considerate. Ma c’è una logica in questa follia…

E quale sarebbe?
Il pensiero militarista, e le sue miliardarie ricadute affaristiche, sono il frutto avvelenato di un’ideologia atlantista. Ora, uno è libero di pensare che l’atlantismo è utile, però c’è tanta altra gente che pensa che sia un ferrovecchio.

Si devono confrontare le opinioni, però lealmente, senza assumere quell’aria di chi pensa, davanti all’interlocutore che dissente: “come si fanno a dire queste cose che non stanno né in cielo né in Terra?”. Non è così che si fa. Un interlocutore lo si ascolta, si analizzano le sue argomentazioni e si risponde nel merito. E il merito è molto più complesso di quello che i “pensatori” in divisa vorrebbero far credere…

Vale a dire?
Noi sappiamo una cosa: ogni guerra è una guerra criminale. Su questo, discussioni non ce ne sono. Il problema è che c’è una legittimità da parte di studiosi, giornalisti ma anche di semplici cittadini, di capire quello che ha determinato lo stato delle cose: qual è la posizione dell’Europa, di discutere l’atlantismo.

Qual è nel merito la sua opinione?
Se gli Stati Uniti, con la loro vocazione a diffondere le loro armi in ogni angolo del pianeta, fossero stati fuori da questa vicenda, che è una vicenda europea, anche se molti dimenticano, in buona e cattiva fede, che fino ai monti Urali, la Russia è Europa, ecco, se fossero stati fuori, forse le cose sarebbero andate diversamente.

Tra gli atlantisti ultrà ci sono quelli che non hanno detto “a” quando la guerra criminale contro l’Iraq ha fatto quasi un milione di morti. Questi qui dovrebbero stare zitti, o perlomeno mantenere un bassissimo profilo.Lo stesso vale per quelli che hanno al massimo alzato un sopracciglio di fronte alla catastrofe della Libia, la Siria, l’Afghanistan e via dicendo.

Non parliamo poi del fatto che nella Nato, la seconda potenza per forza di fuoco è la Turchia. Paese retto da un regime dittatoriale, che mette i propri dissidenti in galera, e che da anni massacra i curdi. Chi ha mandato i missili stinger ai curdi? Nessuno.

Di guerre criminali, lungo la seconda metà del ’900 ne sono state fatte un gran numero. Quando ha usato la mazza di ferro contro la Cecenia, Putin godeva di grandissimo prestigio. Tutto questo attiene al fatto che invece di confrontarsi con il merito della questione, ci si attacca alla retorica, alle calunnie, a mettere sulla bocca delle persone cose che non hanno mai detto, relazioni che non hanno mai avuto. Questo è, secondo me, il grande problema. L’orrore della guerra è lì da vedere. Però noi dobbiamo capire alcune cose…

Quali?
Anzitutto, come farla finire il prima possibile. In secondo luogo, come l’Occidente si vuole relazionare a un immenso Paese che si chiama Russia. Tra gli effetti collaterali è uscito fuori anche la russofobia. E questo è degno di nazisti. Perché la grande cultura russa non ha nulla a che vedere con Putin e la sua politica aggressiva.

Il Patto di Varsavia fu sciolto. Perché la Nato contestualmente non si sciolse? Punto di domanda. Sento già certi soloni in mimetica rispondere piccati: “che vuoi, i Paesi dell’ex zona di influenza sovietica, hanno chiesto di entrare nella Nato…”

Intanto cominciamo col dire che l’hanno chiesto le loro classi dirigenti. Questi narratori con l’elmetto vogliono farci bere che tutto questo è avvenuto in una trasparenza totale? Quali sono le politiche che fanno gli Stati Uniti per mantenere questa egemonia militare: presto detto, hanno 900 basi in tutto il mondo. I russi non ce l’hanno.

Il problema è complesso. Ma se ti azzardi a farlo presente ti dicono che sono morti 137 bambini. È una immane tragedia, e lo sarebbe anche se a morire fosse stato un solo bambino. Ma non si può utilizzare questa tragedia per provare a tapparti la bocca. È semplicemente vergognoso. Come è vergognoso dimenticare i bambini morti in Iraq, in Siria, in Afghanistan, nello Yemen…Questa rimozione è ripugnante.

