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Il rapporto annuale della Fondazione Gimbe dichiara la morte del Sistema Sanitario Nazionale

La Fondazione Gimbe ha pubblicato la sesta edizione del rapporto annuale stilato sulle condizioni del Servizio Sanitario Nazionale. Quel che si legge al suo interno è un quadro di crisi tragica per la tutela della salute della popolazione del paese.

La Fondazione Gimbe ha pubblicato la sesta edizione del rapporto annuale stilato sulle condizioni del Servizio Sanitario Nazionale. Quel che si legge al suo interno è un quadro di crisi tragica per la tutela della salute della popolazione del paese.

Il presidente dell’istituto, Nino Cartabellotta, nel presentare il rapporto ha detto chiaramente che ci troviamo a una sorta di punto di non ritorno, da affrontare con riforme profonde. I dati sciorinati palesano il dissesto della sanità pubblica, sapientemente operato come obiettivo politico negli ultimi decenni.

Il divario della spesa sanitaria italiana con la media dei paesi europei appartenenti all’OCSE è quasi 49 miliardi di euro. Mentre il fabbisogno dal 2010 al 2023 è aumentato di quasi 2 miliardi l’anno, i governi non hanno fatto altro che tagliare e smantellare questo servizio, in ossequio ai vincoli europei, andando solo apparentemente controtendenza nel periodo del COVID.

Infatti, tra il 2010 e il 2019 sono stati tolti 37 miliardi al SSN, tra tagli ed erogazione di minori risorse di quelle programmate. Il fondo sanitario, tra il 2020 e il 2022, è aumentato di 11,2 miliardi, tutti però assorbiti dai costi della pandemia: nessun intervento che potesse risolvere le problematiche strutturali create nel corso degli anni.

Gli slogan che si sentivano in piena pandemia, che non saremmo tornati alla situazione precedente, che si sarebbe imparato dagli errori del passato, sono finiti nel dimenticatoio. Nella Nota di aggiornamento del DEF da poco pubblicata si torna a prevedere la diminuzione del rapporto tra spesa sanitaria e PIL, dal 6,6% di quest’anno al 6,1% del 2026.

Le conseguenze, per Cartabellotta, saranno “interminabili tempi di attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra vicino casa, inaccettabili disuguaglianze regionali, aumento della spesa privata sino alla rinuncia alle cure”. In pratica, la definitiva cancellazione della medicina territoriale e del diritto costituzionale a essere curati.

Sempre Cartabellotta ha aggiunto che “c’è una frattura strutturale Nord-Sud che sta per essere normativamente legittimata dall’autonomia differenziata” e che stiamo andando verso “21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato”. I flussi economici, inoltre, scorrono dal Sud al Nord, con un’evidente disparità nell’accesso alle cure.

Insomma, lo smantellamento della sanità pubblica è giunto a pieno compimento, con gli effetti più duri che si riversano sui settori popolari. E non basta più aggiungere qualche fondo in precedenza tagliato, ma serve un’alternativa sistemica in grado di rappresentare gli interessi della maggioranza della popolazione, contro questo modello incapace di rispondere alle sue esigenze essenziali.

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