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L’overtourism: sfruttamento dei luoghi pubblici, guadagno dei privati

Il turismo è diventato sempre più una risorsa per pochi e un problema per molti”. Questa è la frase cardine di una piccola inchiesta che Contropiano ha riportato (profeticamente) nel 2019. Il focus era il problema che oggi sta cominciando ad essere notato anche dai media mainstream. Le manifestazioni e le proteste, più o meno partecipate, che stanno fiorendo nelle grandi mete turistiche europee: Spagna e Portogallo davanti a tutti, ma che si ritrovano anche nella Grecia a partire dallo scorso anno.

In Grecia nel 2013 ci fu la “rivolta degli asciugamani” contro i soprusi dei balneari (che stavano occupando più di quanto concesso).
In Portogallo è di quest’anno la proposta di referendum contro gli affitti delle case ai turisti.
Infine la Spagna con Barcellona, Malaga e Maiorca che hanno visto manifestazioni contro il cosiddetto overtourism.

L’impatto del turismo su una destinazione, o parte di essa, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepite dai cittadini e /o la qualità delle esperienza dei visitatori”. Così è stato definito l’overtourism dell’Organizzazione mondiale del turismo (agenzia del turismo delle Nazioni Unite).

Il perché delle manifestazioni è dato dalla definizione stessa, ma che deve essere riletta in un altro modo per capire il problema: “lo sfruttamento dei luoghi pubblici che il turismo offre, per il guadagno dei privati ai danni dei molti residenti”.

Spesso, in Italia, quando si parla di turismo lo si intende come “settore traino” dell’economia, si parla di indotto, di spesa e di PIL. Ora, senza rovinare la giornata ai sostenitori della teoria dei vasi comunicanti, andiamo a vedere di cosa si parla realmente.

La produzione lorda diretta del turismo (il PIL) è intorno al 5%, circa 10 miliardi su quasi 2mila miliardi di euro all’anno di Pil. Non proprio un traino, anche se comunque rilevante. Per avere un riferimento l’automotive in italia vale l’9% del PIL. [fonte Ainfa, associazione nazionale filiera industria automobilistica]

Prendiamo le strutture ricettive, come alberghi, case e b&b: si tratta di privati che appaltano a multinazionali (come le piattaforme Airbnb, Booking, ecc) di cui non serve sottolineare come la maggior parte delle tasse di queste siano pagate fuori dall’Italia.

In più, secondo uno studio del 2020 l’Ente bilaterale del turismo, il 30% degli arrivi non è registrato. Un enorme fetta del mercato, circa 5 milioni di arrivi all’anno, è fantasma, ma solo per le tasse non per le persone che occupano realmente spazi.
Nel 2019 il Ministero del Turismo (governo Conte I) ideò una banca dati nazionale delle attività ricettive. Ancora non realizzata. Ad oggi siamo alla fase sperimentale del progetto.

In Italia si dice che l’afflusso di persone in visita dovrebbe portare maggior lavoro (cosiddetto stagionale) a chi di mestiere offre servizi: dai bar/ristoranti, ai vari centri e villaggi turistici.

Eppure basta fare un giro sulle piattaforme (pubbliche o private ) d’incontro tra datori e lavoratori per vedere le paghe da fame offerte, sempre se contrattualizzati. Contratti full-time, ma pagati part-time, senza giorni di riposo o che contano le mance nella retribuzione.
Da qui due possibilità: o chi “vive di turismo” non paga i lavoratori a sufficienza per offrire i beni e i servizi, oppure il turismo non porta sufficienti guadagni (ma allora perché cercare lavoratori, soprattutto stagionali? ndr)

Infine i luoghi del turismo. Dalle piazze ai musei alle spiagge, dalle strade ai mezzi pubblici. Affollamento è la parola che cerchiamo, ma anche impegno e investimenti solo in determinate zone. Con autobus e tram che vengono comprati per il centro, con la pulizia delle strade e la raccolta dei rifiuti che si concentra nelle zone di maggior interesse (turistico), lasciando a chi vive la città solo quel che avanza, se avanza. I cittadini di Roma e delle altre grandi città ne sanno qualcosa.

Lo abbiamo detto all’inizio, il problema non è recente, anzi, c’erano tutti i presupposti per elaborare un piano già da tempo. È vero che sono le zone centrali e costiere delle nostre città a soffrire di più (anche per via delle radici storiche che le nostre città possono ancora mostrare).

Ma a fermare il discorso che già nel 2019 stava trovando spazio, c’è stata la pandemia. Dopo il primo grande lockdown del 2020, infatti, in Italia non si parlava d’altro se non di riaprire tutto far ripartire il turismo. Con tanto di scenette assurde che vedevano i virologi controbattere ai rappresentanti di settore.
Il rinnovamento strutturale e giuridico per consentire un miglior turismo, inteso come miglioramento di tutta la città/località per tutti, residenti e non, poteva essere rimandato.

Così si è arrivati ad oggi: con Venezia a pagamento, le manifestazioni nelle piazze e lo sciopero dei balneari.

Perché sì, c’è sempre anche l’altra parte che dice la sua. Può sembrare fuorviante, ma il finto sciopero dei privilegiati che non vogliono perdere i privilegi è un classico in Italia. E solo “finto sciopero” può essere definito uno sciopero di due ore.

Quando nel 2021/2022 si ricominciò a parlare della tanto criticata Direttiva Bolkestein (che prevedeva, nel 2006, tra le altre cose anche la ripresa dei bandi per la concessione di parte delle coste), i primi a porsi sul piede di guerra furono proprio i cosiddetti balneari che rivendicavano l’impossibilità dei “piccoli” imprenditori del turismo costiero italiano di competere con le grandi multinazionali.

Poi però sono uscite le cifre di questi fantomatici piccoli imprenditori, che allo Stato pagano di canone 115 milioni, complessivamente, ma che di contro vedono un fatturato di oltre 31 miliardi. [dati Mef]. Ossia circa 27 volte tanto (considerando un guadagno netto del 10% sul fatturato). Se si vuole un altro dato, per i singoli stabilimenti si parla di 7.6mila euro di canone medio contro i 260mila euro di fatturato. [fonte Nomisma]

E qui si ritorna al punto iniziale ovvero i guadagni di pochi ai danni di molti. Con i residenti e i turisti meno abbienti contratti in spazi angusti delle spiagge libere, spesso lontane centinaia di metri l’una dall’altra e dagli accessi.

Ora non sappiamo quali saranno le decisioni dei governi, dalle amministrazioni locali alla Commissione Europea, passando per il Governo nazionale. Ma purtroppo, se già non ci aspetteremmo un cambio di passo da un governo di centro-sinistra, figuriamoci da un governo di destra.

Quello stesso governo che al Ministero del Turismo ha nominato Daniela Santanché ex-balneare, in quanto ex proprietaria dello stabilimento e locale esclusivo Twiga (in Forte dei Marmi, Toscana) e attualmente accusata per truffa aggravata ai danni dello Stato e per falso in bilancio per le sua ex-società Visibilia.

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2 Commenti


  • Tonino

    Ma poi, a monte di tutto, basta un dato empirico: i Paesi che hanno nel turismo il “settore traino” dell’economia sono tutti Paesi poveri…


  • Maurizio

    e se entrassimo in massa sui lidi e buttassimo tutto a mare?

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