Non esistono guerre giuste. Tutte le guerre sono criminali. Si vuole portare Putin al Tribunale dell’Aia per giudicarlo come responsabile di crimini di guerra o contro l’umanità? Va bene, prima George W.Bush e Tony Blair.

Quanti sanno, ad esempio, che Slobodan Milosevic è stato prosciolto? Non “assolto”; prosciolto perché non si sono trovate prove che lui fosse complice di crimini di guerra. Intanto, lui è morto in una cella di quel Tribunale.

Poi a chiedere di processare Putin sono gli americani che non accettano la Corte dell’Aia! E poi c’è un problema generale: la complessità della geopolitica, in generale, non può essere trattata nei talk show.

Perché?
Perché non si discute, si tifa. E quasi sempre, in una direzione sola. E si evita di discutere di questioni che potrebbero infastidire l’informazione, si fa per dire, mainstream.

Per fare un esempio: non è vero che la Nato aveva promesso che non si sarebbe allargata neanche di un pollice oltre i confini della Germania orientale? E invece dove ti allarghi? Guarda caso, tutto in direzione della Russia. Allora vuol dire che mi consideri il nemico. E poi ti stupisci che io consideri te il nemico e tutti quelli che ti sono sodali? Io ho accettato le Repubbliche baltiche, la Polonia, l’Ungheria, la Bulgaria etc…e ora vuoi mettere radici e basi anche in Ucraina?

Zelensky è stato eletto democraticamente, su questo non c’è dubbio, ma dietro c’era un mega oligarca che ha costruito l’operazione. In Afghanistan gli americani sono fuggiti con la coda nelle gambe, dopo aver speso 9 triliardi di dollari. Con quei soldi risolvevi i problemi della fame nel mondo…

E per cosa? Per lasciare l’Afghanistan peggio di prima. Questi sono crimini. Chi ha detto: bisogna processare Clinton, marito e moglie, e compagnia bella?! Io vorrei sapere quale differenza c’è tra l’aggressione di Putin all’Ucraina e quella di Bush e Blair all’Iraq? Non c’erano armi di distruzione di massa, era una bugia grande come il monte Everest. Così come con una bugia fu aggredito il Vietnam.

Vogliamo almeno metterci d’accordo su una cosa: dire che il più pulito c’ha la rogna. E vediamo cosa possiamo fare in questo contesto di “rognosi” per fare emergere una prospettiva diversa.

Quale prospettiva?
A me piacerebbe una Europa unita, politica, con un esercito di pura difesa, che diventa un polo altro per provare ad essere un mediatore credibile, un facilitatore, vero, di accordi. Invece l’Europa è appecoronata agli Stati Uniti d’America.

Il mio neo amico, il professor Emiliano Brancaccio, che io considero l’economista più brillante che abbiamo in Italia, ha detto una cosa che condivido in pieno: noi stiamo combattendo una guerra per procura. Noi europei. Questa è un’opinione che andrebbe affrontata. Ma queste cose si affrontano in altre strutture di confronto.

Io maledivo la televisione di Bernabei, ma potevo sentire Pier Paolo Pasolini, intervistato da tre giornalisti importanti, argomentare il suo pensiero deflagrante e controcorrente. Adesso si sente la solita zuppa, la solita litania.

In precedenza, lei ha fatto riferimento al presidente dell’Ucraina, Zelensky. Da ebreo, oltre che da cittadino del mondo, cosa ha provato quando il presidente ucraino ha paragonato l’aggressione russa alla Shoah?

Intanto va ricordato che quando gli ebrei hanno combattuto nel ghetto di Varsavia, avevano bottiglie molotov e qualche pistola, contro le forze naziste che avevano blindati, cannoni, armi incendiarie…

Sono accadimenti imparagonabili. Capisco Zelensky, lì nel bunker di Kiev, lo capisco, ma non lo giustifico in questo parallelismo che trovo davvero vergognoso. Per quanto le forze siano asimmetriche, l’Ucraina ha un esercito, ha delle milizie che lo affiancano, e poi hai tutta la comunità internazionale che è con te.

Gli ebrei erano assolutamente soli. Soli.

