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I nostri anniversari: Roberto Franceschi

La sera del 23 gennaio del 1973 era prevista un’assemblea del MS proprio presso la Bocconi; assemblee di questo tipo erano sempre state autorizzate all’interno delle facoltà ed erano sempre state aperte non solo agli studenti ma a chiunque fosse stato interessato a parteciparvi, tant’è che quella del 23 avrebbe dovuto essere la prosecuzione di un incontro tenutosi alcuni giorni prima nello stesso luogo.

In questa occasione, però, il Rettore della Bocconi (Giordano Dell’Amore) dispose che l’accesso all’assemblea fosse limitato ai soli iscritti alla facoltà tramite esibizione del libretto universitario; per tutelarsi dalle prevedibili proteste che tale assurda imposizione avrebbe suscitato, Dell’Amore avvertì la polizia, che all’arrivo degli studenti fece trovare l’edificio circondato da un centinaio di agenti della celere.

Quando alcuni provarono ad avvicinarsi all’ingresso, determinati a partecipare ugualmente all’assemblea, e vennero bruscamente respinti dai celerini, la rabbia di studenti e lavoratori esplose in una dura contestazione che li portò allo scontro con la polizia.

Mentre il gruppo veniva allontanato e disperso dagli agenti, alcuni di questi spararono diversi colpi d’arma da fuoco ad altezza d’uomo: ad esserne raggiunti alle spalle durante la fuga furono Roberto Franceschi e l’operaio Roberto Piacentini.

Quest’ultimo venne immediatamente ricoverato e riuscì a salvarsi mentre Franceschi, nonostante il soccorso portatogli da alcuni compagni e da un medico presente sul posto, perse conoscenza e morì dopo una settimana di coma.

La notizia si diffuse velocemente e l’ondata di indignazione e rabbia che la violenza cieca e spropositata della polizia suscitò mise in difficoltà la Questura milanese, che dichiarò inizialmente che Roberto era stato colpito da un sasso lanciato da uno dei manifestanti [la stessa menzogna usata per l’omicidio di Carlo Giuliani, 28 anni dopo, a Genova, ndr].

Il proseguire delle indagini rivelò da subito la falsità di tale ipotesi ma la Questura tentò un secondo salvataggio affermando che l’agente responsabile dell’omicidio, Gianni Gallo, aveva sparato in stato di semi-incoscienza.

I continui tentativi da parte della polizia di falsificare il reale svolgimento dei fatti e di occultare le prove fecero sì che il primo processo nei confronti degli assassini di Roberto si aprisse solo nel maggio del ’79, a sei anni di distanza dall’omicidio.

Questo primo processo si concluse con l’assoluzione di quasi tutti gli imputati ma la vicenda giudiziaria si protrasse per oltre vent’anni, al termine dei quali furono stabilite responsabilità da parte del corpo di polizia, ma non il nome dell’assassino.

Solo nel 1999 la famiglia di Franceschi ha ottenuto un risarcimento in denaro con cui è stata finanziata una fondazione intitolata al giovane militante ucciso.

L’esito del processo (la sostanziale impunità dei suoi assassini, anche grazie ai continui tentativi di insabbiamento delle prove da parte della Questura) e il tentativo di ribaltare le accuse ponendole a carico delle vittime (l’operaio Roberto Piacentini fu accusato di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni ma venne poi assolto per insufficienza di prove) rappresentano un iter tristemente noto tra i casi di omicidi compiuti per mano della polizia; tuttavia già a partire dal funerale di Roberto, partecipatissimo e carico di rabbia silenziosa, il movimento studentesco ribadì che la perdita del proprio compagno e qualsiasi altro tentativo di intimidazione li trovava determinati a non fare nessun passo indietro.

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1 Commento


  • Eros Barone

    Consiglio a chi vuole conoscere un simbolo importante delle lotte sociali degli anni Settanta la visita al monumento eretto in memoria di Roberto Franceschi. Si tratta di un monumento costituito da un maglio di sette metri di altezza e del peso di cinquanta tonnellate, e si trova davanti all’Università Bocconi. Come fu precisato dai promotori dell’iniziativa, esso venne realizzato senza compromissioni con le forze politiche ed economiche, identificate come le vere responsabili della morte di Franceschi, così come dei compagni e dei democratici uccisi dalla repressione poliziesca che i governi borghesi attuarono nel corso dei duri scontri di classe che ebbero luogo in quel periodo.
    Vale la pena di ricordare che il monumento vide, sia nella fase della progettazione che in quella dell’esecuzione, oltre al concorso di artisti altamente qualificati, la partecipazione attiva delle forze popolari avanzate, quali garanti della qualità complessiva dei contenuti politici e della loro formalizzazione estetica. Il possente monolite di ferro fu scelto in funzione della sua pregnanza formale, che rende palpabile il senso del contrasto violento, che è proprio della società capitalistica, fra l’oggetto concreto e perturbante, simbolo del lavoro oggi alienato, e l’edificio dell’università, simbolo della cultura oggi separata.
    Memorabile è infine la scritta incisa alla base del monumento:

    A ROBERTO FRANCESCHI E A TUTTI COLORO CHE NELLA NUOVA RESISTENZA DAL ’45 AD OGGI CADDERO NELLA LOTTA PER AFFERMARE CHE I MEZZI Dl PRODUZIONE DEVONO APPARTENERE AL PROLETARIATO.

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