Come era facile prevedere, la riunione convocata d’urgenza giovedì scorso dalla ministra dell’Università Anna Maria Bernini con la Conferenza dei rettori (Crui) per studiare un piano per contenere gli eccessi delle proteste universitarie, ha avuto l’effetto opposto.
Le proteste negli atenei continuano. Da Verona, dove ieri mattina una trentina di studentesse e studenti hanno interrotto l’inaugurazione dell’anno accademico, alla Sardegna dove i collettivi hanno organizzato un picchetto contro la presenza dei dirigenti di Leonardo (il gruppo industriale che produce armi e tecnologie di difesa), all’Università di Sassari.
Cortei, presidi e assemblee, promossi da numerose sigle giovanili di sinistra e collettivi, si sono tenuti in oltre 30 città italiane, in vista della manifestazione nazionale di fine aprile.
«Dopo Pisa, Firenze, Catania, Bologna il copione è chiaro: il governo risponde con i manganelli a chiunque critichi la complicità con il massacro dei palestinesi, la riforma dell’istruzione, la sua politica in generale», ha spiegato Simon Vial, responsabile scuola del Fgc.
A Roma gli studenti hanno organizzato un presidio proprio a piazza Rondanini, dove il giorno prima si era tenuto l’incontro voluto da Bernini dopo aver ravvisato «un’emergenza intolleranza» nelle università italiane, probabilmente pressata dagli altri membri del governo che nelle proteste degli studenti avevano addirittura letto un principio di “terrorismo”.
Il confronto, durato giovedì oltre due ore, è stato interlocutorio e del resto l’argomento era delicato e scivoloso: quale e quanto dissenso tollerare negli atenei.
Gli 82 rettori delle università italiane hanno avuto divergenze, salvo su due punti: gli atenei non possono essere militarizzati e gli accordi di ricerca con Israele devono rimanere in vigore. Tuttavia i singoli rettori possono rivolgersi alle forze dell’ordine se reputano le proteste «a rischio».
«Le priorità per loro sono cercare il modo più efficace per zittire e tenere buoni gli studenti quando denunciamo da mesi un sistema universitario marcio, che vive di molestie e ricatti sessuali alle studentesse e alle ricercatrici, che vive di diritto allo studio che manca sempre di più, di aule che crollano, di studentati pubblici che mancano e poi le complicità importanti con le industrie della guerra», ha detto Filippo Gilardi che fa parte della rete di collettivi Cambiare Rotta, la stessa che ha organizzato la mobilitazione per la Palestina all’Università di Torino.
«Ci hanno chiamato intolleranti coloro che non vogliono fare intervenire gli studenti all’interno dei pochi spazi di quelli che dovrebbero essere organi democratici».
Al presidio anche studenti e studentesse da Pisa e Napoli. Tra questi Camilla Diurno, la ragazza che dopo la violenta repressione della manifestazione degli studenti medi di Pisa si era incatenata davanti alla prefettura.
«Siamo in piazza – ha detto Marta Di Giacomo, da Napoli – per dire che noi studenti siamo tutti la stessa cosa: non ci sono buoni e cattivi, i cattivi sono al governo, sono quelli che continuano a mandare finanziamenti, armi e solidarietà a Israele. Non siamo noi i violenti, ma intolleranti verso la violenza del genocidio in Palestina».
La ministra ieri sui social ha difeso il confronto con la Crui e ha chiamato in causa la sinistra: «La comunità accademica ha dimostrato di essere unita, abbiamo condiviso la stessa preoccupazione e registrato una comune condanna della violenza. Una dialettica, anche vivace, è una ricchezza. Impedire a qualcuno di parlare è l’opposto della democrazia. Su questo spero che la sinistra, che ha nel dna la battaglia contro l’estremismo, saprà fare la sua parte».
Poi però le scappa il paternalismo: per la ministra occorre un maggiore coinvolgimento del corpo studentesco perché gli studenti «sono le prime vittime di chi crede di poter decidere chi parla e chi no, una pratica violenta che colpisce i diretti interessati e i tanti che scelgono di ascoltare».
«Ma se la comunità internazionale non si muove per fermare la guerra le tensioni cresceranno», avvisa il rettore dell’Università di Pisa Riccardo Zucchi.
* da il manifesto
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