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Cospito con “i boss”? L’ha deciso il ministero di Delmastro…

Ci sono parecchie cose che non tornano, nel modo in cui la “classe politica” sta affrontando il “caso Cospito”. Non tornano sul piano giuridico e costituzionale, certamente, ma neanche sul piano strettamente “operativo” si può parlare di “trasparenza”.

Ieri sera, al Monk di Roma, c’è stata una iniziativa molto seria con gli interventi di avvocati, giuristi e costituzionalisti di alto livello: Luigi Ferrajoli, Franco Ippolito, Laura Longo, Caterina Calia, Luigi Manconi.

Grande spazio, giustamente, alla discussione propriamente giuridica e costituzionale sull’ergastolo ostativo e il 41 bis.

Il primo è una pena inserita nel codice penale transitoriamente e in via “d’emergenza”, nel 1992, a seguito delle stragi per uccidere i magistrati Falcone e Borsellino.

Di fatto, si limitava a vietare – per i condannati all’ergastolo – l’applicazione della riforma del 1975, la cosiddetta “legge Gozzini”, che permetteva di ridurre la pena di 90 giorni per ogni anno di “buona condotta” (la semplice assenza di sanzioni o rapporti negativi era sufficiente), la concessione di “permessi” temporanei (fino al limite di 45 giorni l’anno), e altri “benefici” pensati per favorire il reinserimento progressivo e positivo del detenuto nella società.

Una norma, quella del ’75, che contribuì a ridurre enormemente la “recidiva”, e quindi la ripetizione di reati dopo la prima esperienza carceraria.

L’ergastolo “ostativo” per i mafiosi (‘ndrangheta e camorra compresi) fu disegnato come una norma “temporanea”, della durata di tre anni, proprio per affrontare quella che era stata disegnata come un’offensiva mafiosa stragista (Roma e Firenze furono colpite). Ma come le peggiori cose “temporanee” divenne lentamente definitiva.

Prorogata altre due volte, sempre per tre anni, nel 2002 – in completa assenza di eventi altrettanto scioccanti – venne trasformata in pena ordinaria, estendendola anche ad una lunga lista di altri reati (primo fra di tutti, ovviamente, il “terrorismo”), anche in via retroattiva.

L’intento iniziale dichiarato dal legislatore era quello di “recidere i rapporti” tra detenuti e organizzazione d’appartenenza, ritenendo che i “capi” fossero sempre in condizione di continuare ad esercitare questo ruolo anche da prigionieri. Ipotesi discutibile, in molti casi, perché qualsiasi organizzazione gerarchica – di qualunque tipo – difficilmente può continuare ad operare con la dovuta tempestività se per le decisioni rilevanti deve attendere “l’ordine” proveniente da un carcere.

Fissata comunque la “norma”, ne seguì anche una modifica del trattamento carcerario trasformando il vecchio “articolo 90” della stessa legge Gozzini nel famigerato “art. 41bis”.

Carceri e sezioni speciali vennero sottoposti a una ristrutturazione architettonica, tecnologica e organizzativa; tutta la vita dei detenuti venne “normata” in modo tale che nulla potesse sfuggire al controllo delle guardie (a meno di non corrompere qualche guardia, come spesso avviene…).

La stessa “socialità” – la possibilità di incontrare altri detenuti durante l’”ora d’aria” – veniva regolamentata in modo tale che non fosse più il detenuto a scegliersi con chi parlare. La composizione dei piccoli gruppi (massimo quattro persone) che passeggiano nello stesso quadratino di cemento armato viene decisa dal Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), ossia dai vertici del ministero della Giustizia (la “grazia” è scomparsa anche come parola…).

Ed è questo dettaglio “tecnico” che sta alla base di quanto riferito da Luigi Manconi (ex parlamentare nei Verdi e nel Pd, ora fondatore dell’associazione A buon diritto), che sarà dettagliato a ore anche in una conferenza stampa alla Camera.

Torniamo dunque ad Alfredo Cospito che, come abbiamo già detto molte volte, non dovrebbe neanche stare in regime di 41bis, visto che la pena per l’unico “reato di sangue” per cui è stato condannato in via definitiva – 10 anni e otto mesi, per il ferimento dell’ad di Ansaldo Nucleare – è stata praticamente già scontata; sei anni li ha passati comunque in regime di “alta sicurezza”.

Il 41bis gli è stato imposto solo meno di un anno fa, nel maggio 2022, quando la Cassazione ha rimandato in Corte d’appello una sentenza di condanna a 20 anni per per aver posizionato, nella notte tra 2 e 3 giugno 2006, due pacchi bomba davanti alla scuola allievi dei carabinieri di Fossano (in provincia di Cuneo).

