Menu

Le lezioni del movimento contro la guerra in Vietnam per l’attuale opposizione alla guerra

Riproduciamo l’introduzione, dell’opuscolo edito da Cambiare Rotta – Organizzazione Comunista Giovanile: “Lotteremo da una generazione all’altra!”. Le lezioni del movimento organizzato contro la guerra in Vietnam negli USA all’attuale opposizione alla guerra.

L’opuscolo contiene il saggio “Fermare la macchina della guerra! L’esempio del Vietnam” di Giacomo Marchetti (Rete dei Comunisti) e riproduce ampi stralci della sua autobiografia di David Gilbert concernenti la guerra in Vietnam e lo sviluppo del movimento contro la guerra.

Il Pamphlet verrà presentato l’11 aprile alle ore 18 da Cambiare Rotta a Roma con interventi di Giacomo Marchetti e Silvia Baraldini, al circolo ARCI GAP in via dei Sabelli 23/23A, ed a Bologna il 17 aprile alle Ore 18 in Piazza Scaravilli.

*****

La dimensione internazionale del conflitto di classe, tra gli Anni Sessanta e Settanta, ha avuto un ruolo di collante e di radicalizzazione che le lotte di liberazione in atto in decine di paesi, di quello che allora veniva chiamato terzo mondo, per i movimenti giovanili e per consistenti segmenti provenienti dal movimento operaio storico, nonché dalle organizzazioni e dai partiti che lo rappresentavano.

Non furono infatti solo i movimenti e le strutture della “Nuova Sinistra” ad essere influenzate dalle vicende cinesi, cubane, algerine e soprattutto dalla guerra di liberazione portata avanti dal Fronte di Liberazione Nazionale del Vietnam.

Gli eventi e le teorie che si sviluppavano a decine di migliaia di chilometri di distanza ebbero un effetto nella dialettica interna pure ai maggiori partiti comunisti e operai dellEuropa, producendo rotture anche drastiche nonché accelerando e incrementando lo sviluppo di esperienze radicali che spesso sfociarono pure in esperienze di lotta armata.

Negli Usa, paese in cui il movimento operaio e comunista fu pesantemente represso per tutti gli anni ’50 attraverso il “Maccartismo”, le avventure imperialiste in Africa, America latina e lintervento diretto in Vietnam hanno dato vita ad un esteso e radicale movimento di protesta che ha portato alla ribalta quello che rimaneva delle organizzazioni storiche del movimento di classe, e ha favorito lo sviluppo di un esteso movimento contro la guerra e linterventismo militare statunitense.

I movimenti contro la guerra e in sostegno alle lotte di liberazione hanno favorito una imponente politicizzazione di ampi settori di ceto medio e anche di piccola borghesia bianca, soprattutto allinterno delle università, in senso antimperialista e anticapitalista.

Tali movimenti, e le organizzazioni che in questi nacquero, trovarono un alleato naturale nel movimento degli afroamericani che proprio in quegli anni stava compiendo un salto di qualità estremamente significativo.

Si passava infatti da una mobilitazione che faceva dei diritti civili” l’obiettivo massimo della lotta, ad un complessa e articolata galassia di realtà che sempre più assumevano il marxismo come punto di riferimento, arrivando giustamente a definirsi come un esercito che combatteva una guerra contro la colonizzazione interna.

Tra queste strutture sicuramente le più importanti furono le Black Panther Party for Self Defense, Le Pantere Nere.

Per le organizzazioni della nazione nera” interne agli States fu una costante cercare legami collaborazioni e ispirazione da tutto quello che avveniva nel terzo mondo, dallAfrica allAsia. Era coì forte infatti il vento che soffiava dal Sud del mondo da portare la bufera fin dentro le metropoli imperialiste.

