Quattro operai sono asserragliati da giorni a 45 metri di altezza su un silo della fabbrica Euroallumina di Portovesme, in Sardegna, per chiedere l’intervento del ministero e sbloccare le procedure per il rilancio della produzione. Gli operai dell’Euroallumina ce li ricordiamo in piazza a Roma nell’aprile del 2011, nel 2016 e poi ancora uscire incazzati neri dall’incontro al Ministero dell’Industria nel dicembre del 2023.

Se nel 2011 e nel 2016 il problema era riconducibile “alla competitività” sul mercato, il problema adesso è che l’azienda è controllata dalla società russa Rusal che ha un piano di rilancio da 300 milioni, ma deve fare i conti con il blocco delle azioni e delle risorse economiche previste dalle sanzioni attivate contro la Russia.
Tra le cause del blocco produttivo c’è infatti la mancata revoca delle sanzioni imposte dal Comitato di Sicurezza Finanziaria nei confronti di Eurallumina, originata dalla nota vicenda riconducibile indirettamente a un azionista del gruppo Uc Rusal.
I sindacati denunciano che “il provvedimento sanzionatorio, notificato l’8 maggio 2023, ha comportato l’affidamento all’Agenzia del Demanio della custodia e gestione dello stabilimento”. Nel documento sindacale viene contestata anche la “disparità di trattamento applicata all’Eurallumina rispetto ad altre aziende europee consociate della stessa Uc Rusal (in Svezia, Germania, Irlanda), dove i rispettivi governi, pur aderendo al regime sanzionatorio, hanno scelto di tutelare le imprese ritenute strategiche, mantenendole operative”.
A far esplodere la protesta degli operai è la mancata risposta da parte delle istituzioni in merito alla richiesta dell’azienda di “ottenere certezza sullo stanziamento dei fondi necessari alla gestione”. Si tratta dei fondi che è tenuto a stanziare il Comitato per la Sicurezza Finanziaria attraverso l’Agenzia del Demanio.
Il Comitato di Sicurezza Finanziaria (CSF) è un organo interistituzionale (composto da Mef, Banca d’Italia, Consob e Ivass) istituito nel 2008 in risposta alla crisi finanziaria globale. E’ in pratica il “cervello” che coordina la risposta italiana in caso di crisi finanziarie sistemiche che minacciano la stabilità del sistema economico nazionale. In questo caso è competente anche per l’attuazione delle sanzioni contro la Russia.
Il Ministero dell’Industria e del Made in Italy ha convocato un incontro per il prossimo 10 dicembre per mettere mano a questa ennesima crisi industriale, ma che questa volta presenta forti connotati geopolitici.
Per l’Italia le sanzioni alla Russia hanno rappresentato un drammatico shock economico, con costi tangibili e immediati sopportati soprattutto dalle imprese esportatrici e dai cittadini attraverso il caro-bollette.
La riduzione e poi l’interruzione delle forniture di gas russo hanno causato un’impennata dei prezzi dell’energia. L’Italia era fortemente dipendente dal gas russo. Nel 2021, circa il 40% del suo gas importato proveniva dalla Russia. Questa interruzione ha alimentato l’inflazione, aumentato i costi per le famiglie e reso le imprese meno competitive.
Le esportazioni italiane verso la Russia sono crollate (si stima una riduzione superiore al 50% in alcuni settori). I settori particolarmente colpiti sono stati quelli del lusso (moda, arredamento, design); l’agroalimentare (vini, formaggi, salumi e pasta); macchinari e tecnologia.
Alcuni distretti specializzati, ad esempio quello Parma per i macchinari per il packaging alimentare o il distretto del marmo di Carrara, hanno perso una fetta importante del loro fatturato.
C’è stato poi il crack del turismo. Prima delle sanzioni, i turisti russi erano tra quelli che spendevano di più in Italia (soprattutto in località come Milano, Venezia, Roma e la Costa Smeralda). Questo flusso si è praticamente azzerato.
C’è poi il problema delle aziende italiane con joint venture o attività produttive in Russia, in particolare alcuni produttori di elettrodomestici e componentistica hanno visto i loro asset bloccati o svalutati.
La maggior parte delle grandi aziende russe a causa delle sanzioni ha dovuto abbandonare o congelare le proprie operazioni in Italia.
La Lukoil ha perso il controllo sulla raffineria ISAB di Priolo (in Sicilia) e ha venduto la rete di benzinai della IP. La Gazprom ha visto i suoi contratti di gas ridursi drasticamente, poiché l’Italia ha diversificato le forniture.
Le attività della Sberbank sono state bloccate. Le joint venture con Rosatom (con Ansaldo e Bonfiglioli) sono state sospese o terminate.
Il governo italiano è intervenuto con vari decreti (“decreti Sostegni-bis”) per permettere la cessione forzata delle attività russe a entità non soggette a sanzioni.
Per scongiurare la chiusura, della Isab di Priolo, nel dicembre 2022 il governo italiano ha posto la raffineria sotto gestione straordinaria affidata a Sorgente S.p.A., una società del Ministero delle Imprese e del Made in Italy. La raffineria dà lavoro, direttamente e nell’indotto, a diverse migliaia di persone. La sua chiusura avrebbe avuto un impatto sociale ed economico devastante sull’intera provincia di Siracusa.
Ma il fatto che degli operai in lotta a Portovesme denuncino come causa della crisi industriale della loro fabbrica anche le sanzioni contro la Russia non verrà scambiato come un “episodio di guerra ibrida”? A leggere il rapporto presentato dal ministro Crosetto al Consiglio Superiore di Difesa non si può affatto escludere.
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