La campagna di boicottaggio della complicità col genocidio dei palestinesi ha ben presente come l’Accordo di Cooperazione Industriale Scientifica e Tecnologica, in vigore dal 2002, sia uno degli strumenti con cui il nostro paese partecipa al massacro. Anche quest’anno il ministero degli Esteri non ha fatto mancare la pubblicazione del bando relativo.
Nel testo si prevede che, dagli organi preposti della Farnesina, verranno finanziati per metà del loro ammontare 11 “progetti congiunti di ricerca italo-israeliani“. I settori interessati sono tre, quelli delle tecnologie del suolo, dell’acqua, e dell’ottica di precisione, elettronica e tecnologia quantistica.
In pratica, l’intera gamma degli studi è parte integrante della politica israeliana di Apartheid. Mentre vogliono implementare le rese del suolo, continuano gli insediamenti illegali e da anni proibiscono ai palestinesi l’accesso alle terre della West Bank che gli sono state riconosciute (meno dell’1% dell’area non gli è interdetto, secondo un rapporto della Banca Mondiale di una decina di anni fa).
Non è mai ridondante ricordare le indagini di Amnesty International, che hanno mostrato come l’accesso all’acqua sia sistematicamente e scientificamente negato da Israele, mentre a Gaza già prima del 7 ottobre il 97% dell’acqua non era potabile. Ma è l’ultimo ambito di ricerca che è orientato direttamente alle attività militari di Tel Aviv.
Tecnologie ottiche ed elettronica sono, come tutti ormai sanno, una parte fondamentale degli armamenti degli eserciti contemporanei. E difatti, riporta il Fatto Quotidiano, nel 2021 tra i vincitori del bando c’era la Elbit Systems Ltd, una delle più grandi aziende belliche israeliane, che come diverse altre si fregia del fatto che i propri prodotti siano “ground-tested” o “combat proven“, ovvero sperimentati sulla pelle dei palestinesi.
Risulta chiaro come il boicottaggio accademico sia una strada concreta per “esercitare pressione sullo stato di Israele affinché si impegni al rispetto del diritto internazionale“. È questo che si legge in una lettera aperta inviata da molti esponenti delle università italiane alla Farnesina, per gli evidenti impieghi dual use, civile e militare, delle ricerche che si andrebbe a finanziare.
Tema su cui dovrebbe essere sensibile il suddetto dicastero, visto che Tajani, in qualità di presidente dell’incontro dei ministri degli Esteri del G7 alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, poco più di due settimane fa aveva dichiarato l’impegno a prevenire l’acquisizione di strumentazione dual use da parte della Russia. Cosa su cui la Cina è stata accusata più e più volte.
D’altronde, anche il recente approfondimento uscito su Altreconomia ha mostrato come a Tel Aviv l’Italia fornisca anche direttamente armi. E questo anche dopo il 7 ottobre, nonostante le rassicurazioni del ministro della Difesa Crosetto, che evidentemente non valgono nulla.
In questo caso dual use fa rima con il doppio standard da sempre utilizzato dalle classi dirigenti occidentali. Quello che viene condannato come «criminale» e «antidemocratico» fuori dal Patto Atlantico, al suo interno è la normalità. Una normalità che va contestata e rotta dalla lotta per la pace e la giustizia sociale.
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