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Unione Popolare: una goccia che vuole diventare tsunami

Giovedì 4 agosto è stata l’occasione per la presentazione a Napoli del simbolo dell’Unione Popolare.

Il “Capo Politico” di UP, Luigi De Magistris, insieme agli altri rappresentanti delle forze politiche che l’hanno promosso, ha ben spiegato in conferenza stampa il senso di questo progetto nato da una convergenza tra Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, il gruppo delle parlamentari di Manifesta e il movimento che anche nel nome – DemA – , si ispira all’ex sindaco di Napoli.

Definite, in questi giorni, le candidature in accordo con le proposte emerse dai singoli territori, si può passare alla raccolta firme per potere essere presenti alle elezioni politiche anticipate del 25 settembre.

Sarà una corsa contro il tempo, resa ancora più difficoltosa da cavilli burocratici più concepiti per blindare la rappresentanza politica che per incentivare la partecipazione democratica.

E proprio la raccolta firme che avverrà a ritmi serrati ai banchetti quotidiani che i militanti hanno già predisposto, nonostante il caldo torrido dei prossimi giorni, è la prima sfida che affronterà l’Unione Popolare nel mentre il dibattito a sinistra è tutto concentrato sulla costruzione di una alleanza elettorale che tenga insieme il più largo campo possibile per “sconfiggere le destre”.

É un leitmotiv abbastanza logoro che, mutatis mutandis, si sente ad ogni passaggio elettorale per giustificare la dinamica del cosiddetto “voto utile”. A ben vedere il “voto utile” è servito fino a qui a promuovere la subordinazione alle varie mutazioni della maggiore formazione – erede del PCI – della sinistra dopo la svolta della Bolognina, prima PDS e ora PD.

SI ed i Verdi di Bonelli confermano la loro sudditanza politica alla coalizione guidata da Letta, nonostante i tentativi di smarcarsi dall’agenda Draghi, il loro percorso politico è tracciato e gli è mancato il coraggio politico per pensare seriamente ad un alternativa, fuori da questo – abbastanza patetico – mercanteggiare (ad uso delle telecamere) il proprio ruolo dentro il vicolo cieco neo-liberista e guerrafondaio prospettato dal PD. Il Partito Democratico, infatti, mira ad una sommatoria di voti per sconfiggere elettoralmente ma non politicamente le destre, con cui tra l’altro ha governato (con Forza Italia e Lega) sotto l’ala di Draghi.  “Incidenti di percorso” non ce ne sono stati, ma solo rallentamenti fisiologici.

Conte, pensa dal canto suo, di preservare un ipotetico  “tesoretto di voti” cercando di rifarsi una verginità persa da tempo in un velleitario tentativo di un “ritorno alle origini” del M5S, dissanguato da defezioni e scissioni – a sinistra come a destra – rispetto alle sue scelte governative, proprio a cominciare dall’appoggio al governo Draghi, dopo essere stato il perno di due esecutivi.

Ma la lancetta dell’orologio non può tornare indietro per il due volte capo dell’Esecutivo e per il comico genovese che ha fondato il movimento, soprattutto tenuto conto degli scarsi risultati conseguiti con cui si presenta di fronte a quegli elettori che l’avevano visto nel 2018 come una reale alternativa.

I Pentastellati correranno da soli ma non hanno uno straccio di struttura organizzativa che gli garantisca una capacità di tenuta di fronte alle scelte politiche non azzeccate, a parte tante chiacchire sulla democrazia digitale. L’essersi smarcati da Draghi e la sua agenda, potrebbero essere comunque essere il fattore che potrebbe incentivare l’approdo elettorale per una parte non irrilevante dello storico bacino di voti del Movimento, considerando il fallimento dell’alleanza tra Ital Exit ed Alternativa che rende poco probabile la presenza alle urne della costola staccatasi illo tempore.