Nell’esplosione non ci furono né morti né feriti. Di fatto un “petardone” nella notte, di cui non si erano probabilmente accorti neanche i carabinieri bersaglio dell’azione.

Per questo fatto la condanna sembrava già assurdamente sproporzionata: 20 anni. Ma la Cassazione chiedeva di più, cambiando anche la “fattispecie di reato”: da strage diciamo così “semplice” (nel codice penale si imputa la strage ogni volta che viene usato esplosivo, ma ovviamente la condanna viene commisurata all’esistenza o meno di vittime e feriti) a strage contro la personalità interna dello stato”.

Qui già c’è una mostruosità giuridica, sia perché il fatto – il “petardone” – non ha avuto alcuna conseguenza per le persone; sia perché la “strage contro la personalità interna dello stato” non era mai stata contestata prima. Neanche per la bomba di Piazza Fontana o quella alla stazione di Bologna, che certo avevano stravolto la vita del Paese – e anche dello Stato – ben più dell’irrilevante “botto” nelle campagne di Fossano.

Ma questa mostruosità giuridica rendeva possibile la condanna all’ergastolo ostativo e di conseguenza anche l’applicazione del 41bis. Fin troppo semplice vede che in questo caso il “reato” viene scelto e cambiato per raggiungere un obiettivo (“tombare” il prigioniero), invece che per punire secondo proporzione al danno creato. Nel caso di un anarchico, oltretutto, non ha neppure senso parlare di “recidere i rapporti con un’organizzazione” che non c’è…

Manconi però ha spiegato nei dettagli qualcosa di molto più preciso che riguarda l’azione del governo – o di parte di esso – nelle gestione del “caso Cospito”.

Alfredo inizia il suo sciopero della fame il 20 ottobre. E’ già nel carcere Bancali di Sassari, in 41bis, e per la sua “socialità” il Dap aveva scelto altri due detenuti considerati di “bassa pericolosità” (sempre relativamente al tipo di carcerati che stanno lì). Insomma, non erano due “boss” della malavita organizzata.

Inizialmente, come sempre accade, del suo sciopero della fame non si interessa nessuno, se non il suo legale e qualche compagno di area. Ma col passare delle settimane, e il vistoso calo di peso, qualcosa comincia a trapelare, anche sui media più reazionari.

Da più parti ci si interroga su questa “strana” situazione, si scrivono appelli per togliere Alfredo dal 41bis, i primi presìdi e qualche striscione di solidarietà, e tutto quel che sappiamo fino a questi giorni.

Il primo gennaio 2023 il Dap – l’organismo del ministero di cui è sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove, il “coinquilino d’Italia” di Giovanni Donzelli, meloniani di ferro – decide però di cambiare i detenuti che devono uscire all’aria insieme ad Alfredo.

E sono i tre boss di cui si parlerà poi alla Camera e sui giornali: Francesco Di Maio dei Casalesi, il ‘ndranghetista Francesco Presta, il mafioso e neofascista Pietro Rampulla.

Alfredo non ha avuto alcuna possibilità di scelta. Al massimo poteva rifiutarsi di uscire all’aria e restare in cella. Ma questo, nelle carceri, non si fa. Perché due chiacchiere devi poterle scambiare, se vuoi restare col cervello funzionante.

E di cosa potevano parlare, questi quattro detenuti così diversi tra loro? Ovviamente di 41bis e dello sciopero della fame, che cominciava ad andare anche sui telegiornali…

E cosa potevano dire ad Alfredo i tre boss? Ovviamente “vai avanti” (“tanto la pelle è la tua“, ndA). Hai visto mai che si ottiene qualcosa…

Ma tanto bastava poi al sottosegretario Delmastro e Donzelli, e quindi a Giorgia Meloni e tutti i media di area e non (vergognoso, in particolare, Marco Travaglio), per fantasticare di “saldatura tra anarchia e malavita organizzata”. Lì per lì l’idea deve esser sembrata buona per sbarrare la strada alle richieste di tirar fuori Alfredo dal 41bis, poi è tornata utile anche per altro.

Il quadro finale ci sembra abbastanza limpido. Se non vuoi affrontare un problema (ergastolo ostativo e 41 bis dovranno nuovamente passare al vaglio della Corte Costituzionale), mischia le carte… Se puoi mischiare la composizione di un cortile di carcere – e puoi farlo, stando al governo – è ancora più facile.

Anzi, ti dài anche l’occasione per andare all’attacco di quei reazionari di complemento del Pd,che hanno costruito negli ultimi 30 anni la forca a cui oggi i fascisti cercano di appenderli.

Da tutto questo luridume si può e si deve uscire in un solo modo: fuori Alfredo dal 41bis. E poi cominciamo a metter mano anche al resto…

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