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Saviano: fenomenologia di un eroe di carta

Devo darvi una notizia che vi farà tremare i polsi. A me che Saviano abbia vinto la causa contro Francesco Bidognetti – soprannominato Cicciotto ‘e Mezzanotte, braccio destro di Francesco Schiavone detto Sandokan e uno dei capi sanguinari del Clan dei Casalesi – non frega un’emerita mazza.

E non frega nulla perché, com’è noto, ritengo Saviano un “eroe di carta”, come lo definiva il professore Alessandro Dal Lago nell’omonimo saggio, edito da Manifestolibri.

Un “moralizzatore” di mestiere che, per mere ragioni di tornaconto personale, ha fatto da sempre della camorra e delle mafie il male assoluto ed esclusivo.

Occultando consapevolmente tutti i conflitti reali: capitale/lavoro, istituzioni/cittadini, sicurezza/esclusione, diritti di cittadinanza/razzismo, centro/periferia, burocrazia/innovazione, istruzione/bisogni formativi, crimine organizzato/territorio.

Una narrazione sociale mitologica all’interno della quale lui, lo scrittore, è il solo eroe. Un eroe di carta appunto. Manovrato dal potere che lo ha reso icona mediatica. E suo maggiordomo.

Ma arrivati a questo punto, è meglio che mi spieghi più nel dettaglio, portando degli esempi eclatanti del servilismo savianeo ammantato di eroicità.

E partirei dunque proprio con l’esempio a noi più prossimo: la questione israelo-palestinese. ‘Robertino’ ha sempre osannato infatti Israele quale meraviglioso esempio di accoglienza e libertà.

Ha sempre sostenuto implicitamente che Israele avesse il diritto di occupare i territori palestinesi perché solo la sua – non quella degli abitanti della Striscia di Gaza chiaramente – era ed è ‘resistenza’, ‘diritto all’autodifesa’.

Al punto che il 7 Ottobre 2011 partecipò ad un’iniziativa dal titolo “Per la verità. Per Israele”, organizzata da gente come Fiamma Nirenstein -fanatica sionista e negazionista dei crimini israeliani – insieme ai rappresentanti dei coloni in Italia, con la quale si celebravano di fatto i sessant’anni dell’occupazione israeliana e i massacri dell’entità sionista, che Robertino ha sempre ignominiosamente definito «una grande democrazia sotto assedio», per di più colpita dal ‘pregiudizio’ filo palestinese.

A Saviano, in quell’occasione, fu costretto a rispondere Vittorio Arrigoni, ucciso in seguito per il suo attivismo a sostegno dello stesso popolo palestinese ed egli stesso incarcerato e brutalizzato dai militari con la stella.

In un video che si può facilmente rintracciare nel web, Vittorio ricordò a Roberto il razzismo, l’apartheid, la repressione e i crimini di Israele. Ricordò a Roberto, che discettava di Tel Aviv come città cosmopolita e accogliente, quale accoglienza la capitale israeliana avesse riservato a lui, parlando delle ferite lasciate sulla sua carne dai carcerieri sionisti. Roberto provò confusamente a rispondere. Ma la pezza fu ovviamente peggio del buco.

Oggi, invece, solo dopo più di un anno, questo servente del potere ha preso parola su Gaza chiedendo la fine dei bombardamenti. Sempre molto attento tuttavia a non utilizzare mai la parola ‘genocidio’. Certo ha attaccato Netanyahu, ma se si ascolta quell’audio scandaloso si potrà sentire come questo personaggio, per tutta la durata della registrazione -da perfetto questurino – accusa Netanyahu semplicemente e principalmente di corruzione; e solo alla fine, quasi en passant, di crimini di guerra.

Senza peraltro mai fare riferimento peraltro alle responsabilità di una società israeliana razzista, suprematista, ormai nazistoide e inebriata dal sangue palestinese, che questi democratici cittadini stanno facendo scorrere a fiumi.

Saviano si limita a chiedere la fine dei bombardamenti e a dare un’ ipocrita e rabberciata ‘solidarietà’. E lo fa oggi, quasi costretto dai tragici eventi e perché il suo silenzio era diventato assordante, da più parti evidenziato e criticato.

Lo fa oggi, che anche i più fanatici sostenitori dell’entità sionista cominciano a nutrire qualche dubbio. Oggi che non può più sottrarsi, pena il crollo delle vendite dei suoi libercoli e della sua popolarità.

Ma andiamo avanti. Saviano nel 2012, recensendo un indecoroso saggio del professor Alessandro Orsini, non ancora censurato per filo-putinismo, accusava Gramsci di essere stato «pedagogo di intolleranza e di violenza». Un po’ come quelli che sporcano un quadro famoso per finire sui giornali…

Ma il suo narcisismo avido di fama e denaro non si è fermato neanche di fronte a un personaggio monumentale come Fidel Castro. Di cui ha infangato la figura definendolo ‘dittatore sanguinario’ e riportando evidentemente le narrazioni contenute nei dossier che da decenni gli provengono dalla Cia.

