Cosa lega femminicidi e violenza di genere imperante e la guerra? Perché dalle borgate da più di un anno non ci stanchiamo di ripetere “non in nostro nome”?
La giornata internazionale contro la violenza di genere del 25 novembre, anticipata dalla manifestazione nazionale indetta per sabato 23 da @nonunadimeno, assume un significato particolare che vogliamo portare con noi nelle piazze e nelle strade dei nostri quartieri.
Da più di un anno la violenza sionista si esprime più brutale che mai. Dopo 76 anni di occupazione, assistiamo oggi al genocidio in corso a Gaza, agli attacchi al Libano, alla Siria e all’Iran da parte di Israele, responsabile di una continua escalation bellica in tutto il medio oriente.
In questo contesto, tante realtà hanno deciso di schierarsi dalla parte della resistenza palestinese e di opporsi ai tentativi di pink e rainbow washing dell’Occidente. Infatti, le donne vengono strumentalizzate continuamente nella propaganda di guerra dei paesi occidentali (dall’Europa agli Stati Uniti, includendo Israele) per uno ”scontro tra civiltà”, dove ci viene raccontato che da una parte abbiamo l’occidente ”progressista” e ”libero”, e dall’altra i ”barbari” popoli arabi o del Medioriente.
Ci chiediamo, tuttavia, in cosa consista questa nostra “superiorità” dal momento che, in Italia e non solo, da anni le nostre condizioni stanno peggiorando e ci sembra che il nostro governo stia portando avanti una “guerra” anche qui: quella verso le donne, le libere soggettività (studentesse, giovani, lavoratrici, precarie, disoccupate, migranti) e chi abita le periferie, condannandoci a un presente fatto di sfruttamento, precarietà, discriminazione, prevaricazione e violenza.
Ed è in questo contesto che nell’ultimo anno si è accesso più che mai il dibattito pubblico intorno al fenomeno dilagante della violenza di genere, soprattutto a seguito del femminicidio di Giulia Cecchettin e dei tanti, troppi, episodi che hanno coinvolto tantissime donne e giovani. Un dibattito che si è espresso anche attraverso piazze animate da centinaia di migliaia di persone e tramite una crescente consapevolezza collettiva sulle radici materiali della violenza.
Una violenza prodotta da una società profondamente diseguale che ha il suo fondamento in un sistema in cui regnano individualismo, prevaricazione, arrivismo, profitto. Dove il privilegio economico e sociale di pochi si basa sull’oppressione di tante e tanti, a partire dalle donne e libere soggettività delle nostre periferie.
CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE E DI GENERE
A parole ci vengono propinate tante “soluzioni”: battaglie contro la violenza sulle donne fatte attraverso una stretta sulle pene (tramite la legge Roccella) o con la criminalizzazione delle periferie; la reazionaria “educazione alle relazioni” di Valditara; i bonus mamma solamente per chi ha tre figli e un contratto a tempo indeterminato, e così via. Oppure si passa direttamente allo strumentalizzazione della violenza per accusare le persone migranti, come hanno fatto Valditara prima, e Meloni poi, quando sappiamo benissimo che la maggior parte delle violenze accadono nelle mura domestiche.
Purtroppo, scavando più a fondo si può capire come i provvedimenti del Governo Meloni siano solo l’espressione di una classe politica e di istituzioni che odiano le donne, soprattutto quelle non privilegiate o quelle che non sono “allineate” alla loro narrazione e visione del mondo che confina le donne nel ruolo di madri o di vittime.
Basti pensare al continuo attacco a diritti come a quello ad un aborto libero, sicuro e gratuito, realizzato anche tramite l’inserimento dell’emendamento sulla legge del PNRR che permette alle associazioni anti-abortiste, i cosiddetti ”Pro Vita”, di entrare nei consultori. Abbiamo assistito poi al taglio radicale dei fondi per la prevenzione della violenza contro le donne (da 17 milioni a soli 5 milioni nel 2023).
Così come a un continuo smantellamento – già avviato dai governi precedenti – della sanità pubblica a favore dei privati e dalla mancanza di servizi pubblici per giovani, donne, bambini: una situazione che andrà a peggiorare con la riforma dell’autonomia differenziata che crea territori di serie A e altri di serie B (destinati a rimanere sempre più poveri e senza servizi). A tutto ciò si affianca poi il blocco dei salari, l’aumento dell’IVA sui prodotti femminili e per l’infanzia e chi più ne ha più ne metta!
Dunque, ci lasciano morire di fame o morire ammazzate, mentre nel frattempo si spendono milioni su milioni per finanziare la produzione di armi e fomentare conflitti. E come pensano di distrarci? Facendoci credere che la nostra maggiore preoccupazione debba essere non fare entrare le ”teorie gender”, come le chiamano loro, nelle scuole!
Con questa scusa stanno attaccando qualsiasi prospettiva di strutturazione di percorsi efficaci di educazione alla sessualità e all’affettività i quali, guardando ai numeri di violenze, stupri e femminicidi, sono invece sempre più necessari. Al contrario, vogliono investire invece su un mondo della formazione e dell’educazione ormai unicamente volto ad ammaestrare alla ”patria”, all”’impresa” e al ”comprendere che il sistema sociale non è in grado di garantire qualsiasi servizio“.
Questo dicono le linee guida di educazione civica promosse a inizio anno scolastico dal Ministro dell’Istruzione, abituandoci a individualismo e disuguaglianze di ogni genere fin dai banchi di scuola.
Ci fa rabbia che Valditara promuova nuovi inutili progetti, con a capo psichiatri discutibili come Paolo Crepet, per ripulirsi le mani sporche del sangue di tante ragazze e studentesse sempre più giovani, piuttosto che ascoltare chi ogni giorno vive abusi, molestie e discriminazioni all’interno di scuole, università, posti di lavoro e quartieri!
Per questo il 23 in piazza, il 25 Novembre, e tutti i giorni nelle scuole e nei quartieri, rivendicheremo l’introduzione in maniera strutturale dell’educazione alla sessualità nei percorsi scolastici, per autodifenderci dalla violenza di questa società e come primo passo per costruirne una migliore. Consapevoli che non è una battaglia che riguarda solo studentesse e studenti ma coinvolge personale scolastico e docente, genitori, educatrici, psicologhe, pedagogiste e tutta la nostra società.
CONTRO LA GUERRA IN MEDIORIENTE
Mentre noi lottiamo per sopravvivere alla violenza di “casa nostra”, dall’altra parte del Mediterraneo è sempre più evidente come, con le sue politiche sioniste e coloniali, Israele stia diventando un pericolo per tutto il mondo, portando ad un allargamento del conflitto a tutto il Medioriente. Le “donne al potere”, come Meloni e la presidente della commissione europea Von Der Leyen, si dimostrano sempre più come ”signore della guerra”, alla pari dei loro predecessori uomini che hanno permesso per decenni a Israele, sotto il nome della “democrazia“, di fare quello che gli pareva con le possibilità, i finanziamenti e le risorse per arrivare fino a questo punto.
A maggior ragione sta a noi ”altre” donne, quelle maggiormente sfruttate e oppresse, organizzarci e continuare ad essere protagoniste e parte attiva nella solidarietà e nel sostegno ai processi di liberazione nazionale e alla resistenza palestinese e dei popoli in Medioriente, come ci insegnano oggi le stesse donne Palestinesi. Rifiutiamo, in questo senso, anche un certo femminismo bianco e coloniale che non fa che reiterare forme di oppressione, in primis la vittimizzazione delle donne musulmane.
Non abbiamo quindi scuse: non possiamo cascare in equidistanze e tollerare i tentativi dell’occidente di screditare la resistenza palestinese per giustificare le barbarie di Israele in tutto il Medioriente, strumentalizzando le donne, le libere soggettività, le nostre lotte e gli eventi del 7 ottobre come giustificazione. Sappiamo bene l’operazione di colonizzazione dei territori palestinesi va avanti e viene supportata dall’occidente da decenni.
Non ci stupisce in questo senso che partiti misogini, omofobi e transfobici come la Lega arrivino fino al punto di manifestare solidarietà alla studentessa Iraniana Ahou Daryaei, che si è spogliata nella sua università per protesta, pur di attaccare il mondo arabo, islamico e un paese decisamente scomodo a Israele e per l’occidente sul piano internazionale, quale è l’Iran.
Così come non ci stupisce che in Ucraina in nome della ”parità di genere” stanno chiamando nell’esercito anche le civili donne, per giustificare le ulteriori braccia da mandare in guerra. Utilizzano battaglie che non gli appartengono per giustificare le loro azioni, dal genocidio in Palestina all’escalation bellica: non dobbiamo lasciargli spazio e modo per poterlo fare!
In questo senso la situazione in Palestina e in tutto il Medioriente ci impone di fare un salto in avanti: le piazze, le iniziative e le mobilitazioni delle donne e libere soggettività devono essere megafono anche e soprattutto delle lotte di liberazione dei popoli e delle donne oppresse, perché non saremo libere realmente finché non lo saranno anche loro. Fino a quando non abbatteremo una società e un sistema che producono barbarie in tutto il mondo.
Per questo porteremo con noi i simboli della Palestina sabato 23 novembre, e saremo in corteo per le strade di Roma il 30 Novembre per una grande manifestazione nazionale contro il genocidio e l’escalation d’Israele in Medioriente!
IL 23 E IL 25 NEI NOSTRI QUARTIERI. VITTIME MAI!
Per le centinaia di donne e libere soggettività uccise ogni anno da questa società, per le donne palestinesi, simbolo di resistenza e coraggio: è a loro che dedichiamo le due giornate che si avvicinano, del 23 e del 25 novembre, per dare loro centralità a partire dai nostri quartieri popolari, dove le disuguaglianze di questo mondo si fanno sentire in maniera più pesante. Luoghi dove, come per le donne Palestinesi, non esiste ”privilegio” ma solo la necessità di essere forti, arrabbiate e resistere per conquistarci tutto ciò che possa garantirci una vita più dignitosa.
Per questo ci vediamo il 23 Novembre alle ore 11:30 a Rebibbia per attraversare il quadrante della Tiburtina, con varie tappe che passeranno per Santa Maria del Soccorso e Pietralata. Sarà un’occasione per farci sentire e permettere alle tante donne delle borgate di mobilitarsi in quella giornata nei loro quartieri, per poi raggiungere tutte insieme la manifestazione di Non Una Di Meno che inizierà alle 14:30 a Piazzale Ostiense.
Il 25 Novembre ci troverete invece a Primavalle alle ore 15:30 al Parco Dominique Green Playgroud per un’importante assemblea insieme alle realtà e persone del territorio, che ricordano Michelle Causo e Manuela Pietrangeli e le portano nel cuore in ogni battaglia quotidiana per il riscatto delle nostre vite e dei nostri quartieri. Un momento non solo di ricordo ma anche di rilancio, in cui portare la nostra proposta di apertura di uno sportello contro la violenza sulle donne e di genere, in un territorio dove servizi questi mancano ma dove sono invece più essenziali.
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