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Vogliono Anan a tutti i costi. No all’estradizione in Israele

Può, in Italia, la libertà di un uomo rischiare d’interrompersi, sostituita dalle “cure” carcerarie di uno Stato accusato di genocidio? Uno Stato che, soltanto a partire dal 7 ottobre, ha proceduto all’arresto di 7mila palestinesi in un quadro detentivo di corte marziale, spesso senza garanzie processuali e di tutela legale, noto per le pratiche disumane, degradanti e di tortura adottate? 

Può, purtroppo. È quanto si è configurato in questi giorni con l’accettazione da parte delle autorità italiane dell’avvio di un iter procedurale finalizzato all’estradizione in Israele di Anan Yaeesh, 37enne palestinese residente a L’Aquila.

Così, nel pieno dello sterminio in corso a Gaza con 30mila ammazzati e oltre 1 milione e 500mila corpi schiacciati sull’estremo bordo della propria terra invasa dalla ferocia di Tsahal, solerti funzionari israeliani hanno avuto tempo e modo di inoltrare al nostro governo una richiesta per farsi consegnare l’uomo palestinese da tempo inseritosi nel capoluogo abruzzese.

Della cosa se ne è occupato direttamente il ministero della giustizia italiano che con sollecitudine si è subito premurato dell’esecuzione di un ordine di custodia a carico del malcapitato Yaeesh, tradotto poi nel carcere di Terni in un’ala della struttura umbra riservata ai casi di terrorismo.

Si è trattato, di fatto, del provvedimento meno garantista possibile tra quelli attuabili, in un quadro indiziario nebuloso o per nulla chiarito.

Anan Yaeesh è originario di Tulkarem, in Cisgiordania. Per aver partecipato a eventi politici all’epoca della Seconda Intifada scontò un periodo di reclusione e, nel corso di un’azione militare, rimase ferito da pallottole israeliane. Yaeesh è stato attivo nel panorama della lotta contro l’occupazione israeliana cosa che, occorre ricordare, è peraltro riconosciuta dal diritto internazionale quale pratica resistente legittima in un contesto oppressivo di occupazione militare.

Dal 2017 è in Italia e dopo due anni è entrato in possesso di regolare titolo di soggiorno. Nel 2023, durante un periodo di visita in Giordania, è stato rapito dai servizi giordani che presumibilmente progettavano di consegnarlo poi a Israele. Dopo alcuni mesi di detenzione, Yaeesh è stato però rilasciato e ha potuto nuovamente raggiungere il nostro Paese nello scorso novembre. Il resto è cronaca di questi giorni.

La richiesta di estradizione da parte di Israele, in un contesto generale così drammatico che incenerisce ogni già esile fiducia sul piano della tutela dei diritti umani palestinesi da parte di Tel Aviv, costituisce un fatto di estrema preoccupazione. In ragione di ciò si è costituito un Comitato per la liberazione di Anan Yaeesh col fine di coordinare le iniziative di mobilitazione per l’immediata scarcerazione del giovane uomo palestinese.

Data la tempestività dei primi passi compiuti con l’arresto immediato di Yaeesh, non può non destare profonda perplessità l’accelerazione impressa a questo caso giudiziario a opera degli enti coinvolti dei due Paesi. In uno scenario, poi, dove da una parte c’è un Israele le cui condotte colonialiste e sanguinarie lo sottopongono all’esame della Corte Internazionale di Giustizia con l’infamante accusa di genocidio dei palestinesi, cosa per cui è fresco destinatario di una specifica ordinanza emessa dai giudici di Ginevra.

Dall’altra, il nostro Paese, una delle cosiddette democrazie avanzate d’Occidente, teoricamente legato a cultura e quadri normativi improntati alla difesa dei diritti umani e civili degli individui presenti all’interno dei propri confini, il cui governo, però, non sembra risparmiarsi nell’attuazione di un generale clima repressivo col manganello bene in vista, brandito per soffocare l’urlo del cessate il fuoco a Gaza e per una Palestina libera.

Permettere un’estradizione, significherebbe consegnare Anan Yaeesh a un regime giudiziario che adotta criteri discriminatori con corte marziale per i cittadini palestinesi a differenza di quanto accade per i coloni ebrei ai quali Israele applica normali procedimenti civili. Già questo rende lecite le più lugubri previsioni di trattamento per l’estradato.

E mentre è grande il dibattito sugli ostaggi a Gaza e sulle trattative che vedono coinvolti possibili scambi di prigionieri tra le parti, è importante ricordare che nei penitenziari israeliani sono attualmente ammassati 9mila detenuti palestinesi.

Circa 3.500 di loro risultano sottoposti alla temutissima “detenzione amministrativa”, cioè quella che, per motivi di sicurezza, può essere indefinitamente prolungata dal giudice militare con l’imputato privato della possibilità di conoscere il capo d’accusa e di ottenere adeguata tutela legale e possibilità di un giusto processo.

Il modo con cui verrà gestito il caso di Anan Yaeesh costituisce una cartina al tornasole per il governo italiano chiamato innanzitutto a iniziative di chiarimento sui propri orientamenti in politica della giustizia e internazionale: il caso offre infatti un orizzonte a tinte fosche per il palestinese in questione con un futuro da compiersi in una galera israeliana, contesto che sembra offrire metodi e garanzie di sicurezza nulli. 

È stata inoltrata un’interrogazione al ministro della giustizia Nordio da un gruppo di parlamentari, ma è d’obbligo immaginare che si debbano azionare tutti quei percorsi tecnici e civili più efficaci per far sì che sia garantito nel modo più ampio e rigoroso il rispetto dei diritti umani e civili di di Anan Yaeesh e, come ci si augura, il suo rapido ritorno alla libertà.

 * da Comune.info

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