In Emilia Romagna ha votato il 46,4% degli aventi diritto, in Umbria il 52,3%. Sono dati che confermano la tendenza ormai in atto. Ormai la “politica” deve fare i conti solo con metà della società, l’altra metà l’ha liquidata come opzione non meritoria di attenzione né di voto.
In questo bacino la competizione avviene tra i due blocchi principali – centrodestra e campo largo del centrosinistra – con scostamenti nei risultati spesso limitatissimi, talvolta legati alla credibilità dei candidati, altre volte alle “percezioni” della congiuntura, altre ancora alla qualità del messaggio pubblicitario, esattamente come un prodotto da banco su uno scaffale del supermercato.
Di fronte a questa strettoia tra astensionismo di massa e bipolarismo blindato, per chi ha un mente una alternativa sistemica e di rottura della gabbia restano poche opzioni. Rifugiarsi nell’astensione o provare a “fare guerriglia” negli interstizi di un meccanismo elettorale truccato.
Inevitabilmente c’è anche chi propone di arrendersi allo stato delle cose e legarsi ad uno dei due campi cercando di rosicchiare qualcosa come “voce critica”.
Ma a fare l’andatura e definire le priorità rimangono i capi bastone locali e le dirigenze centrali dei blocchi principali. Come ci documenta un passato fin troppo recente, alla fine si perde anche la funzione di voce critica e si viene assimilati/accomunati ai partiti principali perdendo ogni autonomia di azione e indipendenza politica.
E’ per questo che tra le opzioni possibili ci convince ancora quella della rottura possibile e di una alternativa dichiarata, anche in condizioni temporaneamente minoritarie.
Il candidato della lista alternativa Emilia Romagna Pace, Ambiente, Lavoro, ha preso l’1,9% a livello regionale ma ha superato il 2,5 a Bologna.
“Abbiamo fatto una campagna elettorale coraggiosa, in cui abbiamo portato i temi e le lotte al centro del dibattito, e vogliamo ringraziare tutte e tutti coloro che hanno usato il loro voto per dare un segnale che un’alternativa in questo “sistema Emilia-Romagna” c’è e si deve rafforzare” è il commento della lista Emilia Romagna Pace, Ambiente, Lavoro costituita da Potere al Popolo, Rifondazione Comunista e Partito Comunista Italiano. “Nonostante non abbiamo raggiunto la soglia di sbarramento, il candidato presidente Federico Serra e alcune candidature di rottura hanno saputo raccogliere un consenso indicativo e molto superiore rispetto al nostro recente passato”.
Non è molto. ma se gestito bene, con lungimiranza politica ed estensione del radicamento sociale, non è neanche poco ci sentiamo di aggiungere. Del resto se valutiamo il mondo solo sulla base dei dati elettorali, questo è il bacino di influenza elettorale da anni della sinistra radicale comunque apparecchiata. Per i più anziani è come tornare ai tempi di Democrazia Proletaria, con la sola differenza che il sistema elettorale precedente anche con quei risultati assicurava la rappresentanza parlamentare o locale, adesso invece c’è spazio solo per i “pezzi grossi”.
I risultati delle elezioni regionali in due regioni storicamente “di sinistra” come Emilia Romagna e Umbria (la seconda perduta e riconquistata), ci consegnano un quadro politico che vede in maggiore difficoltà la destra piuttosto che il campo largo del centrosinistra.
I risultati sono stati severissimi con le due “variabili” nei due blocchi. Crolla il M5S (che però sul piano locale non è mai andato benissimo) e c’è una Lega fortemente indebolita a vantaggio di una Forza Italia rinvigorita. Forza Italia, gioisce per la costante crescita dei consensi. “Faremo valere il nostro status di secondo partito della coalizione, prendano sul serio le nostre istanze”, chiosano vari parlamentari del partito.
Nella coalizione di centro-destra Fratelli d’Italia (che però continua a perdere voti ad ogni tornata elettorale, ndr) si prepara a far valere il proprio peso, con il rischio di un braccio di ferro a oltranza con la Lega sia a livello centrale che locale.
Per le prossime elezioni regionali in Veneto, ad esempio, la Lega non sembra disposta a cedere di un millimetro. “Il percorso per un candidato presidente della Lega è già iniziato”, afferma un deputato leghista del Nord-Est. Anche l’ipotesi della candidatura di Luca Zaia a sindaco di Venezia come contropartita non sembra soddisfare la Lega.
E addirittura c’è chi ipotizza che “non è escluso che la Lega possa correre anche da sola”. Per Fratelli d’Italia un nome alternativo a Zaia ci sarebbe già, ed è quello di Luca de Carlo.
Nel campo largo del centrosinistra, il Pd non solo può rivendicare la “riconquista” dell’Umbria, ma ha fatto anche il pieno di voti a discapito del M5S. Che per vincere in Umbria si sia dovuti ricorrere ad una sindaca democristiana, antiabortista, cattolica ma filo-israeliana, non sembra sconvolgere nessuno a sinistra.
Sullo sfondo del centrosinistra c’è poi la “rogna” del terzo mandato di De Luca per la regione Campania. Lo “sceriffo di Salerno” non intende mollare la presa per le elezioni regionali del prossimo anno, mentre il Pd nazionale gli chiede di farsi da parte rischiando di perdere il governo regionale. E’ la resa dei conti tra “cacicchi” e nuova leadership piddina, una incognita di prima grandezza in un sistema che sui poteri e i potentati locali fonda molto del suo rapporto di “fidelizzazione” con la ormai metà dell’elettorato. Le elezioni regionali sono lì a dimostrarlo.
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