Fondazione Fincantieri e l’università privata LUISS Guido Carli hanno annunciato, lo scorso 9 luglio, l’avvio di una collaborazione dal nome SUBCAP (SUBsea CAbles Protection, ovvero Protezione dei Cavi Sottomarini). L’obiettivo, si legge sul sito dell’ateneo, è quello della “individuazione del quadro regolatorio per la protezione delle infrastrutture critiche sottomarine“.
Il compito è affidato al Centro di ricerca “Law and Governance: Compliance, Security and Sustainability“, presieduto dalla ex ministra della Giustizia Paola Severino. Una figura che si è fatta notare per una sua legge che ha fatto storcere il naso a Berlusconi, ma noi ce la ricordiamo più che altro perché il suo studio legale difendeva la compagnia LTF contro i NoTav e, allo stesso tempo, perché nel 2012, dal suo dicastero, vennero sparati lacrimogeni direttamente su dei manifestanti.
Ma senza stare a rivangare il passato, oggi Severino ci mostra che c’è molta inventiva nel trovare sempre nuovi modi in cui l’accademia – anche se in questo caso si parla di quella privata – possa legare le proprie attività agli orizzonti della crescente tendenza alla guerra. In questo caso, lo fa “nel quadro delle attività promosse da Fincantieri nell’ambito della sicurezza marittima“.
Infatti, la questione della guerra sui fondali ha attirato molta attenzione, soprattutto per via di alcuni casi di cavi tranciati nel Baltico, di cui la responsabilità è stata attribuita alla Russia (a volte inserendo anche un ipotetico aiuto dato dai cinesi). La NATO, all’inizio di questo anno, ha addirittura lanciato in merito un’operazione di militarizzazione di quelle acque, la Baltic Sentry.
Non che la guerra dei cavi, in quanto infrastrutture strategiche, sia di per sé una cosa nuova: è da almeno un secolo che si assiste a eventi del genere. Quello che è a suo modo ‘innovativo’ è la volontà di ‘normare’ le forme in cui le nuove tecnologie possono essere usate per condurre tale tipo di conflitti.
Sempre sul sito della LUISS si legge infatti che si vogliono stabilire “in modo esplicito i limiti e le condizioni delle attività di protezione condotte nel dominio subacqueo, specialmente in contesti internazionali. Il progetto si propone quindi di analizzare in chiave comparata le fonti giuridiche esistenti – a livello internazionale, europeo e nazionale – e di elaborare soluzioni operative capaci di guidare l’impiego di tecnologie avanzate, come sensori, sonar, droni e veicoli autonomi subacquei, all’interno di un quadro giuridico definito“.
Quello di droni e robot subacquei è un tema centrale, che unisce in maniera diretta tale iniziativa alla cornice atlantica, oltre a quella del riarmo europeo. Quest’ultimo ha nel conflitto ucraino un’ottima fonte di commesse: proprio al vertice italiano sulla ricostruzione del paese dell’Est Europa, Fincantieri ha annunciato che fornirà sistemi sonar e droni sottomarini per la protezione del porto di Odessa.
Ma se torniamo alla missione nel Baltico, va ricordato che essa è stata pensata come un laboratorio per testare l’operatività di tali tecnologie. Non ci vorrà molto prima di trovare punti di connessione tra SUBCAP e il Critical Undersea Infrastructure Network, lanciato lo scorso anno dalla NATO proprio per la ricerca di nuovi metodi e strumenti di gestione delle questioni sottomarine.
Iniziative come questa tengono insieme sia la risposta alla crisi industriale pensata dalle classi dirigenti del Vecchio Continente, ovvero lo stimolo attraverso produzioni belliche, sia la necessità di maggiori strumenti di offesa per difendere, morti su morti, il predominio occidentale sul mondo. In questa deriva, le università sono sempre più coinvolte, con risvolti preoccupanti su che tipo di istruzione sarà offerta alle nuove generazioni.
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