Un infamia che ha poi continuato a spargere invariabilmente su chiunque fosse anche solo in odore di socialismo; o proponesse modelli di organizzazione sociale e statuale diversi dalla iniqua, arbitraria, classista, razzista, imperialista e autoritaria cosiddetta ‘democrazia liberal-mercantile’; o si opponesse ai di questa deliri colonialisti.

Da Chavez a Putin; da Maduro a Kim; da Assad a Hezbollah; dall’Iran ad Hamas. Tutti, l’ipostasi farlocca di Δίκη (dea greca della giustizia) ha giudicato e condannato. Più inflessibile di Jhave.

Unilateralmente dalla parte dei padroni, che si è sempre guardato bene dal criticare. Sempre dalla parte dell’imperialismo euroatlantico e di Israele. Il nostro eroe di carta qualche eccezione l’ha concessa ad una grottesca retorica antifascista di tipo cosmetico. Vedi le ultime mediatiche invettive contro Trump e Meloni.

Proprio lui che Pierangelo Buttafuoco – maître à penser della nouvelle doitre italien – anni fa definì su Libero «un esempio d’italiano mai visto fino ad oggi. Un italiano che non è, per come lo accusano da destra, un comunista con la barba di tre giorni ma, sempre che il termine non ci esponga alla querela, un patriota. Lui lo ha già scritto, lo ha già detto e lo ha già raccontato molte volte. Non c’è un angolo della vita di questo giovane scrittore che non sia stato svelato, anche al netto delle invidie e degli insulti. Furbizia compresa. E’ solo uno cazzuto, uno che sa tenere una pistola in pugno, uno che sa sbrigarsela al modo dell’uomo vero, uno che è agli antipodi del fighetta, uno che non c’entra niente con tutti quelli che lo venerano».

Insomma un’incarnazione dell’ideale superomista. Specializzato nel settore camorristico, se vogliamo... Tuttavia, in realtà Saviano è tutt’altro.

E infatti lui che sbatterebbe in galera chiunque. Lui legalitario, manettaro e questurino. Lui che ha sempre criminalizzato il dissenso. Lui ora, solo per servilismo nei confronti della parte “dem” dell’establishment – con buona pace del destro Buttafuoco – accusa il Ddl 1660 (Nuovo Decreto Sicurezza) di reprimere scioperi e contestazione. Quel tanto che basta, nulla di più…

Ma proseguiamo. Saviano, campione della borghesia perbenista e parassitaria napoletana, della piccolo-borghesia securitaria, ha sempre scritto e parlato di Napoli accanendosi ferocemente contro le classi popolari della città, che nella sua visione schifosamente elitaria e giustizialista sono sempre colpevoli. Colpevoli, certo, di povertà.

Senza mai prendere in considerazione i rapporti sociali di produzione e quindi le responsabilità dello Stato e della classe dirigente, che espelle sempre più dal centro dell’esistenza stessa il proletariato marginale e il sottoproletariato urbano e periferico, cui propone però modelli culturali ed economici che quei ceti subalterni possono raggiungere solo con l’illegalità, Saviano ha condannato i dannati dei quartieri ghetto e periferici senza alcuna analisi sociologica, economica o politica. Per puro moralismo e con un occhio al conto in banca. Ça va sans dire.

Su tali piaghe ha speculato creando un piccolo impero editoriale ed economico.

Lui che su Wikipedia non ha neanche il coraggio di scrivere o far scrivere che è cresciuto in provincia di Caserta (poco di moda), accreditandosi invece esclusivamente come natio di Chiaia (zona “bene”). Sancendo così la sua grottesca piccineria.

Piccineria che si confermò tutta quando provò a presentarsi come eroe dell’antimafia, erede di una figura di statura etica per lui inarrivabile, quale fu quella di Peppino Impastato. Speculando persino sulla di lui morte attraverso un cumulo di menzogne.

Imposture che gli valsero, tra l’altro, l’attenzione del compagno Paolo Persichetti, all’epoca redattore di Liberazione (giornale per cui scriveva anche il sottoscritto) che lo sbugiardò amaramente. E contro cui Robertino inoltrò ovviamente querela, venendo infine smentito anche dai giudici.

Vicenda che ovviamente su Wikipedia non viene riportata. Troppo lo scuorno, mi par di capire.

Riporto qui tuttavia le parole dello stesso Persichetti: «Nel gennaio del 2010 sono stato querelato da Roberto Saviano perché su Liberazione avevo scritto che i familiari di Peppino Impastato contestavano la veridicità di una telefonata da lui raccontata in un volume appena pubblicato da Einaudi, La parola contro la camorra (Non c’è verità storica, il centro Peppino Impastato diffida l’ultimo libro di Roberto Saviano).