Mi lasci aggiungere una cosa: gli israeliani pretendono di essere i depositari assoluti della Shoah, cosa che a me fa molto arrabbiare, per usare un eufemismo, perché più della metà degli ebrei vivono in diaspora. Israele ha la titolarità di essere parte della memoria e non a sussumerla come propria. Gli israeliani sanno una cosa che non può essere cancellata…

Quale?
Che gli ebrei hanno un grande debito con l’Armata rossa. E questa è un’altra cosa che non si dice mai: se l’Armata rossa non avesse tenuto e contrattaccato… Forse gli alleati avrebbero vinto lo stesso, ma l’Europa sarebbe diventata un deserto senza neanche un filo d’erba.

Io parlo russo, ho un legame molto forte con la cultura russa: noi ricordiamo in Normandia il sacrificio dei soldati statunitensi, inglesi etc., e i 27 milioni di cittadini sovietici morti in guerra cosa sono? Spazzatura?

Nessuno che dica “celebriamo l’8 maggio ’45”, (il giorno in cui la Germania nazista firmò la resa incondizionata che sancì la sconfitta definitiva del Terzo Reich e la fine della seconda guerra mondiale in Europa, ndr.) ricordando anche il sacrificio di milioni di sovietici, soldati, partigiani, civili. Niente. Zero.

* da Il Riformista

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3 Commenti


  • Maurizio+Cirillo

    Moni Ovida is my man FUCK USA+UK+NATO


  • marco brunetti

    …che sensazione disarmante, da un lato condivido e sono grato a Moni e a voi che l’avete pubblicato, dall’altro non avrei mai voluto leggere ancora una volta di come siamo diventati, di questi tempi di folli, di arroganti padroni e di ciechi schiavi…

    In ogni modo credo che oggi, festa degli umili che credono nel potere della propria realizzazione attraverso il lavoro, avvicinare un altro lavoratore a Moni possa essere bello, forse non utile, ma semplicemente bello
    ..sapete, mi riporta a pensare quando due voci autentiche e appassionate potevano diventare scintilla e inizio per un collettivo ..

    Così vorrei postare l’ultimo editoriale del Manifesto, quello del caro Di Francesco, scrittore, e scomodo collega di una Rangeri troppo spinta all’omologazione per poter stare al passo con lo spirito poetico di chi ascolta ancora e nonostante tutto la propria coscienza

    Il Manifesto (o quel che ne resta)
    Editoriale del 1°maggio 2022, T. Di Francesco

    Il Primo Maggio, quella che dovrebbe essere la festa dei lavoratori, non di un astratto «lavoro», cade quest’anno nel pieno di una guerra devastante in piena Europa che, nata come sanguinosa aggressione militare di Putin all’Ucraina, ormai assume i contorni di una guerra mondiale dai costi incalcolabili, di lunga durata – ma potrebbe essere alla fine di breve e catastrofico momento – per la «vittoria» sulla Russia di un fronte di nuovi volenterosi a guida angloamericana, della quale l’Unione europea è al carro mentre già appare come vittima.

    L’aumento indifferenziato, generalizzato quanto insensato della spesa militare ne è il primo assoluto e infausto risultato. Azzerata senza responsabilità e spiegazioni la promessa della pace nel Vecchio Continente – in realtà già compromessa negli anni Novanta nel sud-est europeo con la guerra nell’ex Jugoslavia e il coinvolgimento della Nato -, si apre una voragine nella quale ad essere immediatamente precipitati in primo luogo sono i subalterni, le classi popolari, i lavoratori. E non solo in Italia.

    Perché più spesa militare – ormai la misura è quella verso il raddoppio per decine di migliaia di miliardi – mette nell’angolo e pesa come un macigno sulla spesa sociale, quella decisiva per la ripresa della vita e del lavoro dopo quasi tre anni di pesante pandemia globale.

    Nei quali, vale la pena ricordarlo, 23 milioni di lavoratori dipendenti hanno sostenuto in Italia il soccorso e la cura sanitaria in condizioni a dir poco impervie, e insieme l’intero processo produttivo.
    Sui lavoratori precipitano l’aumento del costo dell’energia e quello della mancanza della materie prime, riflesso diretto della guerra e poi delle sanzioni. L’affanno menzognero dei governi europei, e quello di Draghi in primo luogo, è in parte sostenere che va tutto bene – «arrivano i fondi del Pnrr, state tranquilli…», ma secondo quale principio redistributivo resta un mistero relegato nelle stanze del potere -; dall’altra di annunciare ridimensionamenti nelle forniture di gas e petrolio per far trapelare il messaggio duro e minaccioso di una «economia di guerra» che porta al «razionamento». Indovinate che dovrà pagarlo?