Renzi, correndo probabilmente da solo, vuole assicurarsi i margini  per la sua spregiudicatezza politica ed il suo trasformismo che non può essere ingessato dentro una coalizione trainata del PD con un peso relativo in cui non fa il bello e cattivo tempo. Ragioni simili hanno portato probabilmente Calenda, a fare un ragionamento simile all’ex sindaco di Firenze, pronti ad offrirsi al miglior offerente a tempo debito.

I due pivot attorno a cui si sono costruite le alleanze delle due maggiori coalizioni in formazione sono stati il PD che dopo la breve stagione del campo largo con il Movimento 5 Stelle – o meglio di ciò che ne rimane – successivamente alla “crisi” di governo si è posto ago della bilancia del raggruppamento del centro-sinistra e Fratelli d’Italia, forte dei risultati alle elezioni municipali e dei sondaggi che sembrano premiare l’opposizione di facciata della Meloni a Draghi, ed incarnare quel populismo d’estrema destra che gode di buona salute in buona parte dell’Unione Europea.

Quello a cui stiamo assistendo non è più né meno che al processo di decomposizione del quadro politico istituzionale delle forze che hanno caratterizzato l’ultima stagione politica che seppur con qualche irrilevante sfumatura o appoggiavano Draghi, o si sono ben tenute lontane dal disturbare seriamente il manovratore e promuovere una coerente opposizione, a destra (la Meloni) o a sinistra (SI).

Uno sfarinamento del quadro politico che è coevo e correlato con l’allargamebto del fossato tra paese reale e paese legale, senza che si intraveda la possibilità di sutura tra due mondi sempre più distanti.

Un processo che nonostante le alchimie elettorali attuali continuerà e si amplierà considerato che nessuno ha ricette nuove su come affrontare i nodi principali della crisi del mondo di produzione capitalistica, che non siano quelle elaborate dalle oligarchie continentali e dagli strateghi euro-atlantici. Questo porterà al netto delle leve che permettono di andare avanti con il pilota automatico da remoto, a una permanente crisi di governabilità ed all’intensificarsi dell’atomizzazione.

In questo contesto e con parole d’ordine chiare, l’Unione Popolare si gioca la propria partita: contro la guerra e per la costruzione della pace, per un transizione ecologica che non sia greenwashing ma risolva l’attuale crisi climatica, per la difesa e l’ampliamento delle ormai residuali garanzie sociali (lavoro, casa, istruzione e sanità) e dei diritti individuali contro le varie discriminazioni che questa società produce.

 

 

 

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3 Commenti


  • Sergio

    Per dare una speranza concreta e non parolaia bisogna allearsi ai 5stelle, costituire nelle elezioni il terzo polo alternativo alla destra fascista, razzista filopadronale e al PD, guerrafondaio e liberista fino al midollo…i voti della sinistra, di almeno una parte, sono nei 5 stelle (oltre che nell’ascensore che si recupera se c’è una possibilità di incidere fortemente) non nel pd e nelle frattaglie di gruppi dirigenti senza esercito. Ciao


  • Manlio Padovan

    Spero mi si consentirà di chiarire il mio pensiero.

