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Quel mezzo “ok” che potrebbe far chiudere il caso Abedini-Sala

Luce quasi verde da Mar-a-Lago, residenza preferita di Donand Trump. Lo scambio tra Cecilia Sala – trattenuta in Iran – e l’accademico svizzero-iraniano Mohammad Abedini Najafabadi (detenuto in Italia in ossequio a una mandato di cattura statunitense) diventa così più probabile.

Il viaggio lampo di Giorgia Meloni in Florida, al di là della scontata serie di “temi” di cui si sarebbe discusso, aveva proprio il “caso Sala” al centro. Perché c’è una “finestra di opportunità” da sfruttare nelle relazioni con gli Usa per ridurre al minimo percepibile eventuali disaccordi.

Il sempre meno lucido Joe Biden è ancora formalmente presidente, e rilascia ancora ordini di invio di armi e soldi a Israele e Kiev, ma è ormai sulla porta d’uscita dalla Casa Bianca.

Trump è stato eletto, ma non è ancora in carica. Dunque l’eventuale “sgarbo” di uno scambio sgradito vedrà come destinatario l’incespicante guerrafondaio “democratico”, non l’imprevedibile immobiliarista supportato dall’ancora più disinvolto Elon Musk.

Il riepilogo della vicenda Sala può aiutare a capire meglio come ha fatto il governo italiano ad infilarsi in un tunnel senza vie d’uscita gratuite (sottolineiamo “gratuite”, non “senza uscita”).

Com’è ormai universalmente noto, il 16 dicembre scorso, all’aeroporto di Malpensa, l’ingegnere Mohammad Abedini Najafabadi viene fermato ed arrestato in base alla richiesta Usa per «cospirazione» e «supporto a un’organizzazione terroristica» nella commercializzazione di componenti elettronici montati su droni usati dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione.

Uno di questi droni, in particolare, sarebbe stato responsabile della morte di tre soldati americani in Giordania, un anno fa.

L’arresto e la richiesta di estradizione da parte Usa sono però chiaramente privi di una base giuridica rispondente alle attuali regole del diritto internazionale.

Per emettere quel mandato, infatti, Washington si appoggia sulla sua personalissima lista di “organizzazioni terroristiche”, in cui ha inserito anche i pasdaran.

Abbiamo scritto infinite volte che la definizione di “terrorismo” non ha mai ricevuto alcun consenso globale. Ogni paese, od ogni sistema di alleanze, chiama “terroristi” i propri nemici, che spesso sono “eroi della resistenza” per i paesi o le alleanze contrapposte.

Le riprove sono altrettanto infinite. Al Qaeda (quella di Osama Bin Laden) è stata definita freedom fighters ai tempi in cui combatteva la presenza sovietica e il governo socialista in Afghanistan, con tanto di film hollywoodiani incentrati sull’ancor giovane Stallone-Rambo.

Poi è stata inserita nella lista dei “terroristi” quando distrusse le Twin Towers, e servì a giustificare la ventennale ma fallimentare invasione dell’Afghanistan. Poi, in Siria, è tornata ad essere essere un fedele “combattente della libertà” impegnato ad abbattere il regime di Assad ed ora rappresenta il governo “sperabilmente” amico dell’Occidente a Damasco.

In futuro si vedrà. In fondo è facile passare da una parte all’altra delle definizioni.

Per i Guardiani della Rivoluzione iraniani, però, c’è una complicazione irrisolvibile per via “legale”. Non sono infatti un gruppo clandestino, ma un organo a pieno titolo dello Stato. Dunque, se si fosse realmente convinti della loro “natura terroristica”, bisognerebbe dichiarare guerra all’Iran.

Cosa che da anni viene agìta – tramite gli omicidi mirati del Mossad israeliano o finanziando gruppi jihadisti che compiono attentati in quel paese – ma in forma “coperta”, da servizi segreti.

Tanto più che tutto l’Occidente mantiene normali relazioni diplomatiche con Tehran, con forti limitazioni dovute soltanto alle “sanzioni” unilaterali decise da Washington, che gestisce la piattaforma Swift su cui avvengono i pagamenti internazionali.

L’Unione Europea, per dire, non ha (ancora) inserito i pasdaran nella propria lista dei “terroristi”, nonostante circa un anno fa il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Fratelli d’Italia, Democratici Svedesi, Diritto e Giustizia e altri partiti parafascisti europei) abbia presentato un emendamento in questo senso alla relazione annuale sulla politica estera comune. Approvato a larga maggioranza, con l’endorsement di von der Leyen e Metsola, ma mai diventato operativo e legalmente vincolante.

Dunque, l’arresto di Abedini da parte delle autorità italiane è avvenuto per fare un semplice “omaggio” alla volontà degli Stati Uniti. Un atto politico che riconosce la supremazia di un irascibile alleato, a dispetto del quadro legale internazionale.

