Qualche giorno fa la ministra dell’Università Bernini ha tenuto una conferenza stampa per presentare un “Piano d’azione nazionale per tutelare l’università e la ricerca italiane dalle ingerenze straniere“. Un titolo che è già di per sé molto esplicativo del clima di guerra che ormai è penetrato anche nell’istruzione.
Insieme a lei, infatti, c’era anche Alfredo Mantovano, segretario del Consiglio dei ministri con la delega per la sicurezza della Repubblica (e quindi con funzione di indirizzo sulle strutture di intelligence). Nell’ora di conferenza sono stati rivelati pochi elementi, e tuttavia alcuni di essi bastano a tracciare un quadro della questione.
Innanzitutto, atteniamoci alle informazioni date dai rappresentanti del governo. Il piano non è frutto della volontà di Palazzo Chigi, ma è il risultato di impegni presi a livello europeo, ovvero delle raccomandazioni in materia date a maggio dal Consiglio Competitività (una delle configurazioni con cui si riunisce il Consiglio dell’Unione Europea).
Lo scopo è quello di colmare ciò che viene definito un “vuoto di protezione” nell’ambito accademico. I pericoli individuati, per intenderci, sono quelli di furto di proprietà intellettuale, di informazioni, di dati, ma il coinvolgimento dei servizi segreti rende chiaro che il solito spionaggio industriale qui viene trattato come pericolo di sicurezza pubblica.
Per tutelarsi da operazioni straniere evidentemente valutate come tali il primo passo è quello di definire delle linee guida nazionali. Un peso importante lo avrà anche l’organizzazione di moduli formativi e l’individuazione di una serie di suggerimenti da dare ai ricercatori stessi per ridurre le situazioni di rischio.
Infatti, i ministri hanno annunciato che l’intero sistema si fonderà sull’auto-valutazione degli studiosi circa gli accordi intrapresi, con la collaborazione di un centro di riferimento che dovrebbe essere istituito al MUR.
Per spiegare come si interverrà, Mantovano ha fatto più volte l’esempio del Golden Power, il potere governativo di bloccare o imporre specifiche condizioni a operazioni di mercato.
Tutti i dettagli del piano, però, saranno resi noti solo a dicembre, al G7 di Bari, che sarà incentrato proprio sulla sicurezza nella ricerca. Poi le misure prenderanno il via a partire dal 2025, per raggiungere la piena operatività nel 2026, dopo un anno di prova e i necessari aggiustamenti.
Bernini ha assicurato che, con questo piano, non si vuole in nessun modo inficiare i rapporti internazionali né colpire alcuno stato in particolare: “non esistono paesi buoni o cattivi“, ha detto, “esistono buone o cattive pratiche“. E tuttavia, è abbastanza chiaro che il pericolo è identificato nella competizione cinese.
A più riprese i giornalisti in sala hanno citato il Dragone, ma nessun riferimento è arrivato dagli organizzatori della conferenza. L’unico esempio di trasmissione di dati a un paese straniero fatto da Mantovano è rimasto senza nomi, ma il fatto che sia stato associato al settore delle biotecnologie è un indizio importante.
Sul sito Formiche.net viene citato un “esperto” che avrebbe suggerito che l’azienda coinvolta nel caso citato da Mantovano sia la BGI Group, con sede a Shenzen. Da quest’anno la società è stata inserita in un elenco del dipartimento della Difesa statunitense come “società militare cinese” che opera negli USA.
Lo scorso maggio cinque europarlamentari scrissero su Euronews che sulle tecnologie genomiche non basta il de-risking dalla Cina, e la BGI veniva citata esplicitamente.
Inoltre, è significativo come i cinque politici provenissero dal Partito popolare europeo, dai Socialisti e democratici, da Renew, dai Verdi e dai Conservatori europei: tutti uniti contro il Dragone.
Nella relazione annuale dell’intelligence presentata a febbraio, l’allora direttore dell’AISI Mario Parente diceva che i cinesi hanno “finalità di acquisire un patrimonio informativo e li porta a rivolgersi anche a circuiti universitari“. Che quindi sia Pechino il soggetto attenzionato tramite questo piano diventa abbastanza scontato.
Il MUR è stato da poco inserito nel Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, mentre la mattina della conferenza stampa Crosetto ha accennato al fatto di voler coinvolgere maggiormente le università nell’orizzonte della “guerra ibrida”. Di cui la Bernini ha peraltro confessato di non sapere nemmeno il significato…
A ottobre, col Documento Programmatico Pluriennale (DPP) per il periodo 2024-2026, il ministero della Difesa ha messo in chiaro che vuole trasformare il Centro Alti Studi della Difesa (CASD) in una “Scuola superiore universitaria ad ordinamento speciale“. L’istituto avrà i suoi dottorati, corsi e master, e grande attenzione sarà data all’intelligence.
Si moltiplicano i segnali della militarizzazione della ricerca universitaria, e della penetrazione degli interessi dell’apparato militare-industriale negli atenei. E soprattutto, della tendenza ormai esplicita a piegare la ricerca agli scopi di scontro tra il blocco euroatlantico e il mondo multipolare.
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Andres Daniel Albiero
Insomma tutto viene indirizzato verso un’ economia ed uno stato di guerra.La cancellazione della vita per la sopravvivenza di pochi luridi maledetti suprematisti.