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Piazzale Loreto, 10 agosto 1944: la strage fascista

Anche su Piazzale Loreto 1944 è fioccato copioso, nei decenni, il nevischio marcio e sporco del revisionismo.

Ricordiamo perciò alcuni fatti essenziali:

I 15 fucilati non erano tutti “partigiani”, ma alcuni semplici detenuti politici presso il carcere di San Vittore (lista nel secondo commento).

Ai morituri, per evitare reazioni inconsulte, fu fatto credere di essere destinati al lavoro coatto, vestendoli di tute operaie.

L’eccidio fu eseguito materialmente da plotoni misti della GNR e della Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti”.

L’ordine fu dato dal capitano SS Theodor Saevecke, comandante dell’Hotel Regina; i fascisti, quindi, come spesso capitava, eseguirono il “lavoro sporco” per i tedeschi.

Il podestà di Milano Piero Parini tentò invano di impedire il massacro; dopo la strage, diede le dimissioni per passare ad altro incarico con la RSI.

I tedeschi giustificarono la strage come un atto di rappresaglia a seguito di un attentato ad un automezzo tedesco con vittime militari e civili, attribuito alla 3a GAP; Giovanni Pesce, comandante della 3a GAP, Medaglia d’oro della Resistenza, che ammise senza reticenze ogni azione compiuta dai suoi uomini, ha sempre smentito di aver organizzato l’attentato in questione.

Theodor Saevecke fu condannato soltanto nel 1999 all’ergastolo – in contumacia – dal Tribunale Militare di Torino per l’eccidio del 10 agosto 1944, oltre che per la fucilazione per rappresaglia di altri otto civili innocenti a Corbetta (Milano) nell’estate del 1944 ed altri atti criminali simili.

Nonostante fossero disponibili prove schiaccianti (foto, testimonianze, documenti) e la piena confessione dello stesso Saevecke, resa alle autorità alleate nel 1945 dopo la cattura, il suo fascicolo finì archiviato nell’“armadio della vergogna” dal Governo italiano (Gabinetto del Ministero della Difesa) nel 1963.

Il criminale di guerra non scontò mai un giorno di carcere: nel dopoguerra, collaborò con la CIA e rivestì un ruolo importante nell’Ufficio Federale della Polizia criminale della Repubblica Federale Tedesca, che nel 1999 negò l’estradizione in Italia, considerato che Saevecke aveva all’epoca 78 anni ed era in cattive condizioni di salute. È infatti mancato il 16 dicembre del 2000.

Questa, la verità. Tutto il resto, sono menzogne revisioniste.

Nel primo commento, lascio la parola al Comandante Giovanni Pesce, testimone oculare dell’eccidio. Sono pagine dal suo libro “Senza tregua”, che, per tanti di noi antifascisti, è un testo fondamentale. Avrei detto “La Bibbia della Resistenza”, ma evito, perché credo che al Comandante Pesce questo paragone non avrebbe fatto piacere.

Ho fra le mani un giornale e sotto gli occhi il comunicato della fucilazione di Piazzale Loreto. Quindici ostaggi uccisi. Da viale Romagna si raggiunge Piazzale Loreto lungo un rettilineo fino in via Porpora e si svolta a sinistra.

Dappertutto cordoni di repubblichini, militi dietro militi, sempre più fitti, sempre più lugubri. In Piazzale Loreto una folla sconvolta e sbigottita. Si respira ancora l’odore acre della polvere da sparo. I corpi massacrati sono quasi irriconoscibili.

I briganti neri, pallidi, nervosi, torturano il fucile mitragliatore ancora caldo, parlano ad alta voce, eccitatissimi per aver sparato l’intero caricatore. Sbarbatelli feroci, vicino a delinquenti della vecchia guardia avvezzi al sangue ed ai massacri, ostentano un atteggiamento di sfida, volgendo le spalle alle vittime, il ceffo alla folla.

Ad un tratto irrompe un plotone di repubblichini, facendosi largo a spinte, a colpi di calcio di fucile e andando a schierarsi vicino ai caduti. “Via via, circolate,” urlano. Spontaneamente il popolo è accorso verso i suoi morti.

