Pochi ricordano che l’istituto del Daspo, il divieto di accedere alle manifestazioni sportive causa provvedimento emesso dal questore, è uno di quelli che “ha chiesto l’Europa”.
Quello che infatti è stato introdotto in Italia come Daspo è infatti un provvedimento, raccomandato dal Consiglio d’Europa a tutti i paesi membri, pensato tra gli strumenti giuridici per il contenimento del fenomeno hooligan dopo la strage dell’Heysel del 1985.
Si tratta di una misura di contenimento preventivo del comportamento personale, emessa da un atto amministrativo e non da una sentenza di tribunale, che è rimasta nell’ordinamento giuridico ed è evoluta assieme al complesso delle norme sull’ordine pubblico degli stadi, alle mutazioni delle tecnologie di sorveglianza e anche ai cambiamenti dell’opinione pubblica dedicata a questi temi.
Infine, il Daspo ritorna in questo periodo al centro del dibattito politico come proposta dei sindacati di polizia al governo Meloni da mettere entro un pacchetto “ordine pubblico” dedicato alle manifestazioni e non più esclusivamente allo sport.
Il Daspo è pensato come uno strumento di emergenza – velocizzare tramite atti amministrativi l’allontanamento dallo stadio di più soggetti ritenuti pericolosi – dopo un fatto gravissimo, la strage dell’Heysel. Le stragi – ricordiamo dopo Heysel, Hillsborough del 1989 – sono scomparse ma il provvedimento è rimasto nel tempo e, come vediamo, in Italia rischia nuove applicazioni oltre il campo sportivo.
Fa bene ricordare come il Daspo appartenga, assieme alla precettazione per lo sciopero dei trasporti che oggi ha ridotto di molto i margini di conflitto sociale, all’ultima stagione di governo del pentapartito a guida Andreotti, quella che si trova ad affrontare, rimanendone travolta, le mutazioni che questo paese cominciava a intravedere alla fine degli anni ’80.
Fa bene anche ricordare che l’inasprimento dell’uso del Daspo fa parte del famoso pacchetto Amato – votato da Pdci, Verdi e dal Prc bertinottiano – promosso dal governo Prodi dopo la morte dell’ispettore Raciti durante gli scontri provocati per Catania-Palermo.
Alcuni dei provvedimenti Amato sono rimasti storici (l’obbligo non più solo formale di tornelli allo stadio che ha cambiato panorami e uso dei territori attorno agli impianti), altri erano surreali (come il divieto di introdurre tamburi allo stadio e il controllo di striscioni e bandiere), ma soprattutto si faceva notare il fatto come quella che allora era “la sinistra” sceglieva non di tutelare i diritti civili ma di consegnare una parte della vita sociale alla logica dell’emergenza.
Questa logica, inasprire il quadro giuridico e i provvedimenti che hanno effetto sul campo a ogni fatto collettivo trattato come emergenza, non poteva non essere ripresa dal centrodestra e infatti prima col decreto Pisanu del 2005, ripreso e rafforzato dalle leggi Amato, e con il decreto Maroni del 2010, che a sua volta poggiava sulle leggi Amato, il Daspo ha allargato il proprio raggio di azione e con lui le forme di contenimento preventivo dei comportamenti collettivi.
Insomma, nel corso di un quarto di secolo le manifestazioni sportive sono state consegnate alla logica dell’emergenza permanente, con la naturalizzazione dell’istituto dell’allontanamento preventivo dagli stadi che si è accompagnata all’evoluzione tecnologica delle forme di controllo.
Questo, nel tempo, ha allontanato gli scontri dagli stadi, grande ferita della società dello spettacolo, ed ha aperto la stagione della conflittualità, anche con risvolti drammatici, tra tifoserie in aree e zone dedicate. Altra questione è che, da tempo, si chiede al Daspo di fare il salto di specie ovvero di passare dalla emergenza sportiva a quella politica, di diventare un “semplice” atto amministrativo per il contenimento preventivo e immediato dei manifestanti.
Qui, un paio di precedenti utili a capire il problema. Il primo è che nel nostro ordinamento esiste già un Daspo non sportivo: il “Daspo urbano” introdotto dal governo Gentiloni, non propriamente di centrodestra, nel 2017 e riguarda il tema del “decoro” ovvero la possibilità di vietare determinati luoghi per atto amministrativo a soggetti che turbano, in vario modo, quella che si pensa essere la normalità della vita cittadina.
Viene così allargato, almeno formalmente, l’insieme dei soggetti ai quali applicare l’emergenza senza fine e le misure di velocizzazione del comportamento collettivo: dagli hooligans si passa alla piccola fauna del traffico urbano.
Altro aspetto interessante, specie se si guarda al futuro, è toccato dalla sentenza del TAR del Lazio del 2019 che vieta, almeno fino a oggi, il cortocircuito tra Daspo sportivo e penalizzazioni ricavate durante le manifestazioni politiche.
Sia durante la gestione agli interni Minniti che in quella Salvini correva infatti l’abitudine di emettere Daspo per persone che avevano ricevuto sanzioni a causa di manifestazioni politiche (es. condanna per volto travisato), ma non avevano commesso nulla sul piano delle manifestazioni sportive. Una evidente lesione dei diritti civili, come lo è quello di accedere a manifestazioni sportive, sanata dal Tar del Lazio di qualche anno fa.
C’è da chiedersi cosa accadrà del complesso dell’istituto del Daspo, se le proposte dei sindacati di polizia verranno accettate, e giuridicamente adattate, dal governo Meloni. La trasformazione delle manifestazioni in stato d’emergenza permanente, come per gli stadi da oltre trent’anni, può avere grosse conseguenze su tutta la società come è stato per la legislazione sportiva nel corso di questi anni.
Bisogna quindi ricordare un altro paio di questioni:
a) Gli effetti sociali diretti della stagione delle stragi legate al calcio (’85, ’89) sono esauriti da tempo. Gli effetti sociali della legislazione di emergenza contenimento preventivo dei comportamenti di parte della società, sviluppo quasi incontenibile delle tecnologie di controllo legittimate anche dai provvedimenti di emergenza – sono in piena salute e mostrano un reale futuro.
b) Tutti i provvedimenti presi, in Italia, in materia di Daspo, per quando abbiano vissuto oltre la stagione della loro gestazione, sono risposte, in ottica di addomesticamento della società, a periodi di recrudescenza, anche molto violenta, della vita da stadio. L’eventuale Daspo per i manifestanti, così come è chiesto dai sindacati di polizia, avverrebbe dopo un periodo di recrudescenza, ma del comportamento delle forze dell’ordine. Se accade, si tratta di un uso della legislazione di emergenza nuovo, da capire bene.
Una società in stato permanente di emergenza su questi temi, oltre a creare danni collettivi e personali, sfavorisce, e di molto, la capacità di presa sulla società di quello che è rimasto delle varie sinistre. Le cose possono cambiare se queste acquisiscono una cultura dei diritti civili che, nel nostro paese, appare o piuttosto scarsa o confinata in temi che non hanno a che vedere con il diritto di manifestare.
* da Codice Rosso
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