Ieri è stata una giornata piena di notizie e dichiarazioni intorno alla sanità italiana, con la presentazione del settimo rapporto della Fondazione Gimbe sul Servizio Sanitario Nazionale ad attirare l’attenzione. All’evento ha partecipato anche il Presidente della Repubblica Mattarella.
Due i dati fondamentali: l’impennata della spesa privata per curarsi nel 2023 (+10,3%) e il fatto che ben 4,5 milioni di persone rinunciano alle cure per vari motivi. Non servono altre informazioni per sapere che la retorica che abbiamo dovuto sorbire durante la pandemia Covid intorno al cambiamento delle politiche sanitarie è morta e sepolta.
È vero che lo scorso anno, rispetto al 2022, la spesa sanitaria totale è aumentata di oltre 4 miliardi di euro, ma tale incremento deriva unicamente dagli esborsi diretti delle famiglie (3.806 milioni) e da fondi sanitari e assicurazioni, comunque sottoscritti da privati (553 milioni). I fondi pubblici sono rimasti più o meno gli stessi.
L’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) ha così valutato le previsioni del Piano Strutturale di Bilancio: “il complesso della spesa sanitaria corrente, dopo un lieve aumento in percentuale del PIL al 6,3% nel biennio 2024-25, dal 2026 si posizionerebbe di nuovo al 6,2% registrato nel 2023. E, per riportare il livello di spesa sanitaria sul PIL a livello del 2019 (6,4%), sarebbe necessario assicurare un aumento della spesa di circa 2,8 miliardi nel 2025, 4,3 nel 2026 e 5,6 nel 2027 rispetto a quanto indicato nel tendenziale“.
“La tenuta del Servizio Sanitario Nazionale è prossima al punto di non ritorno“, fanno sapere dalla Fondazione Gimbe. Il suo presidente, Nino Cartabellotta, ha osservato che “le persone sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie. Una situazione in continuo peggioramento“.
Oltre la metà delle 4 milioni e mezzo di persone che hanno rinunciato alle cure lo scorso anno lo hanno fatto per problemi economici, e sono circa 600 mila in più del 2022. Ma c’è anche il dato sulla spesa in prevenzione che preoccupa profondamente: nel 2023 si è ridotta di quasi due miliardi (-18,6%), con effetti che si vedranno sul medio-lungo periodo.
Cartabellotta ha dunque dichiarato che i “princìpi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza sono stati ormai traditi e che si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli“. L’austerità e la privatizzazione del servizio sanitario colpiscono soprattutto i più poveri.
Per questo sembrano piuttosto astratte le parole del Presidente della Repubblica, che di quel diritto costituzionale dovrebbe essere il garante. Mentre non solo lui, ma anche i suoi predecessori non hanno mai ostacolato i piani di compressione della spesa o altre riforme che ci hanno portato dove siamo oggi.
Mattarella ha affermato che il “Servizio Sanitario Nazionale costituisce una risorsa preziosa ed è pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute, nella sua duplice accezione di fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La sua efficienza è frutto delle risorse dedicate e dei modelli organizzativi applicati, responsabilità, quest’ultima, affidata alle Regioni“.
Proprio su questo punto bisogna ricordare che procede senza troppi intoppi il percorso dell’autonomia differenziata, da più parti indicata come la pietra tombale della sanità pubblica. Che è già annunciata dalla crescente migrazione sanitaria e dalle forti disuguaglianze nelle prestazioni tra Nord e Sud del paese (non nelle liste di attese, ovunque lunghissime).
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