Ora la folla, ricacciata, viene premuta fra i cordoni dei tedeschi e dei fascisti. Urla di donne, fischi, imprecazioni. “La pagheranno!”. I repubblichini, impauriti, puntano i mitra sulla folla. Dall’angolo della piazza scorgo lo schieramento fascista accanto ai nostri morti. Potrei sparare agevolmente se i fascisti aprissero il fuoco.

In quel momento, fendendo la calca, si fa largo una donna: avanza tranquilla, tenendo alto un mazzo di fiori; raggiunge le prime file, vicino al cordone dei repubblichini, come se non vedesse le facce livide e sbigottite degli assassini; percorre adagio gli ultimi passi.

Scorgo da lontano quella scena incredibile, un volto mite incorniciato da capelli bianchi, un mazzo di fiori che sfila davanti alle canne agitate dei fucili mitragliatori. I fascisti rimangono annichiliti da quella sfida inerme, dall’improvviso silenzio della folla.

La donna si china, depone i fiori, poi si lascia inghiottire dalla folla.

Comincia così un corteo muto, nato come da un improvviso accordo senza parole. Altre donne giungono con altri fiori, passando davanti ai militi per deporli vicino ai caduti. Chi ha le mani vuote si ferma un attimo vicino alle salme martoriate. Per ogni mazzo di fiori ci sono cento persone che sostano riverenti.

Si odono distintamente i rumori attutiti dei passi e si colgono i timbri alti delle voci. Accanto a me uno bisbiglia: “Vede quello lì sulla sinistra? Tentava di scappare. Appena era sceso dal camion si era diretto di corsa verso una via laterale. Credevamo che ce l’avrebbe fatta. Era già lontano. L’hanno riportato indietro che zoppicava, ferito ad una gamba. L’hanno spinto accanto agli altri, già schierati, in attesa”.

L’ultimo volto che vedo, abbandonando la piazza, è quello di un repubblichino che ride istericamente. Quel riso indica l’infinita distanza che ci separa. Siamo gente di un pianeta diverso. Anche noi combattiamo una dura lotta, in cui si dà e si riceve la morte. Ma ne sentiamo tutto l’umano dolore, l’angosciosa necessità.

In noi non è, non ci può essere nulla di simile a quello sguardo, a quella irrisione di fronte alla morte. Loro ridono. Hanno appena ucciso 15 uomini e si sentono allegri. Contro quel riso osceno noi combattiamo. Esso taglia nettamente il mondo: da un lato la barbarie, dall’altro la civiltà.

I cordoni di repubblichini sono sempre fitti. Ad ogni passaggio, ad ogni posto di blocco, mi imbatto nella loro insolenza, nella loro spavalda vigliaccheria: mitra ostentati, bombe a mano al cinturone, facce feroci, lugubri camicie nere.

Ancora una volta, come in Spagna di fronte alla spietata ferocia degli ufficialetti nazisti, si rivelano i due mondi in antitesi, i due modi opposti di concepire la vita. Noi abbiamo scelto di vivere liberi, gli altri di uccidere, di opprimere, costringendoci a nostra volta ad accettare la guerra, a sparare e ad uccidere.

Siamo costretti a combattere senza uniforme, a nasconderci, a colpire di sorpresa. Preferiremmo combattere con le nostre bandiere spiegate, felici di conoscere il vero nome del compagno che sta al nostro fianco. La scelta non dipende da noi, ma dal nemico che espone i corpi degli uccisi e definisce l’assassinio ‘un esempio’.

(Giovanni Pesce, pagine da “Senza Tregua”)

 

Queste le 15 vittime della strage. (Sintesi dalla voce wikipedia)

1. Gian Antonio Bravin. Partigiano nel varesotto e capo del III gruppo dei GAP, fu arrestato dai fascisti il 29 luglio del 1944.

2. Giulio Casiraghi, militante comunista, ireferente del movimento operaio degli stabilimenti “Ercole Marelli”. Nel marzo 1943 e nel marzo 1944 organizza gli scioperi nelle fabbriche sestesi insieme a Umberto Fogagnolo. Arrestato il 12 luglio 1944 da fascisti e SS.