Cosa che la Svizzera, dove Abedini risiede abitualmente, al punto di aver ottenuto anche la cittadinanza, si era ben guardata dal fare nonostante sia il referente diplomatico degli interessi statunitensi in Iran e il fatto che la sua storica “neutralità” internazionale stia svaporando a velocità crescente.

Una volta avvenuto l’arresto, però, era inevitabile che Tehran rispondesse simmetricamente, come è normale nei rapporti internazionali conflittuali. Immaginiamo senza troppo sforzi che a quel punto abbiano compulsato la lista dei cittadini italiani momentaneamente in Iran cercando di individuare qualcuno che fosse altrettanto “importante” agli occhi del governo italiano (ed anche americano).

Cecilia Sala – giovane giornalista saldamente “atlantica”, specializzata nel “triangolo” Ucraina-Israele-Iran, figlia di Renato, dal 2004 senior advisor di J.P.Morgan International Bank, nonché amministratore indipendente di Banca Monte dei Paschi di Sienadeve essere balzata agli occhi molto facilmente.

Ovvio, a quel punto, che iniziasse la trattativa diplomatica alla pari tra I due governi.

E qui è caduta la maschera sul servilismo estremo che caratterizza l’esecutivo Meloni nei confronti degli Usa.

Il governo ha inizialmente taciuto sperando che la magistratura milanese, competente sul caso (arresto a Malpensa), rimettesse Abedini in libertà o quanto meno ai domiciliari, in modo che l’ingegnere svizzero-iraniano potesse prima o poi andarsene con i suoi mezzi e Cecilia Sala essere liberata. Ma senza scambio e senza irritare l’”amico americano”.

Comodo, no?

No. Perché proprio la magistratura milanese aveva fatto lo stesso tipo di “favore” (legalmente inappuntabile, ci mancherebbe) nel caso molto simile del russo Artem Uss, scomparso velocemente dai domiciliari e ricomparso bello e gaudente nel suo paese.

Quando gli americani si incazzarono per quella fuga il governo Meloni non trovò di meglio che scaricare tutte le responsabilità sui magistrati. Che naturalmente non intendono ripetere l’esperienza, e quindi hanno fissato al 15 gennaio l’udienza per decidere se metter fuori o no Amedini. E Trump si insedia il 20…

Sempre ricordando, naturalmente, che il ministro (Nordio, in questo momento) ha il potere di revocare l’ordine di arresto di chiunque non sia stato ancora processato e condannato, come del resto ha fatto – anche di recente – nel caso di Hervè Falciani (accusato in Svizzera di aver sottratto documentazione bancaria) e di Yevhen Lavrenchuk, regista ucraino  reclamato dalla Russia (meno problematico, vero?).

La luce mezza verde di Mar-a-Lago può risolvere e smussare gli spigoli più taglienti, permettendo a governo, magistratura e presidenza degli Usa di gestire in qualche modo la propria estraneità a qualsiasi “trattativa”. Dopo aver aver trattato…

Certo che, di fronte ad uno spettacolo simile è comprensibile chi rimpiange l’Italia di Sigonella, con i carabinieri a circondare i marines Usa mandati da Reagan…

P.s. Per parte nostra ci auguriamo una rapida e diplomatica conclusione della vicenda. Quando insomma si potrà dare il giudizio che merita un modo di fare giornalismo semplicemente inqualificabile…

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3 Commenti


  • Gabriele

    Ammetto che io sono stato uno dei primi a rimpiangere il sovranismo dell’Italia mostrato sulla pista di Sigonella lasciando un messaggio a margine di uno dei tanti articoli apparsi su questa testata in questi giorni,penso che sia chiaro ai più che il servilismo nei confronti degli USA che ha caratterizzato tutti i governi che vennero dopo gli anni 80 abbia sostituito gli spazi di sovranità lasciati vuoti dal sovranismo,penso sia altrettanto chiaro che questa condotta stia giorno dopo giorno,,oggi più che mai come testimonia il caso Sala ,mettendo in pericolo l’incolumità e la libertà
    dei cittadini italiani nel mondo


  • Mara

    Il servilismo del governo Meloni non paga.
    In quanto a ciò che è stato ottenuto da Meloni nell’incontro con Trump lo vedremo, io non sarei ottimista, c’è un detto popolare che dice:” ti dico di sì e ti pago da bere,” come per dire che ti faccio contenta ora ma poi le decisioni sono altre.
    Cert che il congelamento della estradizione di Abedini come ho sentito ventilate dalla stampa non sarebbe una soluzione poiché potrebbe provocare un comportamento simmetrico da parte dell’Iran per Sala, cioè congelare la carcerazione di Sala


  • Anna

    Penso che, con buona pace della ” libertà di informazione” a senso unico, sputare in faccia a tutti quelli – non li chiamo giornalisti- che scirivono su Il Foglio e a quelli che lo leggono sarebbe un atto dovuto.Ridateci Craxi!

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