Va secondo noi analizzato il ruoloche il contesto internazionale ebbe nellincendio della prateria divampato per diversi anni nei paesi imperialisti, e le modalità con le quali ha agito nella coscienza politica e sociale di quel proletariato e piccola borghesia occidentale, già provati dalla fine dei benefici derivanti dalla ricostruzione post bellica e sui quali, dalla fine degli anni 60, si tornava a far pesare gli effetti della crisi del modello di produzione capitalista.

Ciò diviene tanto più utile in una fase come quella che stiamo vivendo dove, ribolle e si sta progressivamente manifestando un nuovo protagonismo del Sud del mondo.

Se è vero che le recenti prese di posizioni di diversi governi africani, latinoamericani e asiatici e le rivolte popolari in corso in Africa e in “Medio Oriente” non hanno il carattere chiaramente anti-capitalista e socialista che hanno avuto i movimenti di liberazione nazionale e di decolonizzazione del dopoguerra, e consci che le potenze che le sostengono non sono lUnione Sovietica e nemmeno la Cina rivoluzionaria di Mao e innegabile che il mondo sta subendo dei drastici cambiamenti.

L’effetto immediato di queste trasformazioni su scala internazionale è la crisi di egemonia dellimperialismo occidentale, che si vede chiudere sempre più spazi da una tendenza concreta allo sviluppo di poli geopolitici ed economici alternativi, a cui guardano quei movimenti e quei paesi in lotta per affermare la propria indipendenza e la propria volontà di svilupparsi fuori dalle catene in cui sono stati costretti per secoli dallimperialismo e dal colonialismo proveniente dalloccidente e dai suoi alleati.

Dalla precipitosa fuga degli Stati Uniti dallAfghanistan nel 2021 abbiamo avuto un susseguirsi di eventi che hanno messo a nudo lo stato dellimperialismo e della superiorità Occidentale.

In soli 2 anni, lintervento russo in Ucraina, le cacciate dei francesi e degli europei dai paesi dellAfrica grazie ai colpi di stato da parte di militari progressisti e la recente insurrezione a Gaza hanno messo in discussione la superiorità politico-militare e tecnologica delloccidente e dei suoi stati vassalli.

Tutto ciò si è manifestato in contemporanea allo sviluppo e allaffermazione internazionale del raggruppamento dei Brics, esperienza che sta attirando a se decine di paesi del sud del mondo mettendo in seria discussione legemonia economica e politica euroatlantica.

Qual è l’effetto interno che possono avere questi movimenti tellurici che stanno trasformando lo scenario internazionale lo stiamo vedendo bene con il movimento di solidarietà verso la resistenza e il popolo palestinese.

Tenendo ben presente le differenze del contesto storico in cui si sta sviluppando, come organizzazione comunista che agisce nelle scuole, nelle università e tra i giovani non possiamo non rilevare come la solidarietà internazionalista verso la Palestina stia avendo un effetto di politicizzazione e radicalizzazione in senso antimperialista nel movimento studentesco e soprattutto sta dando protagonismo ad ampi settori di proletariato giovanile migrante e di seconda generazione.

Certo non è ancora paragonabile al ruolo che ha avuto il movimento contro la guerra del Vietnam o il sostegno alla rivoluzione cubana e alla lotta di liberazione dellAngola, ma ci sembra evidente, che nonostante lapatia e la “passivizzazione” in cui sono immerse la nostra società, il sostegno alla Palestina in lotta per la propria liberazione stia liberando energie nuove, oltre a contribuire ad una presa di coscienza generalizzata sul ruolo dellimperialismo occidentale e della forza con cui ad esso si stanno opponendo i popoli del sud del mondo.

Se le affermazioni sopra riportare sono vere, questo significa che anche oggi l’internazionalismo può diventare un terreno di sviluppo della conflittualità interna.

Oltre ad essere un dovere per ogni militante rivoluzionario, linternazionalismo è infatti uno strumento di ideologizzazione e politicizzazione dei settori con i quali abbiamo un rapporto quotidiano.

