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Ultima Generazione e la crisi ambientale: ecco perché è giusto sostenere chi fa attivismo per il clima

I ragazzi e le ragazze di Ultima Generazione non si arrendono nonostante la criminalizzazione costante dei tanti governi. @Laura Tussi ripercorre tre decenni di lotte ambientali e segnala la campagna di sostegno lanciata da #ultimagenerazione e da @Ultima Generazione Disobbedienza Civile.

La nostra Laura Tussi – saggista e attivista – ripercorre tre decenni di lotte ambientali in una riflessione che si conclude ai giorni nostri, abbracciando la lotta e le azioni di Ultima Generazione. Secondo l’autrice, attivisti e attiviste che, in una società quasi immobile davanti a una crisi ambientale sempre più grave, lottano per la giustizia climatica rischiando in prima persona hanno bisogno di sostegno, non di gogne mediatiche e condanne severe.

Ogni giorno che passa senza avviare una transizione radicale della nostra società ed economia rende sempre più indispensabile un movimento di disobbedienza civile resiliente che eserciti pressione sul governo affinché agisca. Confermiamo che la fondazione filantropica statunitense Climate Emergency Fund (C.E.F), il nostro principale donatore, ha deciso di reindirizzare le sue donazioni verso campagne di disobbedienza civile negli Stati Uniti. Così come gli statunitensi finanziano le proprie campagne, Ultima Generazione vuole essere sostenuta dalla popolazione a cui si rivolge. Abbiamo lanciato una raccolta fondi con l’obiettivo di raccogliere 20.000 euro, una somma relativamente piccola rispetto alla quantità di lavoro svolto da Ultima Generazione e alle sfide in cui andiamo incontro”.

Così inizia il comunicato stampa recentemente diffuso da Ultima Generazione, il movimento italiano che dal 2022 ha portato la disobbedienza civile nelle nostre strade, prefiggendosi l’ambizioso obiettivo di stimolare una mobilitazione di massa nonviolenta nella popolazione denunciando l’inazione politica verso il collasso socio climatico.

“Ogni giorno che passa senza avviare una transizione radicale della nostra società ed economia rende sempre più indispensabile un movimento di disobbedienza civile resiliente che eserciti pressione sul governo affinché agisca. Confermiamo che la fondazione filantropica statunitense Climate Emergency Fund (C.E.F), il nostro principale donatore, ha deciso di reindirizzare le sue donazioni verso campagne di disobbedienza civile negli Stati Uniti. Così come gli statunitensi finanziano le proprie campagne, Ultima Generazione vuole essere sostenuta dalla popolazione a cui si rivolge. Abbiamo lanciato una raccolta fondi con l’obiettivo di raccogliere 20.000 euro, una somma relativamente piccola rispetto alla quantità di lavoro svolto da Ultima Generazione e alle sfide in cui andiamo incontro.” Così inizia il comunicato stampa recentemente diffuso da Ultima Generazione, il movimento italiano che dal 2022 ha portato la disobbedienza civile nelle nostre strade, prefiggendosi l’ambizioso obiettivo di stimolare una mobilitazione di massa nonviolenta nella popolazione denunciando l’inazione politica verso il collasso socio climatico. Le azioni di protesta messe in atto hanno rappresentato uno spartiacque all’interno del mondo dell’attivismo a causa della loro radicalità, riuscendo ad usare lo scalpore e la polarizzazione che esse suscitano nell’opinione pubblica per avere più risonanza mediatica possibile, lo strumento più efficace per fare sapere che di fatto sì, c’è un numero sempre più consistente di cittadini disposti anche ad andare in carcere pur di far sapere a più persone possibili che quello contro cui stiamo andando a sbattere è un collasso della nostra società a 360 gradi, e che la vita come l’abbiamo sempre conosciuta presto si trasformerà drasticamente. E che forse il nostro governo, considerate le sue (in)decisioni politiche, le sue colpe e responsabilità ambientali, dovrebbe tirare un sospiro di sollievo se la scelta più radicale che decide di attuare un movimento di disobbedienza civile è quella di occupare una strada per una ventina di minuti con le mani alzate, esercitando sempre e solo resistenza passiva, e mai violenza.