    Io nulla ho scritto che lasci supporre la volontà di imporre qualcosa a chicchessia.
    Ma se a base del comunismo non si pone il materialismo, che è l’opposto ed il nemico dell’idealismo, non si capisce perché la chiesa consideri scomunicati tutti i comunisti, senza se e senza ma. Non si capisce perché quelli del PCI passavano per atei quindi materialisti e quelli della DC per credenti quindi idealisti: almeno in linea di massima era così.
    Altra questione è invece quella della libertà della religione: essa sia libera come fatto privato, assolutamente privato, senza se e senza ma ancora, ed io non ho affermato il contrario. Ma è certo che l’idealista che si senta anche comunista, cioè materialista, vive una contraddizione palese: fatti suoi? Sì, certo, fatti suoi! Ma, almeno, non confondiamo le carte.
    Di certo il nostro è un paese da rifondare. Non posso non riportare le parole seguenti di Ermanno Rea che mettono in risalto le cause profonde della nostra situazione. Quando prenderemo di petto, finalmente, le reali ragioni che hanno fatto di noi ciò che siamo? Quando sentirò realmente parlare di liberare l’Italia dai barbari?
    “E dire che a inventare il cittadino responsabile siamo stati noi italiani! Accadde molti secoli fa, tra il Trecento e il Cinquecento, con l’Umanesimo e il Rinascimento. Fu una lunga stagione di gloria che durò non meno di centocinquant’anni; poi, lentamente, furono spente tutte le luci che erano state accese e, tra roghi e altre forme di violenta repressione, la Controriforma espulse dall’Italia quell’”homo novus” appena plasmato sostituendolo con un “suddito deresponsabilizzato”, vera e propria maschera della sottomissione e della rinuncia a ogni forma di autonomia di pensiero…Se è vero, come è vero, che sono soprattutto la storia e le istituzioni a forgiare un popolo…Così accadde che gli italiani furono costretti a vivere l’esperienza di una sottomissione di cui continuano a pagare le conseguenze attraverso quel divieto di “pensare in proprio”, che si trasformerà ben presto in conformismo coatto e cortigianeria…Ma quale “tenace ricerca del vero” può darsi al di fuori di una piena libertà di pensiero…Possiamo ben dire che la Chiesa, tra il cinquecento e il Seicento e anche oltre, farà conoscere con notevole anticipo all’Italia (e non soltanto) il fascismo che si annida tra le pieghe del potere, di qualsiasi potere, e tanto più di quello che non si accontenta di imporre le sue regole con la forza bruta ma pretende di impossessarsi della coscienza stessa del cittadino, espugnandone mente e cuore…Ecco perché non c’è letteratura italiana moderna. «Per scrivere “Madame Bovary” bisogna decidere di mostrare la mediocrità della borghesia francese»…In altri termini, la Controriforma è riuscita talmente a offuscare il nostro animo da non consentirci neppure di praticare una letteratura di denuncia…Ma il silenzio della letteratura è soltanto una modesta spia del silenzio della ragione…una destabilizzazione politica che ha un unico obiettivo di carattere generale: impedire che l’Italia compia qualsiasi riforma democratica che modifichi i tradizionali assetti sociali e soprattutto minacci quella gerarchia di valori che costituisce, secondo santa romana Chiesa e la cultura che rappresenta, la spina dorsale della nostra civiltà.” (E. Rea La fabbrica dell’obbedienza/Il lato oscuro e complice degli italiani).
    Mi basterebbe poco: almeno sentissi parlare seriamente di laicità dello Stato e delle sue istituzioni.
    Non c’è uno, dico uno, che consideri il tema doveroso o, quanto meno, di interesse nazionale.
    Sembra che non si voglia riconoscere in tutta la sua portata politica e sociale il tema della laicità. Uno Stato che non sia veramente laico, tanto laico da essere in vero a-teo per non dare adito a dubbi sulla sua collocazione nei riguardi delle religioni, non è uno Stato civile. Vien da pensare che la politica che viviamo sia suddita della chiesa per interesse proprio. Per addormentare le coscienze. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma nessuno ne parla!
    Si pensi solo alla puerilità della nostra letteratura. Noi siamo ancora fermi ai Promessi sposi, quando la Francia con la sua letteratura ha avuto nel 1905 una legge seria sulla laicità. Ma si pensi all’economia e alla pace essendo la chiesa cattolica, il Vaticano, la maggiore finanziatrice delle industrie di armi italiane con le sue banche, come nel 1935 fu uno dei primi fornitori di armi nella invasione dell’Abissinia.
    Ma nessuno ne parla!
    Non posso andare oltre e mi scuso per la lunghezza del discorso.
    Ci tenevo ad essere un po’ più esaustivo e spero di esserci riuscito.


  • M

    Attendiamo il programma, e dato e’ cosa fuori moda, direi che dovrebbe essere meno fumoso,con pochi punti chiari. Vedi quello di france insoumise. Forza

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