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La Repressione non bussa, lei entra sicura

Giovedì 12 maggio, a Torino la Questura ha effettuato un’operazione repressiva che ha portato all’attuazione di varie misure cautelari per 11 persone – di cui 3 arrestati, 4 ai domiciliari e 4 con l’obbligo di firma – per aver manifestato e protestato davanti alla sede di Confindustria durante il corteo che il 18 febbraio ha portato in piazza più 10.000 studenti.

Da questa pagina abbiamo più volte scritto e sostenuto le proteste studentesche di questi mesi nate intorno al tema dello sfruttamento e delle condizioni di lavoro, che hanno portato alla morte di due studenti, Lorenzo e Giuseppe, durante lo stage obbligatorio previsto dall’Alternanza Scuola-Lavoro (ora PCTO). Studenti e studentesse, unica soggettività in questo Paese che ha avuto il coraggio e la lucidità di smontare le bugie su cui si basa questo modello di sfruttamento, in cui il ricatto pesa ogni giorno nelle vite di tutti e tutte. Ci ricordiamo ancora le cariche, le teste rotte e il sangue di chi retoricamente chiamano “il nostro futuro”.

Negli stessi giorni in cui la Procura di Torino si è impegnata a notificare questi atti repressivi, concentrandosi su chi denuncia la violazione di leggi e contratti sul lavoro e sulla salute e sicurezza, anziché sui veri criminali, abbiamo pubblicato e condiviso l’inchiesta operaia  alla Miliardo Yida di Alessandria, da cui emergono testimonianze terribili che non risparmiano neanche il settore della “green economy”, ennesima fetta su cui estrarre valore tramite lo sfruttamento e le frottole in chiave ambientalista.

Conosciamo benissimo le condizioni di lavoro e il livello di repressione che ogni giorno colpisce chi con coraggio mette in luce le contraddizioni e la sofferenza che questo sistema produce. Lo sappiamo soprattutto in questo momento, dove l’intera economia viaggia a velocità sparata verso un economia di guerra dal volto confortante. Ci accorgiamo tutti i giorni di quali siano le condizioni materiali e psicologiche in cui “liberamente” viviamo, condizione indotta e divieti, un intreccio asfissiante giratoci in torno al collo con un sorriso tecnico.

Abbiamo presente il volto dei caporali legalizzati o meno, dei dirigenti e capi nelle fabbriche, lo sguardo di fronte a lavoratori e lavoratrici che denunciano infortuni e condizioni di nocività, la loro presenza asfissiante. Conosciamo le loro casse di risonanze mediatiche e i volti che si prestano in loro soccorso. Conosciamo le varie Elisabetta Franchi, impegnate con la comunicazione a nascondere, neanche bene, il livello di sfruttamento e ricatto.

Il potere datoriale non ha genere e mette d’accordo istituzioni e imprese. A Faenza infatti, la stessa ha promosso insieme al Comune il progetto “RicuciAMO”, l’iniziativa ideata per offrire alle donne vittime di violenza, che sono riuscite ad allontanarsi dal compagno maltrattante, un percorso formativo per permettere di affrontare un periodo di inserimento lavorativo in azienda. Progetto sostenuto da altre imprese locali e inaugurato lo scorso anno alla presenza della ministra per le pari opportunità Elena Bonetti.

Da queste pagine continueremo a scrivere, smontare l’ipocrisia e i vari volti di questo modello economico-sociale e dei suoi strumenti. Proveremo da complici e solidali a diffondere e sostenere le lotte e trovare gli attrezzi per disarticolare i meccanismi e i dispositivi repressivi. Una piccola parte per farlo e iniziare a dare voce, trovare le parole per farlo di fronte all’indifferenza è una delle strade.

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