Comincia a diventare un sintomo della grande difficoltà del governo la vicenda della messa in onda del film No Other Land. Il famoso documentario, vincitore del premio Oscar, è infatti stato rimandato per la seconda volta ed è stato riprogrammato per il 15 novemebre. Ma non è ancora dato sapere orario e, dunque, la copertura che gli verrà fornita.
Ripercorriamo velocemente la vicenda. Il film doveva andare in onda il 7 ottobre, ma è stato poi spostato, secondo quello che riporta il Fatto Quotidiano, per le pressioni operate da un politico non ancora identificato. Non mancano i sionisti tra gli scranni parlamentari, da ambo le parti, e non è dunque difficile immaginare che qualcuno si sia messo di traverso: il 7 ottobre non bisognava rompere la narrazione del ‘diritto alla difesa’ di Israele.
Ma la cancellazione del 21 ottobre è un’evidente opera di censura, e le parole di Adriano De Maio mancano di qualsiasi senso della realtà. Il direttore della sezione Cinema e serie tv della Rai ha giustificato l’ennesimo rinvio della messa in onda di No Other Land perché “non era in sintonia con il clima di speranza per la pace che poi è stata firmata. I contenuti del film avrebbero rischiato strumentalizzazioni“.
Ci perdoneranno i nostri lettori per un paragone crudo come quello che segue, ma è un po’ come dire che alla fine della Seconda guerra mondiale non sarebbe stato il caso di far vedere Schindler’s List… perché potrebbe essere oggetto di strumentalizzazioni. Andando più a fondo nella questione, è chiaro cosa De Maio voleva intendere.
No Other Land non è una storia di finzione. È un documentario che racconta l’opera di sequestro e distruzione del villaggio palestinese di Masafer Yatta, nella zona C della Cisgiordania (sotto il controllo civile e militare di Israele). Nonostante l’insediamento sia presente sulle carte geografiche sin dal XIX secolo, per i giudici israeliani non esiste, e dal 2019 è cominciata l’odissea dei suoi abitanti contro i bulldozer.
Il film si conclude ricordando che le riprese sono concluse prima del 7 ottobre 2023, e che da allora la situazione è persino peggiorata. Il timore di ‘strumentalizzazioni’ è tutto qui. La pellicola non parla di Gaza, non c’è una Hamas da condannare: c’è solo la pratica giornaliera dell’apartheid contro i palestinesi, che antecede di gran lunga gli ultimi due anni di genocidio, e che anzi si è inasprita.
Il problema di No Other Land è che mette in discussione tutta la narrazione sionista: sul fatto che la guerra sia cominciata il 7 ottobre, sul fatto che il pericolo sia Hamas. Ma alla fin fine, anche l’opposizione non ha alzato un polverone sulla questione, perché la propaganda che viene messa in crisi è anche quella per cui la questione palestinese si conclude con la ‘pace’ di Trump.
Israele è uno stato occupante, che porta avanti l’apartheid sistematica, e lo fa nei confronti di tutti i palestinesi, non solo di quelli di Gaza. È nella natura suprematista e razzista su cui si fonda il sionismo che procede la cancellazione dei palestinesi, la cui storia è ridotta a una questione umanitaria, e non a una lotta politica senza compromessi contro un sistema di origine coloniale.
L’opposizione si è astenuta sul piano Trump, avallandone il piano che rimanda il nodo imprescindibile dell’autodeterminazione del popolo palestinese e della fine dei crimini sionisti. No Other Land mostrerebbe a un popolo già altamente sensibilizzato sul tema che per esprimere una concreta opposizione alla complicità col genocidio bisognerebbe mettere in discussione l’operato decennale di Israele.
Proprio per questo risulta importante anche l’ora della programmazione: politici e Rai stanno facendo tutto il possibile perché un pubblico generalista non guardi questo film, ed è perciò possibile che, alla fine, optino per una messa in onda che non favorisca gli ascolti, il 15 prossimo. Ad ogni modo, l’opera di censura è chiara.
Un ultimo appunto va fatto su altre giustificazioni dette da De Maio. Secondo lui, è stato giusto rimandare il film mentre “si alza il livello delle manifestazioni di piazza, anche violente“. Il 21 ottobre era a oltre due settimane dalla manifestazione nazionale del 4 ottobre, dopo settimane di mobilitazioni che hanno registrato radissimi incidenti (causati dalla malagestione di piazza delle forze dell’ordine, come nel caso di Milano il 22 settembre).
Porre l’allarmismo su presunte ‘violenze di piazza’ significa preparare il terreno a una stretta repressiva. Le prove ci sono già state il 24 ottobre a Roma, quando i manifestanti che volevano sfilare in corteo sono stati accerchiati, caricati, colpiti con idranti, senza alcuna motivazione di ordine pubblico. Questa è l’unica violenza di piazza a cui abbiamo assistito.
La frattura politica che il movimento di solidarietà con la Palestina ha creato, rispetto al quadro politico e alla marcescente egemonia occidentale, preoccupa i difensori ‘dell’ordine costituito’, e allora, con la ‘pace di Trump’, ora tutti devono rientrare nei ranghi. Anche i film.
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paolo
Torquemada.
Silvio Canclini
è uno schifo tremendo. Mi vergogno di essere un uomo. Ricordate a tutti i politici che sono lì per merito nostro. E per merito nostro lì possiamo eliminare. Basta ingiustizie sulla pelle degli ultimi. E la chiesa che fa? È complice di questo massacro.
Se tornasse Gesù lì brucerebbe tutti papà in testa. Grazie