La questione abitativa nel nostro paese sta assumendo caratteri sempre più rilevanti e non si può parlare di essa riferendosi solo ad un suo aspetto, ma va analizzata (e possibilmente affrontata) nel suo insieme.
Il sistema duale sbilanciato
Il carattere patrimoniale italiano, in termini di edilizia, è essenzialmente “duale”, ossia si compone sostanzialmente di due tipi di patrimonio, pubblico e privato. Come abbiamo ampiamente dimostrato nel nostro libro “Prigionieri del Mattone. Rendita Vs Diritto all’Abitare” (L’Armadillo Editore, 163 pagine, euro 12), i due ambiti sono strettamente interconnessi. Facciamo un po’di storia.
Nel 1998 un Governo di Centro Sinistra approva una nuova legge sulle locazioni che sostituisce per il mercato abitativo la 392/1978 (Equo canone). Questa legge è la n. 431 del 1998 e, a 26 anni dalla sua promulgazione, ha prodotto quasi 2,5 milioni di provvedimenti di sfratto e quasi 600 mila esecuzioni con l’ausilio dell’Ufficiale Giudiziario (dati Min. Int.).
Questi dati, che già da soli sarebbero sufficienti a certificare il fallimento di questa legge, vanno però affiancati da un nuovo elemento che l’Asia ha introdotto nel dibattito pubblico a livello nazionale, cioè “l’incidenza sui redditi”. Questo concetto vuole rappresentare il peso delle spese relative al bene Casa (affitto, utenze, codominio, rata del mutuo etc…) sui redditi (lordi tra l’altro) delle famiglie italiane. Già nel nostro documento congressuale stimavamo questa incidenza oltre il 60%.
Altre fonti, come Il Sole 24 Ore ad esempio, hanno recentemente attestato questa percentuale oltre il 40%, prendendo però una media redditi decisamente alta, la quale secondo noi non coincide con un altro dato, che da solo rappresenta più di ogni altro la diseguaglianza che la questione abitativa alimenta. Quest’ultimo dato è quello dei redditi degli italiani che vivono in affitto. L’Istat ci dice che vive maggiormente in affitto la fascia di famiglie coi redditi più bassi.
La funzione pubblica tradita
A questo punto sarebbe opportuno chiedersi cosa c’entri l’Edilizia Pubblica in questo ragionamento ed è ciò che tenteremo di spiegare. L’arco di tempo preso in considerazione (il primo quarto di questo secolo) coincide con lo smantellamento del sistema di Edilizia Residenziale Pubblica, con la sostituzione delle sue funzioni e col venir meno di qualsiasi elemento di calmierazione del mercato, sia diretto (canone equo) che indiretto (alternativa al mercato).
Coincide anche con le dismissioni di importanti quote di Patrimonio Pubblico ad uso abitativo. In sintesi l’abbandono di qualsiasi programma di sviluppo dell’Erp (ormai al 2,5%) ha favorito direttamente la domanda di Mutui (bolla dei prezzi, finanziarizzazione del bene d’uso Casa), la crisi degli affitti e dei salari (aumento costante dei primi e stagnazione dei secondi), la proliferazione di provvedimenti giudiziari.
È giusto credere che i Governi che si sono succeduti abbiano favorito direttamente quanto descritto ed un esempio è il Piano Casa Berlusconi in cui lo stato ha introdotto elementi del mercato privato all’interno di un piano di Edilizia Pubblica, nonostante la legge di rifermento (431/1998) lo vieti espressamente. Gli interventi successivi sono stati più che altro di reazione alla risposta popolare al problema abitativo (occupazioni), organizzate o spontanee, con tentativi falliti di mettere un freno al fenomeno (articolo 5 del Piano Casa Renzi-Lupi, vari Decreti Sicurezza) intervenendo sugli effetti e non sulle cause, anzi spesso rafforzando le cause attraverso ulteriore dismissione del Patrimonio Pubblico.
Narrazione mainstream
Oggi la situazione è in rapido deterioramento. Il mercato è ancor più respingente (rispetto agli anni precedenti alla pandemia da Covi-19) ed essendo orientato unicamente al profitto indirizza gran parte della sua offerta agli affitti brevi derivanti da turismo, con grave carenza di alloggi per le famiglie o i singoli. Questi soggetti devono fronteggiare un mercato che propone prezzi assolutamente fuori scala rispetto ai salari medi percepiti, pretendendo garanzie che non tutti posseggono.
Le città presto dovranno fare i conti con lavoratori impegnati nei settori chiave della sua economia, impossibilitati però ad abitarvi. Inoltre il racconto mediatico mainstream della questione abitativa è letteralmente capovolto e ciò crea un ostacolo alla formazione di una coscienza generale della situazione (percezione del problema Vs narrazione del problema), disinnescando i meccanismi di solidarietà e protesta.
