La migliore tradizione del movimento operaio e sindacale del nostro paese ha sempre assegnato alla giornata dello Sciopero Generale e alle sue variegate manifestazione una funzione di sintesi politica generale delle ragioni sociali e delle questioni al centro della battaglia politica che si conduce.
Lo Sciopero Generale – persino nella sua declinazione riformista – si è collocato sempre oltre il “puro elemento della rivendicazione sindacale” alludendo costantemente ad un orizzonte dove accanto agli obiettivi congiunturali emergevano le “indicazioni di prospettiva e di cambiamento”.
Anche per tali caratteristiche politiche e programmatiche lo Sciopero Generale si è storicamente connaturato come un momento topico delle mobilitazioni e delle lotte che hanno interessando il paese, i posti di lavoro e i territori.
E’ evidente che nella congiuntura di fase politica che stiamo attraversando la giornata di Sciopero Generale del 2 dicembre prossimo e la Manifestazione Nazionale a Roma del giorno dopo – indette dal Sindacalismo Conflittuale con l’adesione delle forze politiche comuniste, anticapitaliste e di classe – assume, oggettivamente, una importanza politica rilevante che andrà al di là dei numeri che si riusciranno a portare in piazza, anche se – ovviamente – siamo tutti impegnati per la piena riuscita organizzativa di questi due momenti di lotta.
In questo lavorio di costruzione dello Sciopero Generale, nelle assemblee preparatorie nei luoghi di lavoro, nella propaganda da svolgere tesa a meglio articolare i contenuti programmatici di queste giornate e nell’agitazione che dobbiamo sviluppare va ulteriormente definito e precisato il (particolare) corso politico antimeridionale che il Governo, Confindustria e l’insieme dei poteri forti stanno concentrando contro il Sud.
Non che negli anni scorsi il Meridione d’Italia non sia stato penalizzato dalle politiche economiche e sociali dei vari esecutivi che si sono succeduti. Anzi – come certificano i vari istituti di rilevazione statistica, anche quelli accademici ed istituzionali – lo storico divario Nord/Sud è andato crescendo con buona pace di tutte le chiacchiere sul “riequilibrio nazionale e sulla sussidiarietà tra territori”.
Non c’è comparto e/o segmento economico, produttivo e sociale che non evidenzi un allargamento della forbice tra il Nord e il Sud del paese che ha già superato tutte i record negativi del recente passato.
Già la crisi del 2007/2008 (volendo restare temporalmente ai nostri anni senza scomodare la storica “Questione/Contraddizione Meridionale”) ha fatto registrare un arretramento generale delle condizioni economiche del Sud che non è stato più recuperato.
Con la Crisi Pandemica Globale – poi – sono emerse tutte le difficoltà di territori dove i tradizionali sistemi di Welfare sono risultati insufficienti e poco adatti alle emergenze strutturali ed a quelle velocemente ed improvvisamente intervenute.
Con i Progetti del PNRR e le relative risorse economiche dell’Unione Europea destinate all’Italia le quote destinate al Meridione non tengono conto di tale contesto squilibrato per cui – anche nella fantasiosa ipotesi di una corretta e puntuale gestione di queste risorse – resteranno intatte tutte le divaricazioni e i tassi di divaricante polarizzazione sociale tra queste aree del Paese.
Del resto basta leggere anche solo “i titoli” di questi Progetti per rendersi conto che al di là dei grandi proclami sul rilancio delle Infrastrutture al Sud ciò che si sta, concretamente, preparando è l’attuazione dei desiderata circa “l’Autonomia Differenziata” portando a compimento il disegno liberista di definitivo abbandono dei principi di universalità del Welfare, con in più i rischi di una nuova manomissione dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro e la riproposizione, in forme aggiornate e più sapientemente mistificanti, delle famigerate Gabbie Salariali.
Se a questo scenario prospettico – ma per taluni aspetti già immanente ed in corso di realizzazione nei suoi contenuti scopertamente antipopolari – sommiamo le annunciate limitazioni/paletti verso chi usufruisce del Reddito di Cittadinanza, i tagli ai fondi destinati agli Enti Locali (i quali al Sud sono, in gran parte, in “procedura di Dissesto”) e quelli a ciò che residua della Sanità Pubblica il quadro che va delineandosi è foriero di preoccupazioni per gli interessi e le condizioni di vita e di lavoro dei settori popolari della società meridionale.
Emerge – quindi – che il percorso di costruzione dello Sciopero Generale dovrà incaricarsi di sollecitare una risposta sociale e, possibilmente, organizzata a queste nuove e vecchie problematiche che si aggiungono ad un quadro sociale di forte incrudimento dell’offensiva governativa e padronale di cui la recente azione dell’Esecutivo di Giorgia Meloni è la “fenomenologia più evidente”.
Si tratta – allora – di determinare, a partire da subito, le migliori condizioni possibili affinché nelle mobilitazioni per il 2 dicembre e nella manifestazione del 3 dicembre le ragioni del Sud e – soprattutto – i soggetti sociali del Meridione siano visibili ed attivi con un protagonismo che dovrà continuare oltre queste date e stabilizzarsi territorialmente in maniera organizzata per predisporsi ad un auspicabile ciclo di lotte che non potrà essere di breve periodo.
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Lucio
La questione Meridionale deve tornare al centro dell’iniziativa delle organizzazioni di classe.
Il Sud ha una grande tradizione di lotta. Occorre rimettere in moto il conflitto in questa parte del paese.