Fin dai primi giorni di riapertura dei nostri atenei ci siamo trovati di fronte ai problemi storici e strutturali dell’Università. Noi sappiamo però come l’Università sia il punto di caduta di tutta una serie di contraddizioni frutto delle dinamiche generali che stiamo vivendo: da una competizione internazionale sempre più instabile e feroce che sfocia nella guerra guerreggiata, una crisi economica che porta maggior carovita, sfruttamento e mancanza di sicurezze, e una crisi ambientale, che ora si vuole affrontare attraverso la cosiddetta “transizione energetica” che cerca inutilmente soluzioni all’interno dello stesso sistema di sviluppo capitalista che ci ha portati sull’orlo dell’infarto ecologico.
L’Università si inserisce a pieno in queste condizioni perché è passata dall’avere una funzione sociale di emancipazione, ad essere l’ennesimo tassello di un sistema marcio dalle fondamenta.
Questo lo vediamo con gli accordi (sempre maggiori) con le aziende private, le stesse che inquinano, fabbricano armi e bombe e sfruttano i lavoratori, lo vediamo con la sempre maggiore esclusione di giovani dal percorso formativo, dall’edilizia universitaria scadente, dalla mancanza di studentati, mense e servizi sufficienti e molto altro.
Oltre ad aver assorbito al proprio interno queste dinamiche, ha assunto una funzione di laboratorio di tenuta ideologica nei confronti delle nuove generazioni, con il green washing, con la propaganda bellica portata con conferenze con esponenti NATO, ricerca con la Leonardo Spa, etc, ed in ultimo con il martellamento della “meritocrazia” elevata a valore supremo nascondendo le disuguaglianze sociali e materiali che stanno colpendo fasce sempre maggiori di popolazione. Quella che la nostra generazione si trova davanti è una vera e propria crisi di prospettive all’interno della quale è impossibile trovare alcuna forma di emancipazione se non il miraggio di quella individuale a discapito dei nostri stessi coetanei, una “soluzione” che ha dimostrato tutta la sua fallacia nei momenti più bui della pandemia in cui è emersa chiaramente la necessità di ripensare la società e con essa l’università a partire dalla messa al centro dell’interesse collettivo e non di quello privato.
Tutto questo in un contesto di spostamento a destra del quadro politico istituzionale, con un governo reazionario e conservatore chiamato a garantire la continuità dell’agenda Draghi e a gestire le forme di dissenso e conflitto sociale con un generale avanzamento sul piano delle misure di repressione, come recentemente confermato dal decreto 434bis (conosciuto come anti-rave).
Quest’anno abbiamo visto un’inedita attività tra i giovani universitari, a partire dalle proteste scoppiate in diverse città per le aule sovraffollate e la carenza di infrastrutture e servizi come a Roma, e alla sfiorata strage con il crollo dell’aula magna dell’Università di Cagliari. Anche in quel caso gli studenti hanno subito risposto mobilitandosi, così a Catania contro la riduzione degli appelli, a Bologna dove davanti all’ennesimo studente universitario suicida hanno rotto il silenzio che avvolge una generazione schiacciata psicologicamente da un’iper-competizione a tutti i livelli, oppure con le occupazioni simboliche di edifici e studentati a Bologna denunciando la mancanza di strutture pubbliche di fronte alle speculazioni private, fino ad arrivare agli studenti de La Sapienza di Roma che hanno alzato la testa contestando lo sdoganamento delle forze reazionarie anche dentro le università e che, manganellati dalla polizia con l’avallo della Rettrice, non solo non hanno fatto un passo indietro ma hanno rilanciato occupando la facoltà di Scienze Politiche.
Di fronte a tutto questo è evidente la necessità di allargare lo sguardo oltre le mura delle nostre università e concepire la critica a questo modello universitario all’interno di una messa in discussione più generale di questo governo e dei paradigmi che stanno alla base della nostra società, guardando alla data di mobilitazione nazionale universitaria del 18 novembre come primo importante passaggio da costruire in un contesto più generale di mobilitazione verso lo sciopero generale del 2 dicembre e la manifestazione nazionale del giorno dopo a Roma.
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