Il governo Meloni, che più volte ha rivendicato una certa vicinanza a Trump, continua a subire il ‘fuoco amico’ dall’inquilino della Casa Bianca. In un’intervista rilasciata a Bloomberg, l’ambasciatore USA alla Nato, Matthew Whitaker, ha messo bene in chiaro che gli Stati Uniti non sono disposti ad accettare il Ponte sullo Stretto di Messina tra le spese per la sicurezza.
L’inserimento di questa grande opera inutile tra le voci di bilancio legate alla difesa era stato immaginato per facilitare il raggiungimento del nuovo target NATO per le spese militari, fissato al 5% del PIL entro il 2035. Di questa cifra, l’1,5% riguarderà investimenti collegati in un qualche modo alle capacità belliche: infrastrutture, cyber sicurezza, e così via.
Palazzo Chigi, nella documentazione e nelle dichiarazioni fatte riguardo al Ponte, ha sempre sottolineato la sua utilità militare, poiché esso faciliterebbe lo spostamento di truppe e materiali da e verso la Sicilia, confine meridionale della NATO e al centro del fondamentale teatro del Mediterraneo. Whitaker non è dello stesso avviso.
L’ambasciatore statunitense si è detto contrario a “contabilità creative” da parte dei paesi europei. Il diplomatico ha poi detto di aver avuto “colloqui con alcuni Paesi che stanno adottando una visione molto ampia della spesa per la difesa”, ma per quanto riguarda l’obiettivo del 5%, Washington vuole che venga “assunto con fermezza”.
Dunque, niente scorciatoie sulle spese militari, soprattutto per un’infrastruttura che Whitaker ha definito come “priva di valore strategico militare”. E l’ambasciatore sottolinea che “questa volta, rispetto al vertice in Galles del 2014, disponiamo di meccanismi di monitoraggio” per quanto riguarda gli obiettivi di spesa.
Insomma, non ci sarà modo di aggirare la rigida sorveglianza statunitense. Del resto, come hanno sottolineato anche i movimenti contro l’opera inutile, un ponte del genere è anzi un obiettivo militare anche più vulnerabile che potrebbe essere facilmente messo fuori uso e, semmai, interrompere le linee logistiche.
I suoi 13,5 miliardi e la sua costruzione (che deve ancora ricevere il via libera della Corte dei Conti) non potrà aiutare Palazzo Chigi a coprire parte di questo impegno di spesa impossibile. Repubblica riporta il fatto che, stando ad alcune fonti governative del giornale, si possa anche solo provare – almeno per adesso – a far conteggiare il ponte tra gli investimenti in sicurezza in senso lato.
Il governo sperava di mettere in cantiere l’opera già entro la fine di quest’anno, facendo così un enorme regalo a speculatori edilizi e di appalti pubblici. E sperava, allo stesso tempo, di doversi preoccupare in minor misura della quantità enorme di risorse che dovranno essere trovate per rispettare gli impegni NATO.
Tanto più in un periodo come questo, in cui i conti sono ancora sotto infrazione UE, la crisi morde e di politiche redistributive i prenditori italiani non vogliono sentir parlare. Ma Meloni e compagnia possono anche lasciare la patata bollente ai prossimi governi, dato che il 2035 è lontano, e continuare nella devastazione del territorio.
Il Ponte sullo Stretto, tra l’altro, non è l’unica grande opera che vuole essere finanziata attraverso l’iscrizione nella lista delle necessità militari. C’è, ad esempio, anche la diga foranea di Genova. Di infrastrutture attraverso cui alimentare la speculazione e il clima di guerra nel paese questa classe dirigente ne è piena.
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