Fermare, con il conflitto, repressione e fango mediatico contro il nuovo protagonismo sociale e le sue espressioni politiche, sociali e sindacali.
Negli ultimi mesi le piazze italiane stanno conoscendo un rinnovato protagonismo sociale. L’indignazione verso l’inenarrabile massacro a cui è sottoposto il popolo palestinese, le proteste contro le brutalità poliziesche verificatesi in alcune città italiane, la rabbia del movimento delle donne contro il diffondersi della violenza e del complesso dei meccanismi coercitivi di questa società unitamente ad alcune significative vertenze sociali e sindacali stanno – positivamente – segnando il panorama politico del nostro paese.
Con un sincronismo temporale e politico preoccupante, accade però che – ancora una volta – si sta rimettendo in moto la “macchina del fango mediatica” e l’intero caravanserraglio culturale, politico e materiale teso alla palese criminalizzazione di ogni forma di dissenso, di ogni espressione pubblica indipendente e di tutte le manifestazioni di opposizione al governo Meloni.
Unitamente alla abituale “terapia del manganello” contro cortei e forme di lotta sindacali e sociali, di cui oramai sono piene le cronache quotidiane, si sta affermando una subdola campagna di stampa e televisiva (in cui si distinguono i soliti “quotidiani scandalistici” della destra) contro ben individuate sigle politiche (Cambiare Rotta, Organizzazione Studentesca d’Alternativa, Potere al Popolo….) le quali, a detta di questi quotidiani e testate giornalistiche,vengono indicate come “professionisti delle piazze”, “agitatori di professione” e, addirittura, di “contigui a forme di terrorismo interno e/o internazionale”.
Stessa gogna mediatica viene riservata ad alcuni “personaggi pubblici” i quali hanno osato distinguersi dall’asfissiante omologazione imperante attraverso qualche distinguo verso la narrazione bellica dominante o la vigenza di una palese “clima d’ordine” seppur ammantato dalla “democrazia”.
Tale comportamento – da vero e proprio killeraggio politico/penale – non ci sorprenderebbe, se tale e continua opera di manomissione e falsificazione politica non avvenisse in un contesto politico generale che, come conseguenza dell’aggravarsi dei fattori di crisi internazionale, sta innestando un’ulteriore blindatura delle relazioni politiche e della libertà di lotta e di organizzazione nel nostro paese.
Le spropositate condanne giudiziarie contro gli attivisti ambientali di Ultima Generazione e l’ennesimo tentativo di perseguire penalmente i dirigenti dei sindacati conflittuali a Piacenza sono alcuni dei sintomi precisi di un inasprimento della repressione e di un “attivismo militante” delle varie Procure della Repubblica.
È evidente che con il crescente interventismo militare dell’Italia – nel blocco Euro/Atlantico e, recentemente, con il varo della cosiddetta missione “Aspides” – aumentano le tendenze verso la limitazione degli spazi di critica, di agibilità e di manifestazioni dissonanti verso il corso politico dominante.
Del resto il recente voto alla Camera dei Deputati e al Senato che ha dato il via libera alla missione militare nel Mar Rosso votato, unitariamente, dalla maggioranza di centro/destra assieme al PD e al “partito di Conte”, è esemplificativo di una sorta di “union sacrè” bellica che non vuole e non può tollerare contraddittori espliciti, manifestazioni di dissenso e avvii di movimenti di lotta.
A fronte di questa condizione strutturale e sociale e degli scoperti, quanto volgari, tentativi di intorbidamento del clima politico generale occorre, da parte delle organizzazioni anticapitaliste e popolari, da parte del sindacalismo conflittuale e da parte di quanti – singoli o collettivi – intendono preservare i già limitati “spazi democratici”, una ripresa sistematica di attenzione e di denuncia pubblica di tutti gli episodi di abusi giudiziari, di stravolgimento delle stesse formalità democratiche vigenti e di aperta criminalizzazione del dissenso.
Al crescente dispotismo istituzionale (il voto dell’altro giorno della Commissione Affari Costituzionali del Senato che ha tolto ai partiti europei riconosciuti il diritto all’esenzione della raccolta firme per la partecipazione alle elezioni), all’aumento delle variegate forme di controllo sociale e di aperta repressione – nelle piazze e nei tribunali – dobbiamo contrapporre l’articolazione e la generalizzazione delle proteste, delle mobilitazioni culturali e sociali e la diffusione di tutte le possibili espressioni di solidarietà.
La Rete dei Comunisti è impegnata in questa direzione e fa appello a tutte le indispensabili e possibili forme di convergenza e di unità con quanti intendono operare in tal senso.
Rete dei Comunisti
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