Ad oggi, però, gli attivisti di Ultima Generazione si ritrovano a fronteggiare una situazione di improvvisa difficoltà economica, per questo motivo hanno deciso di lanciare un fundraising, nella ricerca di una rete di sostegno indipendente: “Abbiamo la responsabilità e il dovere civico di agire di fronte alla totale inadeguatezza di questo governo.

Il sostegno economico a Ultima Generazione è un’azione fondamentale che permette al movimento di continuare a mettere pressione e tenere l’attenzione alta sul problema. La nostra intenzione è di costruire una rete di tanti donatori mensili che ci possano offrire una stabilità economica duratura. Questo ci permetterà di pianificare con anticipo, garantire un contributo alle persone che si dedicano a tempo pieno a tenere in piedi la struttura e a essere più efficaci nelle nostre azioni. Pensiamo che sia giusto che Ultima Generazione venga finanziata dagli italiani perché la nostra richiesta e le nostre azioni sono direzionate al governo italiano”, prosegue il comunicato.

Questo movimento (con tutta la sua fallibilità e i suoi limiti, come tutto ciò che concerne il reale e ha a che fare quotidianamente con il pragmatismo) che urlando ha accorciato quella discrepanza tra ciò che sentiamo dentro e ciò che diciamo fuori, che ha minato la dissonanza cognitiva dilagante, che è riuscito a ricordare che il presupposto alla base della protesta di un diritto mancato (che sia un lavoro giustamente retribuito, che sia una sanità accessibile e gratuita, che sia la tutela del nostro ambiente e la protezione di beni primari), risiede nel fatto che quest’ultimo è a noi dovuto da uno Stato che è al nostro servizio, e non viceversa, e che non chiederlo per favore o aspettarlo invano è esercitazione democratica, non criminalità; ha bisogno di aiuto ora.

Ho riflettuto molto su ciò che implica scegliere di entrare in un’organizzazione di resistenza civile, sull’impatto dell’esercizio di proteste divisive, sull’esposizione a ripercussioni legali, e penso che il fulcro di tutto sia sempre in realtà un concetto molto distante, se non opposto, a quello di scelta. Spesso l’atto di chi si espone socialmente (assumendosene tutti i rischi e le conseguenze) viene raccontato tralasciando l’elemento a mio avviso più significativo: quello della necessarietà di tale slancio.

Se è qui che siamo arrivati, se in Sicilia contiamo l’acqua con il contagocce e la razioniamo a più di un milione di persone già in inverno, se le temperature estreme prolungate bruciano i nostri raccolti, riducendo ai minimi termini la produzione agricola, e se quegli stessi terreni sono poi squassati da alluvioni ed eventi climatici estremi sempre più frequenti e fuori controllo insieme alle nostre case, ai nostri averi e ai nostri cari, se tutto ciò produce delle ripercussioni a cascata sul nostro sistema sanitario, alimentare e ovviamente economico, forse chi compie azioni di disobbedienza civile non sente di essere mosso tanto da una scelta opzionale, quanto da un senso di necessità e urgenza irrunciabile.

Se poi contestualizziamo il tutto all’interno di uno scenario che si presenta a noi dopo ben 30 anni e più di attivismo climatico, di manifestazioni autorizzate, di raccolte firme, di pedalate per il clima, domeniche ecologiche e accordi internazionali traditi, allora, come ci ricorda Ultima Generazione fin dall’inizio, non sarà il riformismo a salvarci, troppo debole e inefficace di fronte all’ostruzionismo politico e agli introiti di miliardi di euro mossi dalle industrie fossili finanziate dal nostro Stato, ma una coscienza democratica partecipata, capace e desiderosa di compiere azioni che scuotano, che politicizzino. Se pensiamo poi che quelle persone già ci sono, che hanno fatto e continueranno a fare sacrifici enormi compromettendo di fatto il loro futuro e rischiando la loro libertà, potremmo credere che abbiamo più bisogno di loro di quanto pensassimo, di quanto ci fosse permesso renderci conto.

E aiutarli.

