I richiami all’ordine di Mario Draghi – in un consiglio dei ministri durato appena dieci minuti – non sono bastati a tacitare le “sofferenze” dei partiti espressione della parte più arretrata della piccola borghesia italiana, quella che lucra redditi su concessioni pubbliche anche minime, evasione fiscale, ecc.
Così la Commissione Europea – il “governo” della UE – ha pensato bene di far sentire anche la propria pressione al fianco del presidente del Consiglio. L’Italia “deve attuare le riforme”, a partire da quelle previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, e quindi fisco, catasto, lavoro e concorrenza, chiede l’esecutivo di Bruxelles che, in particolare sugli immobili, aggiunge: «i valori catastali, che servono come base per il calcolo dell’imposta, sono in gran parte superati», occorre «allineare i valori catastali ai valori correnti di mercato».
Sul ddl concorrenza, che fin lì era stato il motivo principale del nervosismo della destra politica, l’unico punto di frizione resta quello più miserabile: le concessioni balneari. Ossia quelle autorizzazioni a “fare impresa” su spiagge pubbliche, recintando e privatizzando spazi demaniali, pagando (e più spesso eludendo) affitti risibili, sfruttando manodopera stagionale pagata meno del già patetico reddito di cittadinanza.
E dire che quel ddl è un pacchetto molto ricco di privatizzazioni – dall’acqua ai trasporti pubblici, dalla sanità ai rifiuti, dal gas all’idroelettrico, ecc – che mirano univocamente a consegnare nelle mani degli imprenditori una serie di beni e servizi che immancabilmente verranno a costare di più agli utenti. Ossia a noi.
Su tutto questo, silenzio assoluto e complice. Ognuno dei partiti di governo (e anche Fratelli d’Italia) rappresenta infatti varie frazioni di borghesia imprenditoriale (locale, nazionale, europea) che trova in quel testo grandi occasioni per fare affari.
Resta il nodo dei “balneari”, come dimostrazione di un contrasto di interessi tra questa sottile frazione (12.000 concessionari) – che ha fatto modesta fortuna sfruttando i poteri di amministrazioni locali “permeabili” – e un’imprenditoria molto più strutturata che vorrebbe impossessarsi anche di questo business secondo “regole europee” (mettendo all’asta le varie concessioni).
Ma non è questo il punto politico più interessante.
Il vero centro del conflitto mimato sotto i nostri occhi – e che non porterà in nessun caso ad una crisi di governo – è tra la prevalenza delle “regole europee” e l’eterno fai-da-te dell’imprenditoria stracciona e semilegale che caratterizza la fascia più bassa della borghesia nazionale.
Non ci sono molti dubbi sull’esito – sono trent’anni che questo scontro si ripropone e termina sistematicamente con la sconfitta dei “nazionalisti minimi” – ma torna utile al “potere vero” per istituzionalizzare un nuovo passo avanti verso la centralizzazione della decisione politica nelle mani di Bruxelles.
Lo dimostra, per esempio, il gesto davvero inusuale con cui Mario Draghi ha accompagnato la convocazione, stamattina, della conferenza dei capigruppo per esaminare il ddl concorrenza. Ha infatti imposto all’odg della riunione una sua lettera alla presidente Elisabetta Casellati in cui il premier sollecita l’approvazione entro fine maggio del ddl Concorrenza altrimenti verrebbe messo a rischio “uno degli obiettivi fondamentali del Pnrr”.
Si tratta, con tutta evidenza, dello stesso richiamo fatto nel consiglio dei ministri straordinario di una settimana fa: ogni “riforma” che il governo mette in cantiere deve essere approvata senza ritardi rispetto al calendario (e ai contenuti) stabilito con la Commissione Europea al momento dell’approvazione del “Recovery Fund”. 528 “condizionalità” da rispettare, a scadenze prefissate, altrimenti si blocca l’erogazione dei prestiti europei.
Il comando del capitale internazionale non si impone, di preferenza, con le armi, ma con i più sottili strumenti ricattatori del debito e dei prestiti, “liberamente” contrattati.
E’ da stupidi non capirlo…
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