È il 12 aprile 1973. Milano. I fascisti provano a prendersi la piazza. A modo loro. Ma finisce male. Un poliziotto di 22 anni, Antonio Marino, resta senza vita sull’asfalto.
Contro di lui viene scagliata una bomba a mano di tipo SRCM Mod. 35, che lo colpisce in pieno petto uccidendolo. Altri dodici poliziotti restano feriti.
È il «giovedì nero di Milano». Così è stato ribattezzato negli annali di cronaca.
I fatti. La questura del capoluogo lombardo vieta all’MSI e al Fronte della Gioventù lo svolgimento di un corteo che avrebbe dovuto sfilare da piazza Cavour a piazza del Tricolore. Qui è in programma un comizio di Ciccio Franco, fascista calabrese che nel 1970 era stato alla testa dei cosiddetti “moti di Reggio Calabria”, scoppiati quando si decise che il capoluogo regionale sarebbe stato Catanzaro e non Reggio. È suo lo slogan più urlato dai fascisti: «Boia chi molla».
I fascisti non ci stanno. Si radunano nel pomeriggio davanti alla sezione dell’MSI in via Mancini e da lì partono verso piazza del Tricolore. Ci sono tutti i caporioni missini: Franco Maria Servello, “federale” di Milano; i deputati Franco Petronio e Ciccio Franco.
Tra loro spicca anche la barba nera come la pece di un giovane Ignazio Benito La Russa (la foto di fianco), allora segretario lombardo del Fronte della Gioventù. Con lui c’è anche il fratello Romano (oggi assessore alla Sicurezza della Regione Lombardia).
Poco dopo le 17.30 iniziano le scorribande nere. Vengono assaltate la Casa dello Studente di viale Romagna e il liceo Virgilio. Verso le 18.30 viene scagliata una prima bomba a mano che ferisce un poliziotto e un passante. La seconda bomba, in via Bellotti, a poca distanza dalla centrale piazza del Tricolore, uccide l’agente Marino.
In tarda serata finiscono in manette due militanti fascisti: Maurizio Murelli, 19 anni, e Vittorio Loi, 21, figlio dell’ex campione di pugilato Duilio Loi. I vertici del Movimento Sociale (su cui pende una richiesta di autorizzazione a procedere per ricostituzione del partito fascista) cercano subito di scaricarli, anche se Murelli risulta tesserato.
Attenzione: vengono indagati anche i fratelli La Russa. Murelli disse che Ignazio La Russa «si era sentito leso dalle critiche di inazione e rammollimento che noi giovani gli muovevamo; pertanto volle dare una dimostrazione».
Murelli aggiunse che Romano La Russa aveva visto le bombe: «Ricordo di averle mostrate in piazza del Tricolore, dopo aver lanciato la prima bomba, ad alcuni tra i quali La Russa Romano», il quale «per parlare meglio tirò su il sottocasco, una specie di passamontagna».
Vittorio Loi dichiarò che Romano La Russa era «tra coloro che maggiormente aizzavano in piazza Oberdan, guidando successivamente i disordini».
Romano La Russa viene prima arrestato e poi rinviato a giudizio per resistenza e adunata sediziosa, mentre il procedimento contro Ignazio La Russa finisce in archivio.
Loi viene condannato a 19 anni di carcere, Murelli a 18, Nico Azzi – reo confesso – a 2 anni per aver fornito le bombe. Loi e Murelli vengono anche condannati a risarcire la famiglia dell’agente Marino. I soldi vengono sborsati dal Movimento Sociale Italiano.
Nico Azzi è la stessa persona che il 7 aprile 1973 sale sul treno Torino-Genova-Roma con l’intenzione di far esplodere un ordigno, che invece gli esplode tra le mani e lo ferisce. Azzi muore il 10 gennaio 2007.
A rendere omaggio alle sue esequie (tra braccia tese e grida di «Presente!») c’è Ignazio La Russa: ex dirigente dell’epoca e, cinquant’anni dopo, Presidente del Senato.
* da Facebook
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