3. Renzo del Riccio, operaio meccanico, socialista, soldato italiano di fanteria. Partigiano delle Matteotti nel Comasco, fu arrestato e nel giugno 1944 fuggì durante la deportazione in Germania. In luglio, in viale Monza, è nuovamente arrestato in seguito a delazione.

4. Andrea Esposito, operaio, militante comunista e partigiano della 113ª brigata Garibaldi, arrestato il 31 luglio 1944.

5. Domenico Fiorani, perito industriale, socialista. Appartenente alle brigate Matteotti. Arrestato il 25 giugno 1944.

6. Umberto Fogagnolo, ingegnere alla Ercole Marelli di Sesto San Giovanni. Dopo l’armistizio, in collegamento con i vari partiti del CLN di Milano, dirige e coordina il movimento clandestino della Ercole Marelli e delle fabbriche di Sesto San Giovanni; rappresenta il Partito d’Azione nel CLN sestese. Arrestato il 13 luglio 1944. A Monza, dove viene incarcerato è ripetutamente torturato. Medaglia d’argento al valore militare alla memoria.

7. Tullio Galimberti, impiegato. Appartenente alle formazioni Garibaldi. Arrestato in piazza San Babila alla fine del giugno 1944.

8. Vittorio Gasparini, laureato in economia e commercio, antifascista cattolico, capitano degli alpini. Dirigente della Bombrini Parodi Delfino a Roma, accettò di dirigere lo stabilimento di Montichiari per coprire la sua attività di responsabile di una missione dell’OSS (Office of Strategic Service) della V Armata americana; venne arrestato ai primi di giugno. Torturato brutalmente per diversi giorni, non riuscirono a farlo parlare. Medaglia d’oro al valore militare alla memoria.

9. Emidio Mastrodomenico, agente di PS al commissariato di Lambrate. Collegato con il movimento resistenziale (capo dei GAP), è catturato il 29 luglio 1944.

10. Angelo Poletti, operaio presso l’Isotta Fraschini e militante socialista, dopo una breve esperienza partigiana in Val d’Ossola rientra a Milano, dove viene arrestato il 19 maggio 1944, subì sevizie e torture in carcere.

11. Salvatore Principato, socialista, a Milano frequentò Filippo Turati e Anna Kuliscioff, collaborando con Giacomo Matteotti e con i fratelli Rosselli. Fu nel secondo e nel terzo comitato antifascista di Porta Venezia e nel Comitato di Liberazione Nazionale della Scuola. Perseguitato politico sotto il fascismo, fu deferito nel 1933 al Tribunale Speciale di Roma. Arrestato, su delazione, l’8 luglio 1944 dalle SS come aderente al PSIUP e membro della 33ª Brigata Matteotti, fu imprigionato nel carcere di Monza e più volte torturato senza esito alcuno dalla polizia fascista, che gli ruppe anche un braccio.

12. Andrea Ragni, partigiano appartenente alle formazioni Garibaldi, catturato e poi fuggito inell’autunno 1943. Catturato nuovamente il 22 maggio 1944.

13. Eraldo Soncini, operaio alla Pirelli Bicocca e militante socialista. Appartenente alla 107ª Brigata Garibaldi SAP. Arrestato il 9 luglio 1944. In piazzale Loreto tenta la fuga lungo via Andrea Doria; ferito, viene raggiunto da due militi fascisti; viene finito sul posto, trascinato in piazzale Loreto e gettato nel mucchio dei compagni fucilati.

14. Libero Temolo, militante comunista, operaio alla Pirelli Bicocca, è partigiano organizzatore delle SAP. Arrestato nell’aprile 1944 a Milano a seguito di una delazione. Portato con gli altri in piazzale Loreto, qui tentò di fuggire, ma fu subito ucciso.

15. Vitale Vertemati, meccanico, partigiano della 3ª Brigata d’assalto Garibaldi Gap “Lombardia” (poi “E. Rubini”), arrestato il 1º maggio 1944. 

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1 Commento


  • Giuseppe Rogliatti

    a
    Altro giorno della memoria per non dimenticare.👍✊

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