Link alla raccolta fondi: https://l.ultima-generazione.it/aiuta-ug-andare-avanti

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1 Commento


  • Gianni Sartori

    IN MEMORIA DI PAUL VARRY (C’est ce contre quoi il se battait qui l’a tué…)

    Gianni Sartori

    La brutale uccisione di un ciclista a Parigi (volontariamente investito da un SUV) ripropone la drammatica questione delle vittime della motorizzazione (in primis, pedoni e ciclisti),
    In Francia oltre 230 manifestazioni in sua memoria il 19 ottobre

    Esistono molteplici contraddizioni. Innumerevoli forme di oppressione e sfruttamento. Galassie di ingiustizie.

    Pretendere anche solo di comprenderle tutte (di risolverle neanche parlarne) sarebbe solo presunzione.

    Tuttavia di alcune possiamo cogliere – qui e ora – tutta l’evidenza. Ragionarci sopra, valutarle, “criticarle kantianamente”…poi si vedrà…

    Citando alla rinfusa: tra padroni e servi, capitale e lavoro, maschi e donne, colonizzatori e indigeni, imperialisti e popoli oppressi, britannici e irlandesi, franchisti e repubblicani…

    Ma anche, si parva licet (parva ?), tra cacciatori e animalisti, tra chi si pavoneggia con il pitbull (senza colpa del pitbull, ovvio) e chi porta a spasso il bastardino adottato al canile, tra chi sgomma col SUV e chi pedala…

    Ecco, questo è il nostro caso.

    Il 15 ottobre, a Parigi, a seguito di un alterco ai margini di una pista ciclabile, un automobilista avrebbe investito volontariamente un ciclista, Paul Varry (27 anni).

    Sabato 19 ottobre, in memoria del giovane brutalmente ucciso, molte associazioni di ciclisti si son date appuntamento in oltre 230 rendez-vous (in genere davanti ai municipi delle città francesi, alle ore 17,45). Per onorarlo e per dire “stop aux violences motorisées”.

    Conosciuto per il suo impegno nella difesa della mobilità dolce, Paul era originario di Saint-Ouen (Seine-Saint-Denis) e membro attivo dell’associazione Paris en selle. Responsabile di tale associazione per Saint-Ouen e Saint-Denis, recentemente aveva partecipato alla redazione di un “libro bianco” per pedoni e ciclisti di questi due comuni di Île-de-France. Un lavoro che aveva largamente influenzato l’operato della municipalità nello sviluppo della mobilità dolce.

    Ricordandolo, un amico ha voluto sottolineare che “è stato ucciso da quello contro cui si batteva. Una lotta la sua – aveva concluso amaramente – che alla fine gli è costata la vita”.

    L’appello per le manifestazioni in sua memoria (“Pour Paul, disons stop à la violence motorisée”) era partito venerdì 18 ottobre dalla Fédération française des usagers de la bicyclette (Fub). Immediatamente ripreso e rilanciato da molteplici associazioni locali.

    “Questa iniziativa – ha spiegato un portavoce della Fub – è un messaggio per i nostri dirigenti politici: basta con la violenza motorizzata. E’ venuto il tempo di comprendere quale sia la realtà del nostro vivere quotidiano e di prendere le misure necessarie per evirare altri drammi come questo!”

    Già nel giorno successivo al tragico episodio (un crimine, comunque la si veda), la Fub avava organizzato un primo rassemblement nell’8° arrondissement di Parigi a cui, nonostante il breve preavviso, avevano partecipato centinaia di persone. Presente all’iniziativa, suo fratello Antoine lo ha descritto come “una persona dolce, sensibile,sempre disponibile per gli altri”. Assicurando che porterà avanti le stesse battaglie:“Pour la mémoire de mon frère, on se battra, le temps qu’il faudra”.

    Il drammatico episodio non ha lasciato indifferente nemmeno il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo. Esprimendo il desiderio che “un luogo di Parigi porti il nome del giovane ciclista” brutalmente ucciso. In suo onore verrà osservato un minuto di silenzio all’apertura del prossimo Consiglio di Parigi, il 19 novembre.

    Gianni Sartori

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