Da questo punto di vista la lettura di Gilbert diventa, non solo interessante per riaffermare il peso che storicamente ha sempre avuto la dinamica internazionale nello sviluppo della conflittualità interna ad ogni singola realtà nazionale – d’altronde questo aspetto era già ben presente in Lenin come ci ricorda lo stesso Gilbert quando affermava la necessità di trasformare la guerra imperialista in rivoluzione – ma anche come esperienza storica concreta dello sviluppo di movimento e soggettività rivoluzionaria che fa del rapporto tra conflitti internazionali e lotta interna la propria base di lavoro.

Sono diversi gli elementi di rilievo nello scritto di Gilbert.

Un primo aspetto riguarda la ricaduta che la militarizzazione del contesto internazionale ha sulla democrazia liberale. La tendenza alla guerra porta ad una diminuzione degli spazi democratici. Questo nel contesto americano, ha portato allo sviluppo di un ampio movimento di opinione che teneva in relazione sia il rifiuto della guerra che la presa progressiva di coscienza sulla vera natura della democrazia liberale.

Una democrazia per pochi, che nel caso americano, mostrava un volto estremamente violento e repressivo verso la componente afroamericana soprattutto. Ciò ha permesso alle componenti radicali del movimento di interloquire e portare a posizioni più avanzate settori importanti di sinceri democratici e di soggettività nate e cresciute allinterno di esperienze politiche, ideologiche e sociali estranei alla radicalità e a prospettive di rottura rivoluzionarie.

Oggi dobbiamo essere in grado di cogliere quei segnali che ci testimoniano una possibile radicalizzazione di settori sinceramente democratici, con una natura politica e sociale diversa dalla nostra.

Il re nudo, rappresentato dalla violenza della reazione imperialista alla perdita della propria egemonia, i democratici provenienti dai più diversi ambienti, dal mondo ecologista a quello in marcia per i diritti civili, non possono non prendere atto del ruolo della democrazia liberale nel sostegno a un modello politico economico e sociale che ha guerra e oppressione come basi per il mantenimento del proprio potere.

Un altro aspetto interessante è la compressione di come lo sviluppo di una coscienza politica più alta non vada a indebolire, ma anzi rafforzi il lavoro sul piano locale e di prossimità rispetto ai propri specifici. Una lettura complessiva degli eventi e delle loro dinamiche fornisce ai militanti e alle militanti, una cassetta degli attrezzi che oltre a rendere più efficiente il lavoro su aspetti particolari e locali, ne permette la politicizzazione dei soggetti coinvolti.

Ovviamente, centrale per una realtà come la nostra, è la comprensione del ruolo degli enti di formazione e ricerca come l’università, e del loro coinvolgimento diretto nel sistema militare e oppressivo dellimperialismo.

È necessario ricercare strumenti e iniziative di boicottaggio e sabotaggio degli ingranaggi che legano limperialismo e le sue pratiche alle scuole e università in quanto linnovazione tecnologica, e la riproduzione della forza lavoro che la sostiene, sono delle priorità strategica per limperialismo.

Oggi questo aspetto è decisivo per lasse euroatlantico in quanto lo scontro con potenze tecnologicamente molto avanzate è inevitabile.

Da ultimo è interessante il bilancio che Gilbert fa rispetto alle deviazioni prodotte dal culto delle pratiche. Dopo decenni di movimentismo, in cui al centro sono state messe proprio le pratichedei movimenti sociali, rimettere al centro la formazione, la comprensione e coscienza politica delle militanti e dei militanti, e come la loro assenza abbia rappresentato uno dei limiti per le esperienze rivoluzionarie interne alla cittadella imperialista, rappresenta un monito che non possiamo non tenere in estrema considerazione.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • Tiberio

    Tutto condivisibile, meno che la decantata efficienza del movimento contro la guerra in Vietnam.
    Gli yankee si ritirarono perché i famigliari dei reduci erano stanchi di vedersi tornare a casa gente mutilata e dentro le bare, non a caso dall’epoca cambiò la strategia interventista USA.
    Il maccartismo internazionale non ha nessuna intenzione di arrendersi, come dimostra l’attualità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *