Come c’era da immaginarsi, la risposta israeliana all’Iran non si è fatta aspettare, una azione limitata, rapida è precisa. Accompagnata da una manipolazione mediatica, secondo cui gli Usa hanno accettato il piano israeliano per invadere Rafah in cambio della promessa di non attaccare l’Iran, l’inganno è fatto, e forse concertato fra le parti interessate.
Salvata l’abitudine di Tel Aviv alla segretezza e alla non divulgazione delle sue azioni militari. Colpito un obiettivo all’interno del territorio iraniano, evitando al contempo feriti o morti tra gli iraniani, e questo per salvare la faccia sia per Israele che per l’Iran. Infatti l’Iran ha dichiarato chiuso il caso ed ha spento, per il momento, la miccia che avrebbe aumentato la tensione nella regione in modo irreversibile.
È vero che l’Iran ha minacciato un’importante azione militare, indipendentemente dalla portata degli attacchi da parte di Israele, ma nessuno crede che l’Iran sia in una posizione tale da permettersi di colpire Israele in modo troppo doloroso.
Le capacità di fuoco statunitensi hanno impedito a droni e missili di raggiungere Israele, intercettandoli nello spazio aereo arabo e distruggendoli senza causare alcun danno in Israele, cosa che invece potrebbe accadere a Teheran qualora pensasse a un nuovo esperimento per rispondere all’attacco israeliano all’interno del territorio iraniano.
Da più di sei mesi Israele è anche immerso nel pantano della Striscia di Gaza e in scaramucce con Hezbollah in Libano e Siria, e con le milizie affiliate all’Iran in Siria, nonché con gli Houthi nel Mar Rosso e i loro attacchi a Eilat.
Tutto ciò ha fatto intendere a Israele che è suo interesse non aumentare la tensione, vista anche la sua dipendenza agli Usa e dai suoi alleati che devono difenderlo di fronte a tutte queste sfide aiutandolo a mantenere l’occupazione della Palestina e anche delle terre siriane e libanesi.
È questo che ha reso Israele cauto ed esitante sul tipo e la portata della sua risposta a Teheran. In questo scenario, i governanti di Israele si lanceranno massicciamente sul fronte nord, colpendo Hezboallah in Libano, l’alleato principale dell’Iran, e anche per dare una risposta alle decine di migliaia di abitanti evacuati dal confine con il Libano quando è iniziata l’aggressione genocida contro i palestinesi nella Striscia di Gaza. Poi vorranno portare a termine gli obbiettivi prefissati per Gaza con la fase finale dell’entrata a Rafah.
Di sicuro nessuno dei paesi della regione, come tanti altri paesi del mondo, hanno interesse ad alimentare o allargare il conflitto nella regione. Tuttavia, le maggiori potenze guidate dagli Stati Uniti stanno agendo in modo che contraddice il desiderio di stabilità nella regione, attraverso il loro sostegno cieco e incondizionato a Israele, che è la causa di tutto.
Questa tensione costante nella regione è causata dall’occupazione israeliana di terre che non le appartengono e del rifiuto di creare uno Stato per i palestinesi sulle terre occupate da Israele nel 1967. Altra fonte di tensione sono anche gli abusi sui palestinesi sotto occupazione e la privazione del loro legittimo diritto alla vita.
L’attenzione mondiale, ora focalizzata e preoccupata per gli sviluppi del possibile conflitto Iran–Israele, viene così spostata dal genocidio in atto a Gaza e dalle violenze perpetrate in Cisgiordania dall’esercito e dai coloni, e Washington discute indisturbata con alcuni paesi arabi sulla consegna di Gaza alla NATO.
Scrive Al Arabi Al Jadid del 14 aprile che: “Il canale israeliano 12 ha riferito che l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i paesi arabi stanno attualmente discutendo una proposta per “il giorno dopo”, cioè porre la Striscia di Gaza sotto il controllo della NATO”.
In un servizio trasmesso martedì sera, il canale ha riferito che la proposta prevede la necessità di garantire il riconoscimento internazionale per la creazione di uno Stato palestinese, e poi di porre la Striscia di Gaza sotto il controllo delle forze della NATO dopo la fine della guerra israeliana.
Secondo l’emittente, il piano respinge il mantenimento del governo del movimento Hamas nella Striscia di Gaza e prevede il ritorno dell’Autorità Palestinese a gestire la Striscia. La proposta prevede anche che la NATO supervisionerà il processo di ricostruzione della Striscia di Gaza e gestirà gli affari della vita dei suoi abitanti.
Il rapporto rileva che, secondo la proposta, le forze della NATO rimarranno nella Striscia di Gaza per cinque anni, dopodiché si terranno le elezioni e sarà formato un governo locale per supervisionare la gestione degli affari quotidiani. Nella proposta si prevede che, se avrà successo nella Striscia di Gaza, verrà successivamente implementata in Cisgiordania.
Il rapporto prosegue dicendo che l’ex capo della divisione di intelligence militare israeliana, Tamir Hayman, direttore del Centro per la ricerca sulla sicurezza nazionale presso l’Università di Tel Aviv, ha elogiato la proposta sostenendo che potrebbe portare al raggiungimento degli obiettivi della guerra nella Striscia di Gaza, in particolare all’eliminazione del dominio del movimento Hamas.
Anche il vicepremier e ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani fa riferimento al piano americano dichiarando: “Il nostro compito è scongiurare e tranquillizzare le nostre opinioni pubbliche: il governo italiano è fortemente impegnato per la pace, siamo amici di Israele ma vogliamo lavorare per la pace, compreso l’invio eventuale di truppe qualora si volesse creare uno Stato palestinese con forze di altri paesi”. Lo dichiara all’ANSA del 17 aprile durante un forum.
Appare scontata la posizione del governo israeliano sulla proposta, dato che le forze di estrema destra che compongono questo governo respingono in linea di principio l’idea di creare uno Stato palestinese.
Il piano americano, va rigettato senza se e senza ma, perché radicalizza l’occupazione e la divisione del territorio palestinese e conferma i piani sionisti per il futuro della Palestina, oltre a rafforzare il ruolo e l’alleanza NATO nell’occupazione israeliana.
Tuttavia, e in qualsiasi direzione andranno gli eventi, nessuno può ignorare il diritto storico del popolo palestinese alla sua terra e a lottare e resistere con ogni mezzo per la liberarla dall’occupazione e dall’entità sionista.
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