Fiscalità ingiusta
Per intendere quanto il racconto mediatico riesca a mandare in tilt il sistema, al netto delle trasmissioni spazzatura che affollano i palinsesti e che spesso attaccano frontalmente i soggetti conflittuali (movimenti, sindacato etc…), spiegare alcuni elementi della fiscalità è utile a svelare molti inganni, spesso perpetrati da soggetti che si presentano come “buoni”. In Italia il canale che doveva dar vita a canoni “controllati” è il cosiddetto “concordato”.
In sintesi nei territori (comuni) le parti (sindacati inquilini e proprietari) dovevano dar vita ad accordi per la definizione di contratti alternativi al libero mercato, il cui canone è calcolato sul valore “oggettivo” dell’immobile e la sua ubicazione. Ovviamente non è previsto nessun obbligo di adozione per i proprietari, ma un incentivo sotto forma di doppio vantaggio fiscale: per chi ottiene l’attestazione di conformità da parte di una delle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo, la tassazione sarà “secca” (riguarderà i canoni percepiti e non il reddito complessivo) ed in misura ridotta (10%), in più godrà di uno sconto sull’Imu del 25%.
Peccato che non vi sia nessuna garanzia che i canoni così calcolati siano inferiori a quelli del mercato, anzi quasi sempre è di pari entità se non maggiore. I sindacati tutti (eccetto Asia) firmano regolarmente gli accordi in tutti i comuni dove questi esistono, nonostante non siano vantaggiosi per la parte che dovrebbero tutelare (gli inquilini), facendosi poi pagare sia il “servizio” dell’attestazione che il tesseramento, tradendo su tutta la linea la propria funzione essenziale di tutela dell’inquilinato.
A fronte di un trattamento fiscale di incredibile vantaggio rispetto ai redditi lavorativi, le organizzazioni proprietarie propongono misure di maggiore abbattimento fiscale, fino a chiedere la totale abolizione dell’Imu, per tutti, in modo discriminato. Una proposta che dovrebbe fare gridare allo scandalo anche chi di casa ne ha solo una, quella in cui abita, e che invece raccoglie consenso anche da parte di chi una casa non ce l’ha affatto e si strozza per pagare un affitto. Il nostro, ancor prima di un paese di proprietari, è un paese dalla forte mentalità proprietaria, definibile quasi in caratteri ideologici
Lo strapotere proprietario
Il rapporto locativo è per legge un rapporto alla pari tra due soggetti non alla pari. Uno dispone di un bene da mettere su un mercato sotto-regolamentato e con tassazione di favore, l’altro ha un bisogno primario da soddisfare (abitare). Nella nostra attività di sportello ci capita di assistere ad ogni tipo di ingiustizia derivante da questo sbilanciamento. Affittuari in nero minacciati per fargli lasciare l’alloggio, studenti letteralmente spellati e costretti a pagare mediazioni immobiliari inesistenti, cauzioni che non vengono restituite, contratti modificati rispetto alla loro forma legale, contratti non registrati, addebiti per lavori non di competenza dei conduttori, sfratti a sorpresa, alloggi malsani o addirittura inabitabili ed affittati a famiglie che non sanno dove altro andare e chi più ne ha più ne metta.
In nessuna di queste condizioni l’affittuario riesce, di fatto, a far valere le proprie ragioni. Spesso le denunce non vengono nemmeno raccolte dalle autorità, indebolendo qualsiasi ipotesi di causa civile per ottenere dei risarcimenti. Chiunque abbia vissuto in affitto si è trovato almeno una volta nella condizione di dover scegliere fra il tentativo di far valere i propri diritti e la tranquillità abitativa.
Di riflesso qualsiasi ragione della proprietà è mediamente accettata e qualsiasi pretesa è percepita come legittima. La classe politica (o meglio le classi politiche) di questo paese hanno affidato il destino di milioni di persone al buon cuore di questa classe orientata principalmente al profitto da rendita.
Un cambio di prospettiva
Le prospettive conflittuali si fanno sempre più cupe e incerte. Il lavorio governativo per escogitare nuove norme repressive e liberticide è continuo, mentre nessun soggetto politico di governo o opposizione sembra in grado di esprimere proposte non influenzate da qualche particolare lobby o pregiudizio. In questo deserto Asia-Usb, oltre alla consueta e continua richiesta di finanziamento di piani di edilizia pubblica (nuova Gescal), propone un testo normativo che possa sostituire l’attuale norma sui canoni (https://lc.cx/7_Oc4e) e che ruota attorno ai concetti fin qui descritti.
Un’incidenza massima del canone sul reddito netto delle famiglie, una flessibilità del canone rispetto alle eventuali flessioni reddituali stesse, tipiche dell’odierna configurazione dei rapporti di lavoro, una programmazione della transizione dal mercato privato all’edilizia pubblica per le famiglie in sofferenza, una fiscalità equa ed un recupero di risorse dall’evasione da destinare al finanziamento stesso degli interventi puramente pubblici. Una battaglia di civiltà, ma anche culturale, in grado di capovolgere la narrazione dominante e migliorare le condizioni materiali di milioni di famiglie.
* Asia-Usb
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