    L’obiettivo, solo ideologico, è quello della «crescita». Ma di quale economia? Del capitalismo finanziario fini qui fallimentare che trasforma il lavoro vivo dei lavoratori, della collettività, in profitti sempre più privati per una oligarchia mondiale che detiene le ricchezze del pianeta, mentre la produzione materiale viene sussidiata a partire dai costi energetici alla fonte, vale a dire sussidiando ancora una volta Confindustria. Lo Stato regolatore entra in funzione certo, ma con la regola aurea di sostenere chi ha il potere di comando.

    Ma la verità è che la povertà aumenta, oltre le 5 milioni di famiglie, che crescono i lavoratori poveri pur se occupati, e che i salari sono al palo e perdono ogni giorno di più che passa in assoluto il potere d’acquisto. E quando è il lavoro vivo ad essere sostenuto provvisoriamente nell’anticamera dei licenziamenti, viene penalizzato e poi cancellato: siamo alla beffa che Confindustria accusa di ricatto la proposta di legare gli aumenti salariali all’inflazione attuale.

    Siamo sempre alla produzione di merci e beni di consumo sempre privati, mentre i servizi collettivi vengono depotenziati se non privatizzati. Il taglio recente alle spese sanitarie per aumentare gli investimenti nella spesa militare è stato sintomatico, nonostante il disastro mostrato dal sistema sanitario durante la pandemia in alcuni «modelli ispiratori» come quello lombardo.

    È poi sempre sull’altare della crescita che si realizza, asimmetricamente, un’altra guerra sul corpo dei lavoratori, della quale stavolta non è responsabile Putin: le morti sul lavoro. 220 persone – cifra aggiornata a fine aprile – hanno perso la vita solo dall’inizio dell’anno sull’altare di questa promessa meschina. Una strage italiana, avvelenata in più dalla tragedia della nocività dei luoghi di lavoro e dell’ambiente che generano altre vittime, che continua ogni anno impunita con l’allegato di fiumi di retorica. Non altro.

    Infine la democrazia. Perché questo tempo di guerra è in pericolo. La stagione verso la quale stiamo andando infatti è quella di una stretta istituzionale emergenziale, confermata dal conflitto in corso, che porti all’infinito l’impianto draghiano: parlamento inutile e governabilità ad ogni costo per la stabilità e, naturalmente, la «crescita». Chi la fa, per che cosa e per quale occupazione?

    Quando è ormai evidente il contrario: solo la democrazia conflittuale fondata sui valori della costituzione può salvarci dal disastro. Vale a dire a partire dai diritti delle lavoratrici dei lavoratori. Mentre la crisi della rappresentanza politica mette in discussione e attacca anche il ruolo del sindacato, l’unico che affronti la questione sociale ormai esplosiva. Una democrazia del controllo, a partire dal processo produttivo qui e ora, dei suoi fini, a cominciare dai luoghi di produzione materiale e immateriale. E dal basso per un nuovo modello di sviluppo, che individui subito le reali alternative energetiche e i risparmi, e le pratichi rifiutando i passi indietro (del nucleare, del carbone), per una transizione ecologica vera che scelga la filiera della pace e non quella delle armi, perché il disarmo non è una chiacchiera degli «sconsiderati» pacifisti, ma concreta possibilità di nuovo, riconvertito, lavoro. E che assuma il principio dello scambio eguale e solidale tra i popoli e non quello attuale della rapina e dello sperpero. La pace ora è la prima vertenza sindacale, il primo contratto da strappare. Buon Primo Maggio.


  • marco brunetti

    * per l’editoriale, non per altri

    Grazie per aver pubblicato il mio ultimo commento
    E grazie anche per non avermi preso a male parole per il delirio maldicente che avevo inviato qualche giorno fa
    Lo so che era impubblicabile
    ..per questo ci sto lavorando ancora, non temete, lo renderò ancora più forte 😉

    ——
    Sempre faccia al vento compagni

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