Secondo Saviano la madre di Impastato l’aveva chiamato per incoraggiarlo quando lui era ancora un aspirante scrittore del tutto sconosciuto, molti anni prima del successo di Gomorra e che gli fosse concessa la scorta di polizia. Telefonata che Saviano rappresentava come una sorta di passaggio di testimone che l’avrebbe condotto a prendere il posto di Impastato nell’immaginario collettivo dell’antimafia.

I familiari di Impastato obiettavano che la signora Felicetta non avesse telefono e che le chiamate a lei dirette passassero attraverso il figlio Giovanni o la nuora e che di questa telefonata non avevano mai saputo nulla».

A quel punto Saviano, in evidente difficoltà, tirò fuori sui social una nuova versione dei fatti. È ancora Persichetti a scrivere: «non aveva mai ricevuto la telefonata direttamente dalla signora Felicia – disse – come aveva fino ad allora raccontato, ma era stata una sua amica che incontrandola l’aveva chiamato e le aveva passato la donna. Perché non averlo detto prima e raccontato ai giudici? Perché non averlo spiegato direttamente ai familiari di Impastato? Chiesi pubblicamente a Saviano il nome della sua amica, se ci fossero stati altri testimoni, se l’episodio era avvenuto in strada o in casa di Felicetta? Da allora sono passati otto anni e Saviano non ha mai risposto. Il testimone del vero tace».

E questa non è stata l’unica batosta giudiziaria per colui che si considera – ed è considerato – il depositario della verità.

Venne difatti condannato per plagio in merito ad alcuni passaggi dell’opera Gomorra, che sono risultati un’illecita riproduzione del contenuto di due articoli dei quotidiani locali Cronache di Napoli e Corriere di Caserta. Per poi essere nuovamente condannato, sempre con Gomorra, per diffamazione ai danni di Vincenzo Boccolato, imprenditore residente all’estero e incensurato. Saviano aveva affermato nel bestseller che Boccolato facesse parte di un clan camorristico coinvolto nel traffico di cocaina.

Cose da niente, se non per il malcapitato Boccolato. Ovviamente le condanne sono sempre state solo pecuniarie e fondamentalmente lievi.

Per non dire della sua indole alquanto pusillanime, da ritrattatore e voltagabbana seriale, non appena prenda coscienza che qualcosa in cui si è imbarcato – foss’anche una giusta causa – potrebbe metterlo in difficoltà con i suoi padroni e padrini e fargli perdere collateralità politiche, protezioni e profitti.

Come quando nel 2004 il sito internet Carmilla Online organizzò una raccolta di firme di solidarietà per l’ex militant dei Pac, Cesare Battisti -poi rifugiatosi in Francia e in Brasile, divenuto anche lui scrittore di successo – coinvolgendo oltre 1500 firmatari nel panorama politico-culturale di Francia e Italia.

Tra i firmatari del documento comparve anche lui, il nostro eroe. Che tuttavia, nel gennaio 2009, ritirò la sua firma adducendo la scusa «in segno di rispetto per le vittime». L’umana compassione a comando…

In definitiva, questo è Saviano. Un piccolo uomo, un funzionario del potere, che serve con diligenza e furbizia.

Uno scaltro imprenditore di sé stesso che ha saputo mettere a frutto la sua unica dote: la capacità di farsi strumento del sistema per placare la sua fame di notorietà e denaro. Obiettivi da percorrere in qualunque modo e a qualunque costo.

Ieri, infine, Saviano ha vinto la sua lunga battaglia – insieme a Teresa Capacchione de Il Mattino – contro Francesco Bidognetti, boss del clan dei Casalesi, e contro il suo ex avvocato Michele Santonastaso, per le minacce rivolte nel 2008 allo scrittore e alla giornalista.

Sono personalmente contento per la Capacchione. Bidognetti è – come dicevamo all’inizi o- un capo camorra, vale a dire l’aristocrazia camorristica, non la manovalanza; il vertice di un’organizzazione feroce che ha distrutto la nostra terra. Ha reso spesso invivibile Napoli e la Campania con le sue attività criminali che tutti ben conosciamo. Quindi non può che essere un mio nemico.

Ma, mi si perdoni il paradosso, è altrettanto mio nemico Saviano. Sforse un’affermazione assurda e sconveniente, ma francamente dei giudizi dei benpensanti ho imparato a fottermene da decenni.

Saviano mi è nemico perché è un dispositivo di potere, nel senso che intendeva Faucault. Un dispositivo subdolo, capace di aggredire e manipolare l’immaginario collettivo in quanto riconosciuto ‘eroe’ mediatico. E come tale abilitato, di volta in volta, ad aggiustare la realtà o a stravolgerla del tutto, a seconda delle convenienze del caso.

