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Volano i ricavi delle industrie delle armi

Come ogni anno, Defense News pubblica la classifica delle prime 100 aziende al mondo attive nel settore della difesa. Lo studio è fatto calcolando i ricavi sull’anno fiscale, in questo caso il 2023, ma vengono usati anche report sugli utili e altre analisi e ricerche di settore.

La prima cosa che salta all’occhio è l’imponente aumento generale dei ricavi (+13%). Più di tre quarti delle imprese del settore li registra in aumento, e non parliamo di un calcolo fatto su tutte le produzioni in cui esse possono essere coinvolte: lo studio scorpora i dati per far emergere quelli che si riferiscono solo all’industria della difesa propriamente detta.

Dal 2019 al 2023 la somma dei ricavi è passata da 524,4 miliardi di dollari a 603,9 miliardi. Ovviamente, l’escalation ucraina, ma anche la crisi del Medio Oriente e la tensione intorno a Taiwan sono i fattori che hanno contribuito maggiormente a questo netto incremento.

La classifica è come al solito dominata dalle aziende statunitensi: sono ben 48, quasi la metà, a rimarcare l’importanza del keynesismo militare nel modello di Washington. Al primo posto c’è Lockheed Martin, con 64,65 miliardi di ricavi sostenuti dai contratti per gli F-35.

Al secondo posto si conferma la cinese Aviation Industry Corporation of China con 44,91 miliardi e un aumento del 45% rispetto al 2022. Dalle attività legate alla difesa, comunque, ottiene solo il 38% dei ricavi totali.

Entra nelle prime dieci anche la China State Shipbuilding Corporation Limited. Sono sei le aziende del Dragone in questa classifica, e a pesare sempre più nei bilanci è il comparto marittimo, vista la grande espansione della sua marina e l’importanza strategica di tutto l’Indo-Pacifico.

Sei sono anche i colossi del Regno Unito, presenti tra i primi cento al mondo. Germania e Turchia ne contano cinque, la Francia quattro (cinque se si considera che il “main office” di Airbus è nell’Esagono), Israele e Corea del Sud tre, e seguono poi vari altri paesi, ma con alcune assenze di peso e alcune precisazioni da fare.

Non ci sono aziende russe, perché non hanno risposto alle richieste di Defense News, che non ha potuto trovare dati affidabili. Lo stesso vale per il Giappone, con i rappresentanti delle imprese e del governo contattati più volte senza ricevere le necessarie informazioni.

Altri grandi gruppi che incassano ingenti somme dalla difesa si sono rifiutati di fornire dati, come ad esempio General Atomics. Lo stesso vale per Amazon e Google, che hanno importanti contratti col settore, ma non hanno informazioni chiare sui ricavi ottenuti con l’industria delle armi e si sono rifiutati di pubblicarle per la compilazione della lista.

Arrivando all’Italia, sono due i gruppi industriali che compaiono nella lista: Leonardo e Fincantieri. Mentre la seconda si posiziona 48esima, con i ricavi (legati alle produzioni navali) aumentati dell’11%, la prima si posiziona 14esima al mondo, con ricavi per 12,4 miliardi, in leggera diminuzione (-4%).

Bisogna però segnalare come, nel 2017, i ricavi della Leonardo legati in senso stretto alla difesa fossero solo 8,8 miliardi, pari al 68% delle entrate totali. Dunque un aumento di quasi 4 miliardi in sei anni, con un peso di armi e armamenti a livello generale aumentato anch’esso di sette punti percentuali (oggi al 75%).

Nel solo 2023 la spesa globale per la difesa è aumentata del 9%, raggiungendo i 2,2 trilioni di dollari secondo The Military Balance, il rapporto annuale redatto dall’Istituto internazionale per gli studi strategici (Iiss). I dati appena esposti confermano che anche il nostro paese partecipa alla deriva bellicista.

E con missioni come quella europea nel Mar Rosso, Aspides, rischia di incastrarsi in un’economia di guerra, invece che in un’economia pensata per i bisogni della collettività.

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1 Commento


  • Felice Di Maro

    Ottimo quadro. Un approfondimento sarebbe necessario ma è complicato perché i dati non sono disponibili, forse di potrebbe tentare di ponderare i profitti e l’incidenza sul Pil dei vari Stati.

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