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Gli sponsor di guerra del gruppo Gedi

Ieri pomeriggio si è svolto uno degli incontri del ciclo “Italia 2024: Persone, Lavoro, Impresa“, promosso da PwC Italia (un’agenzia di servizi alle imprese) e il gruppo editoriale Gedi. A giudicare dal titolo dell’evento, l’Italia del 2024 sarà ufficialmente un paese in mano al comparto militare-industriale.

Il ruolo della ricerca nel campo della Difesa nello sviluppo economico italiano” era il nome dell’iniziativa. L’obiettivo era chiaro: promuovere l’economia di guerra e gli operatori del settore che ne guadagnano.

Tra questi, anche gli stessi organizzatori dell’evento, ovvero il gruppo Gedi che possiede anche i giornali La Stampa e La Repubblica. Proprio su quest’ultima testata è uscito un articolo al riguardo, che nulla ha a che fare con l’informazione, ma solo con la propaganda e la pubblicità all’industria di morte.

La Repubblica ha dedicato dunque spazio alla promozione di questo dibattito, elencando una lunga serie di dati che dovrebbero convincere il lettore dell’importanza della produzione bellica nello sviluppo del paese. Il giornale ha anche ricordato che lo scorso 6 marzo la Commissione UE ha presentato la sua prima strategia industriale sulla difesa.

L’ipotesi di usare l’economia di guerra per dare una risposta alla crisi irrisolvibile del capitale europeo è un’ipotesi che ormai viene perseguita con consapevolezza. La Repubblica si prende la briga di legittimare nell’opinione pubblica questa deriva bellicista.

Per farlo, ovviamente non si può dare spazio alle voci critiche ad essa. All’evento sono infatti invitati il ministro della Difesa Crosetto, l’amministratore delegato della Beretta, altri esponenti del mondo della produzione militare e lo stesso direttore editoriale del gruppo Gedi e di Repubblica, Maurizio Molinari.

Bisogna ricordare che Molinari è il giornalista che si era lamentato delle contestazioni ricevute a Napoli per il suo posizionamento filo-sionista. E che poco dopo è stato sfiduciato dalla sua redazione per aver mandato al macero 100 mila copie dell’inserto Affari&Finanza, perché all’interno vi era un articolo poco lusinghiero su Stellantis, che condivide col gruppo Gedi il presidente John Elkann.

L’editoriale de Il Foglio del 10 aprile lo ha detto nel sottotitolo: “I giornali difendono anche interessi“. Molinari e il gruppo Gedi ci ha mostrato che difende non solo lo sfruttamento dei prenditori di Stellantis, ma anche il comparto militare-industriale in cui ha alcune partecipazioni.

RadioCittàFujiko, un mese dopo l’inizio dell’operazione russa in Ucraina, aveva parlato di “Editori con l’elmetto“, ricostruendo gli interessi del gruppo Gedi nel settore bellico. Francesco Vignarca, portavoce della Rete Italiana Pace e Disarmo, ha definito Repubblica come “bollettino dell’industria militare“, una definizione decisamente azzeccata.

Oggi, con il genocidio dei palestinesi, questi interessi vengono confermati in un quadro di scivolamento dell’intero modello economico e sociale verso la guerra. Il filo che lega NATO, crimini sionisti e torsione autoritaria e antidemocratica nelle piazze e nell’informazione del nostro paese risulta evidente.

Le lotte che fanno emergere questo filo e combattono contro i suoi attori esprimono sempre più un’alternativa generale, e anche l’unica opportunità per uscire da un sistema incancrenito nella crisi e nella guerra.

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1 Commento


  • giorgino

    articolo importantissimo, che fa anche capire quali conglomerati di interessi sono dietro o giornali borghesi, che quindi ormai possono solo produrre la cattiva coscienza più falsa ed ideologica (e dire che una volta si parlava di editori puri)

    Anche in Germania, il forum economico socialdemocratico, la associazione dei produttori di armi, ed udite udite, la Ig metall, chiedono fi aumentare gli investimenti bellici, ed in maniera da favorire le concentrazioni e lo sviluppo tecnologico, in modo da svincolare la unione europea dalla ( in verità limitata) dipendenza dalle produzioni statunitensi
    https://www.sozonline.de/2024/04/hand-in-hand-mit-der-ruestungslobby/

    Appunto, il militarismo come via di uscita dalla crisi
    Ma non credo si possa limitare questa tendenza alla sola unione europea, una economia europea strutturalmente incapace di crescita non avrebbe forse trascinato nella crisi , prima o poi, capitalismo di tutto il mondo?

    D’ altra parte, in Cina, più che costruire sanità pubblica, stato sociale, onda spostare la crescita dalle esportazioni di consumi interni, anche li aumentano le spese militari e non altro. Se devono esportare di meno, la spesa sociale non è facile da praticare come quando la si ipotizzava con le esportazioni a pieno regime, avendo quindi più margini per scegliersi la strada del futuro

    ( quali esportazioni, vista la tendenza negativa europea e l ‘ insostenibile deficit commerciale usa, testimoniato dalle guerre commerciali di trp e non dismesse da biden)

    insomma, la crisi e’ generale, non c’ è un modello di capitalismo alternativo che regga da solo, e tantomeno qualcuno può astenersi dalle spese per gli armamenti regalando un vantaggio militare ai propri competitori

    Insomma , non mi sembra più il tempo delle illusioni, e tutto il sistema mondiale del capitale che corre verso il militarismo senza nessuna alternativa possibile

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