Ecco, Saviano mi è nemico perché fa da scudo al potere, utilizza la parola come verbo divino al quale nessuno può opporsi (senza mai contraddittorio) – pena la diffamazione e la querela – e la mistificazione come strumento di corruzione delle masse e della loro coscienza.

Bidognetti, sempre ragionando sul filo del paradosso, è quasi “più onesto”. O almeno più lineare. È un criminale della peggior specie, ma non lo nasconde. E alla fin fine paga in prima persona i suoi orrendi crimini.

Saviano no. Saviano commette altri crimini, pur non utilizzando la pistola. Usa la parola, la penna, il Pc, la televisione e i giornali. Con essi inquina, intossica, omologa le coscienze. Crea un apparato simbolico falso e funzionale al Potere. Il suo è dunque un orrendo genocidio culturale.

Ma non paga mai, anzi. Gode dell’immunità, come tanti altri sedicenti giornalisti. La sua è pura ideologia del dominio. Ed in questo non è diverso, al di là delle formule retoriche, da tutta la propaganda fascista di ogni epoca e luogo.

D’altronde, come definire uno che ha sempre difeso Israele se non un complice morale in genocidio?

No, non ho mai celebrato come eroe Saviano e non lo celebrerò certo ora che ha vinto un processo minore contro un camorrista. Ora, che dopo la vittoria ha pianto a favore di telecamera enfatizzando, da attore consumato, la sua “commozione”.

Non lo celebro perché Saviano rappresenta un pericolo enorme per questo paese già culturalmente e politicamente desertificato da numerosi altri personaggi simili.

Il pericolo è quello del del conformismo. Il conformismo, un po’ favolistico, dell’eroe solitario che fa giustizia di tutti i mali. Il conformismo dei Cavalieri Oscuri. Dotati di solito di superpoteri nefandi.

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9 Commenti


  • Giulio Pica

    Certo Saviano è un narcisitsa, un presenzialista, uno che gode quasi della violenza criminale, però è anche un bersaglio della destra più reazionaria, ovvero di Meloni, Bocchino, Salvini, etc. e quindi questa critica a lui, seppur in parte fondata, vi avvicina alla meloni


    • Redazione

      questa è una sciocchezza sesquipedale, che può venire in mente solo se non si possiede una visione propria ma si assume quella di qualcun altro contro un terzo…
      una sciocchezza stile Pd, insomma.


  • Anna M.

    Sono d’accordo. Sono critica di Saviano da quando l’ho sentito infangare Cuba. Ho letto il libro di Dal Lago e avevo sentito l’accorata risposta di Arrigoni al suo magnificare Tel Aviv,dove i gay non subivano discriminazioni


  • Ta

    Saviano è come l’orologio rotto che due volte al giorno segna l’ora giusta (perché è fermo a quell’ora lì).
    Quando dice che la camorra è un male, ha perfettamente ragione (e sticazzi!); ogni altra sua presa di posizione a me nota è detestabile…


  • Alessandro Di

    Quando Vittorio Arrigoni lo incalzò il prode Saviano si defilò. Ha sempre negato i massacri nel nome del diritto all’esistenza di Israele, oggi più che mai, anche se ora costretto dagli eventi se la prende con Netanyahu, tipico bersaglio di un vero piddino, che non mette sotto accusa il sistema sionista… Poi, vederlo tracciare le vie delle droghe e farle passare o fare tappa puntualmente per Cuba o per il Venezuela è certificazione di appartenenza. Articolo coraggioso, ma assolutamente condivisibile.


  • Flavio Frontone

    Sono d’accordo su tutto! Tra l’altro ha anche avuto il “merito” di farci individuare dal resto del mondo come, se non camorristi, fiancheggiatori della camorra. Il binomio Napoli/Gomorra l’ha diffuso lui, anche con quelle seriacce televisive di cui è ideatore e sceneggiatore.


  • Flavio Frontone

    Per quanto riguarda Israele e la Palestina volevo segnalare all’autore, che non è l’unico nel panorama “artisco-Culturale” napoletano ad essere un ammiratore della “democrazia” israeliana. Infatti ricordo le uscite di Raiz,e addirittura di Enri De Luca che neanche ultimamente, in pieno agghiacciante genocidio, hanno modificato o rilasciato dichiarazioni in merito, Preferendo non pronunciarsi e lasciare nel dimenticatoio quanto detto…


  • Pasquale

    Un anticomunista neanche molto importante. Un moderato al servizio dello stato borghese che ritiene la sinistra rivoluzionaria intollerante e vittima dell’ideologia.


  • Andrea

    credo proprio bel 2011 a Saviano fu elargito un oremio di 100mila USD, per il suo sostegno a Israele

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