E’ arrivata la sentenza di primo grado del processo “Angeli e Demoni”, che riguardava presunti illeciti compiuti a danno di bambini da assistenti sociali, psicoterapeuti e amministratori locali di un paesino dell’Emilia Romagna. Caso mediatico e politico, oltre che giudiziario, che infiammò il dibattito qualche anno fa.
“Parlateci di Bibbiano”: come non ricordare questa frase, divenuta slogan, che veniva ripetuta come un mantra per stigmatizzare la bruttissima vicenda – per come si stava delineando – di Bibbiano, paesino in provincia di Reggio Emilia catapultato, tra il 2018 ed il 2019, alla ribalta del dibattito pubblico, mediatico e politico.
Un’inchiesta, partita da una serie di segnalazioni da parte dei servizi sociali, mise alla luce una serie di presunti illeciti commessi da parte di assistenti sociali e psicoterapeuti, con l’avallo di amministratori locali, a danno di famiglie a cui sarebbero stati sottratti i figli, perché vittime di altrettanto presunti abusi, per poi essere affidati ad altri nuclei familiari, in alcuni casi vicini e contigui (amici o parenti) a chi decideva sugli allontanamenti.
Le accuse di abuso sessuale nascevano, in alcuni casi, da dichiarazioni degli stessi bambini “fuorviati” dagli assistenti sociali e dagli psicoterapeuti coinvolti che avrebbero manipolato i minori inducendo in loro tali drammatiche convinzioni.
Terribile. Tutto terribile, se vero. Ma andava, appunto, verificato: dall’inchiesta e da tre gradi di processo, come si usa fare all’interno del sistema giudiziario italiano. Invece, come spesso – anzi quasi sempre – avviene, la vicenda divenne strumento di propaganda politica in maniera abnorme: gli amministratori locali di Bibbiano erano del PD, al governo c’erano il Movimento 5 Stelle e la Lega (ma sarebbe durato poco), Fratelli d’Italia era all’opposizione del governo giallo verde ma anche pronta a scagliarsi contro i Dem o chiunque altro per ottenere consensi. In più, all’orizzonte di breve termine c’erano le elezioni regionali in Emilia Romagna, con la leghista Bergonzoni (poi sconfitta) che provava a scalzare dal governo della regione Stefano Bonaccini ed il PD.
E dunque, in breve il partito guidato allora da Nicola Zingaretti divenne, nel discorso dei suoi oppositori, il partito dei sottrattori di bambini. Lo disse chiaramente Luigi Di Maio, allora alla guida del M5S: «Io col partito di Bibbiano non voglio averci nulla a che fare. Col partito che in Emilia toglieva i bambini alle famiglie con l’elettroshock per venderseli non voglio avere nulla a che fare». Fu dunque per lui uno sforzo terribile accordarsi, qualche mese dopo, proprio col PD per dare vita al governo ‘giallorosso’, nato in seguito al maldestro tentativo di Matteo Salvini di fare il colpaccio e diventare premier e terminato con la Lega all’opposizione insieme a Forza Italia e a Giorgia Meloni.
Anche lui, Matteo Salvini, partecipò all’attacco a testa bassa contro ‘il partito di Bibbiano’, addirittura portando una bambina ‘sottratta alla famiglia’ sul palco di un comizio elettorale: peccato che la minorenne in questione fosse lombarda, e nulla c’entrasse con Bibbiano. Ovviamente anche Fratelli d’Italia provò ad ottenere il massimo – elettoralisticamente parlando – dalla vicenda, spingendo forte sul ‘Parlateci di Bibbiano’ per mesi.
La vicenda – come spesso accade in casi del genere – perse con il tempo forza, sostituita da altre storie e questioni. Arrivò la pandemia, poi il governo Draghi (con Lega e M5S serenamente in maggioranza assieme al PD), la guerra, poi le elezioni, il governo di destra della Meloni, e chissà se un poco di quel successo elettorale nacque anche dalla potente operazione mediatica costruita sui presunti fatti di Bibbiano.
L’opinione pubblica, con il tempo, si scordò di quella storia: a differenza, immaginiamo, di chi era imputato nel processo. Ah, il processo: come dicevamo, è arrivata la sentenza di primo grado, che ha assolto undici imputati su quattordici, condannandone solo tre per reati che nulla c’entravano con i capi d’imputazione principale, relativi al presunto sistema di affidamenti illeciti.
Ovviamente il PD è immediatamente partito alla carica, chiedendo le scuse formali in particolare ai tre leader dell’epoca che tanto insistettero su quella storia: Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Scuse che ovviamente non arriveranno mai. Anzi, da Fratelli d’Italia è arrivata una specie di supercazzola che più o meno suona così: “La sentenza non cancella un sistema indegno. Continueremo a chiedere conto alla sinistra”. Di cosa, non si capisce bene: a meno che la sentenza di secondo grado ribalti questa, al momento pare che a Bibbiano – rispetto a vicende di affidamenti illeciti e presunte manipolazioni di minori – non sia accaduto praticamente nulla.
Ma qualcosa va detto, come qualcosa doveva dire il PD: rappresentazione utile a quei pochi che, in questo paese, ancora si aspettano che la politica renda contro di quel che dicono, ed in caso di palesi e madornali errori, li riconoscano e si scusino.
Ma non funziona così, è chiaro. E non solo per la politica. Vale quel che si dice nel momento in cui lo si dice, già due giorni dopo non conta più. Altrimenti – tanto per fare un esempio – qualcuno avrebbe chiesto con forza conto al nostro ministro degli Esteri delle avventate dichiarazioni sull’attacco di Israele all’Iran: “Non ci sono segnali di un attacco imminente”, aveva detto neanche 24 ore prima che le bombe israeliane iniziassero ad esplodere. Il fatto che un Ministro degli Esteri faccia una simile figura, e confermi una così smaccata distanza dalla realtà di quel che succede nelle materie di sua competenza, sarebbe grave, in un luogo ed in un tempo normale. Ma non oggi, non in Italia. *Radio Città Aperta
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